di Bushra Al Said
Ho sognato le bombe.
Ho sognato le grida, la paura negli occhi e i punti interrogativi sui volti.
Tra le pareti cadenti e gli edifici demoliti si rannicchiavano bambini in cerca di riparo. Annaspavo e correvo cercando protezione e loro mi guardavano terrorizzati. Il rumore delle bombe era assordante.
Avevo il compito di indicar loro i vari nascondigli, ma i missili continuavano a cadere e le anime si libravano in cielo. Non ce l’avrei fatta a proteggerli tutti, non riuscivo.
Dalla mia postazione vedevo le testoline girate dalla mia parte e i loro occhi che frugavano in cerca di una risposta.
“Dove andiamo ora? Che facciamo?”
Ho sognato, ma esiste.
Buio pesto nella mia stanza. Ho il respiro pesante, lo sguardo perso. Vedo occhi sbarrati puntati su di me in attesa di indicazioni. Mi rigiro tra le coperte, ho le ossa stanche.
Li sento quei muri spogli. Parlano. In quelle città che sembrano ora abbandonate, il sibilo dei missili si sente ancora, il vento tra le finestre in frantumi grida e i bambini indossano fucili adesso, rivendicano la loro infanzia che poteva essere. Ma se chiudo gli occhi li sento, il peluche sotto le macerie, e i quadri rotti narrano storie di un tempo sbiadito.
Tempo in cui gli aquiloni si libravano alti nel cielo azzurro.
Numeri e cifre insignificanti. Date, orari, morti, feriti, età, dispersi, rifugiati. L’abbiamo sempre studiata così. Sui libri vi sono elenchi infiniti delle varie tappe salienti di ogni guerra. Ma ci interessano davvero?
Queste guerre che non conoscono grazia e pietà, massacri legali consentiti e voluti da interessi politico-economici che non devono render conto di niente e a nessuno.
Nonostante tutto, però, le onde sovrastano lo stesso gli scogli. Se non riescono a sorpassarli tornano indietro e ripartono con piú rabbia. Non si abbattono, anche se poche gocce vanno oltre, fin quando l’intera onda non sovrasta quegli scogli che alle volte appaiono immensi.
È così che mi sento oggi, ma domani è un altro giorno.