di Andrea Comincini
Livia Genah, David Spagnoletto, …Semplicemente ebree, Kogoi Edizioni, Roma, 2016, pp. 144, € 15,90.
“Noi siamo fumo ma anche respiro”: questa breve, intensa riflessione di Gheula Canarutto Nemni – una delle intervistate ispiratrici del presente libro – riassume lo spirito che attraversa le pagine curate da Livia Genah e David Spagnoletto a proposito della figura della donna ebrea.
Le odiose e tragiche vicende del secolo scorso, testimoni purtroppo dell’eccidio di milioni di persone private del diritto fondamentale alla vita, hanno giustamente veicolato la maggior parte delle riflessioni postume, ma anche consegnato la cultura ebraica prevalentemente alla sfera dei ricordi, quasi fosse soltanto un pesante residuo del passato da onorare. In realtà l’intervistata – come tutte le altre prestigiose figure presenti nell’opera – richiama il lettore alla meravigliosa realtà della vitalità dell’ebraismo, alla sua forza di conservare memoria e tradizione ma non in sé, bensì per esprimersi nel futuro. E questo orizzonte, come emerge chiaramente dalla lettura, va inevitabilmente declinato al femminile. Un pregiudizio diffuso non rende giustizia dell’importanza che la donna, sia nella Torah sia nelle tradizioni più esoteriche, esprime all’interno del mondo giudaico. È creata contemporaneamente col maschio (“maschio e femmina lo creò” – Genesi), presiede alla creazione con pari dignità e nasce da una costola dell’uomo, non dai suoi piedi. La Kabbalà è donna, la Torah lo è, come essenza più nascosta e profonda. È detta Etz Chayyim, ovvero L’Albero della vita, che per definizione è femminile, è fecondità. Dalla storica Anna Foa, passando per l’educatrice Franca Eckert Coen, emerge la luce preziosa di una sapienza antica e diversa, sia perché fondamento di una cultura da sempre eterodossa e critica, sia perché nata in seno ad una figura troppo spesso poco approfondita: la donna, appunto. Nelle conversazioni qui riportate traspare la delicatezza del ruolo femminile e la grande spiritualità della sapienza ebraica, a proposito della quale non vengono comunque omesse alcune puntualizzazioni verso un mondo maschile che spesso non si distingue da altri soggetti storici, tristemente famosi per aver relegato la donna a ruoli subalterni. Come afferma l’esperta di ebraismo Yarona Pinhas: “A noi serve una ritualità che porti alla spiritualità e a un cammino etico-morale. Dobbiamo capire che adempiamo alla mitzvot per noi stessi e non per i rabbini”.
L’ebraismo che affiora da tali testimonianze –il testo è arricchito anche da un utile glossario e nozioni relative ai testi sacri – è esemplarmente definito nella introduzione: “la donna ebrea è da sempre paradigma della diversità nella diversità”, ma un comune denominatore armonizza ogni sfumatura, il principio del Tichun Olam: secondo la Pinhas è “il processo di migliorare il mondo, un mondo imperfetto che ognuno di noi deve, anche in piccolissima parte, contribuire a migliorare”. Al di là di ogni contesto storico, un valore sembra attraversare le cure che la donna ebrea custodisce all’interno del nucleo familiare: la spiritualità della condivisione, unico vero mistero capace di rinnovarsi nonostante la brutalità della storia di ieri e di oggi.