di Valerio Evangelisti
Nicola Erba, Massimo Berni (a cura di), La Milano di Paolo Valera, Milieu Edizioni, 2016, pp. 338, € 16,50
Singolare personaggio, Paolo Valera (1850-1926). Ex garibaldino, seguì tutte le vicende del movimento operaio italiano, dall’anarchismo al socialismo. Scegliendo, in prevalenza, le correnti più rivoluzionarie, al cui servizio mise la sua prosa tagliente e aggressiva, fatta di immagini vivide e di frasi brevi o brevissime, tendenti al memorabile.
Autodidatta, inventò un linguaggio tutto suo, che rompeva sia con la blanda monotonia gazzettiera che con gli slanci ampollosi dannunziani e futuristi, quando questi si imposero. Lo fece attraverso una serie di romanzi a sfondo sociale e di taglio verista (Alla conquista del pane, La vitaccia di un povero cristo, La folla), alcune commedie, ma soprattutto collaborazioni giornalistiche e invenzione di testate che culminarono nella rivista ispirata al suo lavoro narrativo più noto. “La folla”, appunto. Oltre a una massa di opuscoli, molti dei quali messi on line da Progetto Gutenberg. Ancora godibili malgrado l’età.
Fu realmente popolare Valera, agli inizi del ‘900? In parte sì, tra alti e bassi, ma soprattutto nella sua Milano, di cui fu spietato cronista. Ancora oggi viene ristampato abbastanza spesso. Specialmente quel Mussolini, raccolta un po’ caotica di interventi coloriti e spesso acuti, che l’autore pagò cara. Nel 1925, un anno prima della morte, fu espulso dal PSI. A buon diritto, oserei dire. Nel ’25 c’erano già stati lo squadrismo, la marcia su Roma, il delitto Matteotti. Valera, che di Mussolini era stato amico fraterno, pareva ritenere il duce recuperabile all’ambito del socialismo rivoluzionario. Parlare di un deficit di lucidità è dire poco.
Ma in Valera non va ricercata la coerenza politica, che pure vi fu e gli costò un esilio decennale a cavallo del secolo. Il suo tratto distintivo sta nella visceralità con cui prese la difesa degli oppressi, degli ultimi, degli emarginati (incluse le componenti meno rassicuranti). Frutto di un’esperienza diretta nelle zone più plebee e – diremmo oggi – degradate di una Milano dimenticata.
Bene hanno fatto Erba e Berni a curare un volume che di Valera restituisce non solo l’ambiente, ma anche il contesto, con l’aiuto di fotografie suggestive. Con una ricognizione preliminare dei luoghi, dei significati e delle trasformazioni urbane e sociali affidata a Bertante, Colaprico, “Elfo”, Marelli, Philopat, Speroni, Vergallo. Chiudono il libro due “classici” di Valera, Milano sconosciuta e il suo seguito, Gli scamiciati.
Fu Valera un grande scrittore? Difficile affermarlo. Fu sicuramente onesto nelle intenzioni, e originalissimo nello stile. Come giornalista, il suo (forse) allievo Mussolini lo superò in sobrietà ed efficacia, e di gran lunga. Come romanziere risentì troppo, a mio parere, del feuilleton francese (o napoletano, alla Mastriani). Tuttavia di Valera, il rivoluzionario “di ventre”, non è facile sbarazzarsi definitivamente. Questo prezioso volume lo dimostra.