di Luca Cangianti
Luca Impellizzeri, La terra chiama, Habanero/Erga Edizioni, 2016, pp. 170, € 16,00
Esiste un limite umano alla sopportazione del sopruso? Qual è la chimica della rivolta e della speranza in un mondo migliore? Il romanzo di Luca Impellizzeri La terra chiama risponde a queste domande con una storia coinvolgente nella quale i personaggi sono costretti a prendere posizione nei confronti dell’oppressione e dell’inaudito atto della ribellione.
Negli anni venti del secolo scorso, Sonny Porter, bluesman e bracciante afroamericano, decide di portare la Russia dei soviet in una cittadina del sud degli Stati uniti. Insieme a un gruppo di diciassette donne e uomini neri occupa il campo di granturco della ricca signora Coleman. La donna, animata da un rabbioso razzismo, è presa in ostaggio, i suoi possedimenti socializzati, il raccolto venduto e il ricavo distribuito equamente tra chi ha lavorato. I ribelli hanno un piano per il futuro e un’arma di ricatto che permette di tenere in scacco le belve razziste. Ma hanno anche i loro problemi interni e soprattutto avversari che non sono disposti a fargliela passare liscia.
Nel braccio di ferro che attraversa tutto il romanzo, la suspense è tenuta viva dal racconto del protagonista che usa la prima persona in presa diretta. Il tempo è scandito con precisione, la prosa ha un registro orale e una forte musicalità, a metà tra blues e rap (non a caso l’autore è anche un musicista dei Black Jazus). Le descrizioni dei paesaggi riproducono con grande efficacia l’atmosfera degli stati meridionali degli Usa e tra le pagine del libro fischia il vento polveroso dei migliori spaghetti-western.
Portare la rivoluzione comunista nella patria dello schiavismo permette a Impellizzeri di rappresentare la trama profonda della disuguaglianza sociale, la sue dinamiche psicologiche e le sue gerarchie. I bianchi poveri, ad esempio, invece di provare un sentimento di solidarietà nei confronti dei neri, loro vicini nella scala sociale, sono peggiori dei bianchi benestanti: “credono seriamente che la nostra gente insidi il poco denaro e il povero impiego che difendono a spada tratta, a causa della crescente (sempre secondo loro e quelle bestie del Klan) emancipazione negra”. E tuttavia mentre i bianchi poveri alterizzano il proprio simile di classe nero e lo rendono nemico, molti neri “non osano neanche girare la testa a vedere cosa succede, diligenti e terrorizzati come sono”. Tutto il contrario è il caso del rivoluzionario siciliano che spiega Marx e Gramsci al protagonista: “Nicola era cordiale con noi negri perché, a quanto mi diceva, i siciliani sono, in qualche misura, i negri d’Italia”.
La terra chiama è un romanzo dove la rabbia è il sentimento dominante, una rabbia che nasce dalla violenza subita e dal desiderio di porvi fine, una rabbia dunque che è anche speranza e amore.