di Sandro Moiso
Diana Johnstone, Hillary Clinton Regina del Caos, Zambon Editore, Francoforte sul Meno 2016, pp.250, € 15,00
Augusto Cantaluppi – Marco Puppini, “Non avendo mai preso un fucile tra le mani” Antifasciste italiane alla guerra civile spagnola 1936-1939, Www.Aicvas.org, Milano, 2014. pp. 160, Sip.
Sono due libri molto diversi quelli che vengono qui proposti, sia per contenuto che per finalità.
Il primo è destinato a smontare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l’immagine della candidata “democratica” Hillary Rodham Clinton alla Casa Bianca sia come rappresentante di una politica anche solo vagamente progressista, sia come portavoce delle istanze femminili nella società e nel mondo della politica .
Il secondo ricostruisce, attraverso 67 schede biografiche, le vicende fino ad ora in gran parte sconosciute delle donne italiane che parteciparono in qualche modo alla guerra di Spagna schierandosi orgogliosamente e coscientemente dalla parte della Repubblica e, soprattutto nel caso delle anarchiche (che risultarono essere anche le più numerose), della Rivoluzione.
Pur nella loro diversità di intenti, però, i due testi pongono, il primo in maniera abbastanza esplicita mentre il secondo indirettamente, la questione del “genere” all’interno di un percorso di liberazione che nel voler realizzare le principali istanze femministe o LGBT tenga conto, o meno, di una più generale liberazione della specie dai lacci e dalle schiavitù economiche, politiche, sociali, morali e religiose che impediscono agli individui di realizzarsi pienamente al di fuori delle leggi dell’accumulazione capitalistica e delle società (tutte) divise in classi.
Da questo punto di vista il testo di Diana Johnstone, americana che da decenni risiede in Europa, è, allo stesso tempo, il più esplicito e il più problematico. Non a caso, poiché la figura di Hilllary Clinton è stata e rimane centrale all’interno dell’establishment americano per quella sorta di autorappresentazione degli Stati Uniti e dei loro governi come difensori dei “diritti umani”, anche a costo di guerre “disumane”, tesa a giustificarne le ingerenze politiche e gli interventi militari e a nasconderne i reali moventi economici e politici.
Proprio per questo motivo Susan Sarandon, attrice da sempre impegnata nella critica degli abusi operati dagli USA, ha potuto dichiarare recentemente che sarebbe “meglio una vittoria di Donald Trump se il candidato dei democratici fosse Hillary Clinton”.1 Infatti la figura della ex-First Lady e ex-Segretario di Stato statunitense rappresenta, oggi, la migliore opzione alla Presidenza degli Stati Uniti per quello che la Johnstone chiama esplicitamente il “partito della guerra”.
Partito della guerra che ha fatto della difesa dei generici “diritti umani”, della multiculturalità (ovunque questa, naturalmente, si adegui agli interessi dell’impero americano) e della “società aperta” lo strumento ideale, sia dal punto di vista politico che massmediatico, per la penetrazione nella coscienza dei cittadini e l’ingerenza (sempre più spesso militare) all’interno degli stati e dei governi che non si adattino o si contrappongano agli interessi e ai dettami del capitalismo finanziario anglo-americano.
Hillary sbandiera al vento il suo voler “sfondare il soffitto di vetro” che separa le donne dagli incarichi di rilievo a beneficio di tutte le cittadine americane, facendone una sorta di battaglia femminista qualificata. Dimenticando però, come ricorda l’autrice del libro, che da anni sono donne a ricoprire importanti ed aggressivi ruoli proprio nella politica estera americana (Condoleeza Rice, Madeleine Albright, Susan Rice, la stessa Clinton ed altre ancora) e che questo non ha affatto segnato una svolta in senso meno militarista delle politiche statunitensi. Anzi.
Lo stesso smart power che la Clinton presenta come sua caratteristica di “governo” non significa altro che la promessa di tenere conto di tutte le possibili soluzioni per risolvere i contrasti o i conflitti creati ad hoc, compresa e soprattutto quella di carattere militare. E basta dare un’occhiata ai principali finanziatori/donatori della Clinton Foundation per comprendere come la parte più avanzata del movimento femminista americano abbia da tempo denunciato la falsità delle proposte della Clinton.
Arabia Saudita, Kuwait, Exxon Mobil, Qatar, Boeing, Doe, Goldman Sachs, Walmart , Emirati Arabi Uniti sono solo alcuni tra quelli che partecipano alla Fondazione con cifre dagli otto ai sette zeri. Mentre tra gli “spilorci”, che hanno versato soltanto mezzo milione o poco più di dollari, troviamo Bank of America, Chevron, Monsanto e l’immancabile Fondazione Soros. Il fior fiore del capitalismo americano, dell’élite petrolifera mondiale e della speculazione finanziaria internazionale.
Nonostante il testo della Johstone, figlia di collaboratori di Franklin Delano Roosvelt all’epoca del New Deal, sia pesantemente inficiato da inspiegabili e talvolta assurde affermazioni nei confronti dell’anarchismo e dell’internazionalismo e da una difesa sin troppo esplicita delle ragioni di Putin, la sua lettura può rappresentare un significativo momento di riflessione sulle attuali politiche di comunicazione che, attraverso la semplificazione del discorso sui generici “diritti” e l’uso di strumenti quali Twitter, seminano la confusione tra interessi generali e particolari contribuendo a far scambiare per sinistra o progressismo ciò che è soltanto, ancora una volta, una politica di divisione all’interno della grande maggioranza degli sfruttati di ogni genere, razza e nazione.
Il secondo testo, che entra a far parte della ricostruzione delle vite e dei percorsi dei combattenti nella guerra civile spagnola portata avanti da tempo dall’AIVACS (Associazione Italiana Volontari Antifascisti Combattenti in Spagna), pur non essendo privo di lacune e rimozioni e pur sposando in toto la causa antifascista e repubblicana a discapito dell’ipotesi rivoluzionaria all’interno del conflitto che insanguinò la Spagna tra il 1936 e il 1939, porta anch’esso a riflettere sulle problematiche di genere all’interno di un percorso di liberazione collettiva.
Anche se di alcune di quelle donne, che affluirono tra le file degli antifascisti e dei rivoluzionari spagnoli ed internazionali, non ci rimane oltre al nome e cognome altra testimonianza se non la sintetica constatazione “Caduta in combattimento in prima linea” dovuta ai fascicoli degli archivi della Polizia di Stato, è chiaro che la partecipazione femminile a quel conflitto fu estremamente significativa ed ebbe molte cause.
Cause che differiscono sia per motivazioni politiche che di classe. Oltre a quella comune di rivendicare un maggiore spazio e ruolo per le donne nella politica e nella società.
Una prima differenza che salta immediatamente agli occhi scorrendo le schede biografiche è quella dovuta al fatto che mentre molte donne anarchiche accorsero in Spagna come “volontarie”, quelle legate al Partito Comunista (e tra queste primeggiano donne famose come Rita Montagnana, Teresa Noce o Tina Modotti) furono spesso inviate lì in qualità di funzionarie o/e per incarico del Partito.
Molte di loro, sia di una fazione che dell’altra, arrivarono in Spagna a seguito dei compagni o dei mariti, ma tutte, una volta arrivate lì, si sarebbero date ampiamente da fare assumendo le più diverse e svariate funzioni e mansioni. Molte arrivarono per combattere, soprattutto le anarchiche che avrebbero trovato nelle formazioni rosso-nere e soprattutto nella Colonna di Ferro di Buenaventura Durruti lo spazio e il ruolo combattente richiesto.
Saranno i Decreti sulla militarizzazione del 30 settembre e del 7 ottobre 1936, emanati dal governo di Largo Caballero con il voto favorevole dei comunisti e la contrarietà del POUM, degli anarchici e dei socialisti, a definire la cosiddetta “militarizzazione” che avrà come conseguenza l’inquadramento delle milizie nelle truppe regolari della Repubblica, il ristabilimento della disciplina e dell’obbligo di saluto, la leva obbligatoria e l’espulsione delle donne dalle file dei combattenti.
Disciplina militare borghese, controllo del Partito su tutte le strutture e le iniziative potenzialmente rivoluzionarie, eliminazione anche fisica degli avversari politici nello stesso schieramento e ridimensionamento del ruolo e dell’autonomia delle donne nel contesto della guerra civile andranno così di pari passo, fino alle ultime drammatiche conseguenze. Eliminazione dell’autonomia di classe e ridimensionamento delle istanze di genere sembrano così convergere, anche se il testo, mantenendo la struttura a schede e non affrontando, se non in maniera scontata, la questione evita di sfiorare o approfondire l’argomento.
Una altro aspetto che, all’interno del testo, sembra sottolineare le differenze di classe oltre che di scelte tra le donne stesse è proprio quello delle differenti condizioni sociali e delle differenti motivazioni che spingono le donne in Spagna, già prima della guerra. Tale differenza di condizioni è ben esplicato attraverso le biografie di chi poteva vantare titoli nobiliari nel proprio casato, oppure acquisiti attraverso il matrimonio, che, magari, garantivano una funzione direttiva nelle strutture di soccorso inglesi “alle vittime” e di coloro, invece, che si erano già trovate in drammatiche condizioni economiche durante l’esilio in Francia negli anni Trenta proprio per l’origine proletaria e il lavoro salariato mal pagato a cui avevano dovuto sottoporsi. La radicalità della scelta derivava così non da una ben ponderata riflessione di carattere ideologico, ma direttamente dalle condizioni di vita, di cui veniva a costituire il naturale corollario.
Allora, come oggi, il profugo o l’emigrato politico non poteva avere molti diritti nelle nazioni che lo ospitavano, mentre era facilmente ricattabile col foglio di via qualora avesse potuto anche solo lontanamente rappresentare un problema dal punto di vista sindacale. Da qui la scarsa fiducia nell’istituzione o nell’ordine costituito, repubblicano borghese o partitico che fosse.
Due testi per alcuni versi imperfetti, ma stimolanti per le riflessioni che, direttamente o indirettamente, impongono, chiedendoci di considerare che la barricata sulla quale le donne sono spesso state chiamate a schierarsi ha sempre avuto almeno tre lati: uno di genere e due di classe.
http://www.huffingtonpost.it/2016/03/30/sarandon-trump-clinton_n_9571886.html ↩