di Nico Macce,
con un intervento di Giorgio Cremaschi della Piattaforma Sociale Eurostop
In questo 11 marzo mi scorre ancora davanti agli occhi la protervia di coloro che nelle giornate di scontri a Bologna per l’assassinio di Francesco Lorusso, ci appellavano, noi del Movimento, come violenti. In quel marzo ’77 erano insulti sibilati da chi mandava avanti i carri armati, da chi si faceva scudo con gli scudi delle forze di polizia. Le stesse forze che stroncavano la vita in via Mascarella a uno studente di Lotta Continua.
Erano argomentazioni strumentali. Il tempo ci ha dato ragione.
Perché ora altre immagini si accavallano nella mente. Uomini d’apparato con il nome di partito cambiato con un lavaggio col DASH, nani tristi finalmente al governo, li vedo come fosse oggi discettare in tv di intervento umanitario mentre la Yugoslavia bruciava sotto le bombe NATO di Clinton e delle carogne europee occidentali. Il gran bel circolo di carogne di regime di cui finalmente questi burocrati facevano parte. Ma questa non era forse violenza? Era la fine degli anni novanta.
È di questi giorni la querelle se andare in Libia con le truppe oppure no. Un antico vizio che ha alle spalle diverse italiche spedizioni e l’odore stantìo di un elmetto coloniale.
Gli alleati, USA per primi, spingono perché l’Italia si metta alla testa del contingente NATO che sbarcherà in Libia. Ma Renzi, che già scaldava i motori dei carri armati, ha frenato nel leggere i sondaggi: più dell’80% degli italiani è contrario all’intervento in Libia.
In realtà è solo questione di tempo, breve tempo. Solo questione di come gestire l’operazione senza perdere troppo consenso. Il somaro va sempre legato dove vuole il padrone.
E poi, per dirla tutta, l’Italia con i suoi alleati NATO è in guerra già da 25 anni, sin dai tempi della prima guerra in Iraq. La presenza in Libia dei servizi di intelligence italiani è già un atto di guerra, come i droni statunitensi che partono dalle nostre basi. A Sigonella ci sono già quattro cacciabombardieri AMX pronti al decollo e già da tempo la parola “militare” ha sostituito la parola “umanitario” di fianco alla parola “intervento”. Le menzogne però restano. Oggi è il contrasto all’ISIS, quando ormai è chiaro che questo cancro terroristico è farina del nostro sacco, delle intelligence occidentali, USA in testa e in combutta con petromonarchie e Turchia: un grande esercito di zimbelli tagliagole catapultato nelle zone da predare, dove ci sono governi non compatibili, secondo il metodo NATO: guerra e caos. In palio sul terreno libico c’è tanto petrolio di prima scelta.
Solo che c’è un problema: quell’80% e passa. La gente non ci casca più. Forse non avremo in piazza le masse oceaniche del primo attacco all’Iraq con tutto l’occidente a seguire quel petroliere corrotto di Bush padre nel primo attacco in grande stile, ma gli “italiani” quelli tanto sbandierati dalle sgodevoli Serracchiani, con le loro ciance: quelle riforme che gli italiani vogliono e via col jobs act, con la “buona” scuola, eccetera, non ne voglio mezza e neanche l’altra mezza di una guerra sotto casa, di aumentare le probabilità di avere tanti Bataclan nelle loro città.
I sondaggi parlano chiaro.
Non ci saranno la folle oceaniche pacifiste, ma dal 16 gennaio scorso qualcosa di nuovo è successo. Un movimento contro la guerra e contro la NATO ha fatto il suo ingresso sulla scena politica: il Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra, la NATO. Un movimento fuori dalle tradizionali organizzazioni della pseudo-sinistra, composto da un vasto arco di organizzazioni politiche, sociali e sindacali della sinistra radicale e dell’antagonismo diffuso che si sta organizzando, che ha sfidato la censura dei media di regime, che ha forato la coltre di disinformazione.
È un movimento che non ci sta a vedere migliaia di migranti che scappano da una guerra creata dall’Occidente, essere respinti alle porte della fortezza Europa, deportati, lasciati al gelo invernale, depredati come fa la “civilissima” Danimarca, essere merce di scambio di un dittatore macellaio come Erdogan, a cui l’UE elargirà ben sei miliardi chiudendo un occhio sulla distruzione della stampa d’opposizione in Turchia, mente l’altro occhio dei tecnocrati di Bruxelles e dei governi occidentali era già chiuso sul genocidio dei curdi e sulla repressione sanguinaria di sindacati e forze d’opposizione.
Questo movimento è il risveglio di una coscienza sociale che va oltre il semplice pacifismo, che è consapevole dei rischi di un’escalation bellica. Una coscienza antimperialista alimentata dalle condizioni di precarietà e dalla nuova povertà diffusa perché da lì provengono i protagonisti del movimento che gridano il loro no alla guerra e alla NATO, no all’austerity, no al governo Renzi, che riaffermano la solidarietà sociale e di classe, che non ha confini ma solo muri da abbattere.
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12 Marzo, un’autoconvocazione contro la guerra.
di Giorgio Cremaschi della Piattaforma Sociale Eurostop
Saranno almeno 30 le manifestazioni che si svolgeranno sabato 12 marzo contro la guerra in tutta Italia. La data della mobilitazione era stata lanciata da un coordinamento di organizzazioni sindacali, pacifiste, ambientaliste, politiche e da militanti dei movimenti sociali. Alle manifestazioni inizialmente previste se ne sono progressivamente aggiunte molte altre, promosse da organizzazioni pacifiste di base, laiche e cattoliche. Il 12 marzo è così diventata una sorta di appuntamento di autoconvocazione contro la guerra al di fuori delle tradizionali organizzazioni sindacali e politiche del centrosinistra, totalmente assenti dalla mobilitazione, paralizzate come sono dai rapporti con il Partito Democratico.
Il 12 marzo è quindi la prima volta di una mobilitazione che sfugge alle solite etichettature e che anche per questo è stata ignorata dai mass media. Ma è una mobilitazione che si farà sentire, mostrando che al di fuori degli schieramenti politici e sociali che sono rappresentati nei talk show c’è tutto un mondo che si sta organizzando e mobilitando.
Obama ha definito come un errore la guerra in Libia del 2011, voluta da Cameron , Sarkozy e Napolitano. Lo stesso giudizio autocritico aveva espresso Blair sulla guerra in Iraq. Le guerre del passato vengono riconosciute come sbagliate, ma per rimediare ai loro disastri se ne progettano delle altre. E l’Italia è sempre più coinvolta in esse.
Anche se il presidente del consiglio ha frenato sull’invio di truppe in Libia, il nostro paese è sempre più coinvolto nelle avventure militari, nel commercio e nella installazione degli strumenti di morte. E i rischi per il nostro paese sono sempre più gravi, come dimostrano la recente vicenda degli ostaggi in Libia e l’assassinio di Regeni in Egitto. Dopo 25 anni bisognerebbe prima di tutto dire basta alla guerra e alla NATO che la diffonde. L’Italia dovrebbe semplicemente ripristinare l’articolo 11 della Costituzione, sempre più impunemente e ripetutamente violato dai governi. E si dovrebbero fermare, prima che facciano danni irreparabili, quelle politiche che in nome della guerra distruggono i diritti democratici e perseguitano profughi e migranti, che la stessa guerra ha fatto fuggire dai loro paesi. E si dovrebbe finirla di armare le peggiori dittature.
Il movimento che riparte il 12 marzo contro la guerra non ha ancora la forza delle mobilitazioni del passato e ne è consapevole. Però è anche consapevole che non siano più sufficienti generici obiettivi pacifisti, perché bisogna mettere in discussione la guerra ed il sistema di potere che la sostiene, l’azione militare all’estero e le politiche autoritarie all’interno.
Le manifestazioni, che percorreranno tutto il paese, avranno quindi questo doppio segno di rifiuto della guerra vera e propria e delle politiche istituzionali ed economiche che l’accompagnano.
Si manifesterà dalla Valle Susa, ove da anni si sperimenta la militarizzazione del territorio per il devastante TAV, alla Sicilia da dove partono i droni che vanno a bombardare in Libia ed in Siria. Dalla Sardegna delle infinite servitù militari a Ghedi, vicino a Brescia, dove si installano ordigni nucleari in spregio al trattato di non proliferazione. Dalla base dei costosissimi F35 a Novara, a quella di Camp Derby a Pisa. Si manifesterà a Roma davanti al comando operativo NATO e a Vicenza, Napoli, Ancona, Bologna, Bari, Faenza, Avellino, Perugia, Rimini e i tanti altri luoghi.
Senza nascondersi alcuna difficoltà, un movimento riparte anche nel paese che da qualche anno è il più depresso e passivo d’Europa.
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Questo movimento domani 12 marzo sarà in piazza in decine di città italiane.
Ecco alcuni link per conoscere i contenuti politici e le singole iniziative: