di Simone Scaffidi
Simone Pieranni, Settantadue. #DialisiCriminale, Alegre Edizioni, 2016, pp. 245, € 16.00
Quattro ore di amplessi sanguigni tra Roma, Genova e la Cina.
Mi sveglio con un formicolio al braccio sinistro e un leggero mal di testa.
Sono andato a letto con il libro sbagliato ieri sera.
Sento freddo e ho una gran sete.
E in più, odio i vecchi.
Avrei dovuto immaginarmelo dal sottotitolo che era il libro sbagliato. Ma prima avrei dovuto conoscere il significato della parola dialisi per poterlo immaginare. «La verità: il novantanove per cento delle persone non ha idea di cosa sia la dialisi. Allora a quel punto o spieghi o stai zitto. Io sto zitto» [p. 23]. Questa volta Simone Pieranni – giornalista de Il Manifesto e fondatore dell’agenzia editoriale internazionale China Files – ha deciso di parlare, di spiegare con le armi del frammento e dell’ironia com’è la vita di un essere umano giovane dentro la dialisi. E ha deciso di farlo ingannando la normatività del reale con l’illegalismo della finzione, frullando se stesso con le storie delle sue città e dei suoi compagni di dialisi.
La narrazione si sviluppa dialetticamente in un attacco-stacco continuo, per questa ragione le prime pagine del libro risultano stranianti. Senza il sopraggiungere dello stacco, l’attacco perde di senso – e viceversa – in una rincorsa che dura una vita e che rappresenta la vita stessa: della storia che avete tra le mani e dell’autore che ve la racconta. Al primo stacco, che arriva presto, il lettore comincia a orientarsi nei flussi ematici e a soppesare il processo di sbancamento e riempimento che attraversa la storia.
Dando uno sguardo all’indice si possono individuare due correnti: quella della «Macchina» che scandisce i battiti del tempo; e quella di «Genova», «Roma» e «Shanghai» che occupa e storicizza lo spazio. I capitoli dedicati alla «Macchina» sembrano concentrarsi sulla malattia, sui compagni di dialisi – pazienti, infermieri, dottori – e sulle loro storie; mentre quelli che portano il nome delle città sembrano scavare con maggiore profondità i sentimenti dell’autore. Ma sarebbe una tentazione fallace quella di «dividere» i piani. Le linee narrative infatti s’intrecciano lungo tutta l’opera e il sentire individuale si mescola al sentire collettivo senza soluzione di continuità. In queste pagine non c’è sangue puro che tenga – né nella forma, né nei contenuti –; i conflitti, come le contraddizioni e le tossicità, non vengono mai sanate fino in fondo – né dalla «Macchina», né tanto meno dalle «Città» – ma trafiggono trasversalmente le vite dei personaggi e dell’autore-personaggio.
Settantadue è una storia che scorre a fiotti, tamponata all’occorrenza e depurata da sterili commiserazioni e vittimismi. È un’opera seria e divertente, mai seriosa e superficiale. Si ride, e si ride di gusto, a leggere Pieranni maledire i vecchi che stanno in dialisi, entrati a settantanni in terapia, non a trenta. Vecchi che puzzano, e che si lamentano, e che – soprattutto – non hanno proprio nulla di romantico. Al reparto Emodialisi c’è una squadra intera che li detesta, Pieranni indossa i pantaloncini del Genoa, ed è pronto a calciare contro di loro parabole ciniche e spietate. È arrivato ad offrire mille euro per ammazzare un vecchio, che chiamano Giulio Verme, la cui testa è partita e ha fatto piangere una vecchietta facendole credere che Gigi d’Alessio era morto, proprio mentre lei stava cantando un suo tormentone con le cuffie nelle orecchie.
Della squadra che odia i vecchi fa parte anche Mauro – che con Denise e Dorotea forma un trio esplosivo – uno che arriva in dialisi con le guardie penitenziarie e che ha bazzicato gli ambienti della banda più famosa della Capitale: la Banda della Magliana. Tra un ago 17 e un altro piantato nel braccio, Mauro srotola parole tronche e con un filo rosso annoda le vicende criminali degli anni Settanta con quelle dei giorni nostri. Pieranni le insegue anche fuori dal reparto, intervista Il Fascista, un vecchio compagno di scorribande di Mauro, e tra un appunto vocale e un immancabile caffè, restituisce in letteratura l’humus criminale di una Roma pulsante, più contemporanea che mai.
La Storia si mescola così al diario, all’indagine giornalistica e all’introspezione, esaltando la commistione di significati figlia del meticciato letterario. Vale per Roma, per Genova e per la Cina. La consapevolezza e il mestiere dell’autore nell’utilizzo del racconto storico è evidente. Mai esercizio di stile, ma incursione premeditata e accorta funzionale al potenziamento di un processo narrativo già di per sé ricco di interrogativi profondi e dubbi creativi.
Settantadue regala poi operazioni a cuore aperto, pagine autentiche in cui godiamo di una densa sensazione di empatia e calore, un bagno caldo in recondite emozioni individuali e collettive, immersi in un flusso sanguigno che fugge e ricerca – al medesimo tempo – un abbandono.
«Ed ecco l’abbandono. Forse è il protagonista che cerco in queste vite. Cerco la possibilità di ritrovare altre prospettive, altri modi di concepire l’abbandono. Cerco i rimedi, le traiettorie all’interno delle quali altri hanno posto l’angoscia. Sfuggire, accaparrare tempo e lasciare andare. Cerco esperienze che mi insegnino a mettermi davvero nei panni di altri senza trasferirvi altri “me”, e la ragione per cui le cerco nelle vite di queste persone è una sola: abbiamo una cosa in comune. Abbiamo in comune il flusso sanguigno che ripara da fosforo e potassio, mentre i nostri corpi si abbandonano alla vita ospedaliera. Una vita reclusa, in un letto-bilancia, con i minuti che segnano il peso che perdiamo. La livella dialitica: siamo tutti uguali. Tutti sfuggiamo a un abbandono. Una morte, un amore, una fortuna e forse, in fondo, una vita normale» [p. 33].
Il dolore al braccio che sembrava svanito, è ora tornato.
Ho bisogno di un’altro libro sbagliato con cui passare la notte.
Abbandonarmi all’arsura della sete.
Di seguito, i titoli finora usciti per la collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per Alegre Edizioni. Se cliccate sui link trovate le recensioni finora apparse su Carmillaonline:
1. Yamunin (Luigi Chiarella), Diario di Zona
2. Valerio Marchi, Il derby del bambino morto
3. Lello Saracino, Il tenore partigiano
4. Alberto Prunetti, PCSP-Piccola Controstoria Popolare
5. Giuliano Santoro, Al palo della morte
6. Simone Pieranni, Settantadue