di Fabrizio Lorusso
Sono molti i punti critici e salienti della visita di Papa Francesco in Messico, svoltasi dal 12 febbraio al 17, che non sono (quasi) apparsi sui media fuori dal Messico e che si riferiscono non solo a cosa ha fatto Bergoglio, ma soprattutto alle sue omissioni e ai suoi silenzi, senza dubbio molto significativi. Strategicamente ha coperto il territorio e alcuni settori della società, concentrandosi però sulle élite. Queste hanno avuto pieno accesso al pontefice, mentre i rappresentanti della società civile sono comparsi come figuranti. Geograficamente è passato dal centro (Città del Messico, Ecatepec, Michoacán) al sud (Chiapas, frontiera meridionale) e al nord (Ciudad Juárez, frontiera con gli USA). L’asse Nord-Sud è un elemento importante del pontificato di Bergoglio e la denuncia degli eccessi del capitalismo, delle disuguaglianze e della povertà ne è un asse portante. Per cui il suo discorso si riproduce come un canovaccio ovunque con qualche variazione sul tema.
Il momento del Messico
In Messico il copione ha funzionato e i media del mondo hanno osannato la visita del vescovo di Roma e i suoi discorsi contro la corruzione, anche nella Chiesa, e contro i privilegi e il narcotraffico. Ma il nucleo è sempre lo stesso, quello della dottrina sociale della Chiesa. Wojtyla utilizzava lo stesso corpus dottrinario e retoriche simili per parlare dell’asse Est-Ovest durante la Guerra fredda e degli eccessi del blocco sovietico. Ma l’impressione, nel suo caso, è che si schierasse tout court contro il comunismo. Caduta l’Unione Sovietica e i regimi dell’Est europeo, anche il Papa polacco cominciò a muoversi verso una retorica contro gli eccessi del mercato. Il filo rosso appare incentrato più sulla difesa del tradizionalismo, delle prerogative della Chiesa e di prospettive anti-moderne e, in parte, antiliberali che sull’attacco a questo o a quel sistema economico-politico.
Il “momento messicano” di gennaio e febbraio era molto delicato per cui il governo e la diplomazia non poteva tollerare altri colpi all’immagine del Paese. L’uccisione della sindaca Gisela Mota, la cattura del boss El Chapo Guzmán e l’intervista di Sean Penn che ha ridicolizzato il governo, le proteste per i 43 ragazzi desaparecidos di Ayotzinapa il 26 gennaio, a 14 mesi dal loro sequestro e sparizione. Poi il caso di cinque turisti messicani, una famiglia, desaparecidos a Veracruz per mano della polizia. E infine l’uccisione brutale della giornalista Anabel Flores, freelance dello stato di Veracruz, e il massacro avvenuto nella prigione di Topo Chico, a Monterrey, con un bilancio di 49 morti tra i reclusi. Il Papa ha portato un po’ d’aria fresca per l’esecutivo. Le sue critiche sono state leggere e sono state neutralizzate, anche se nel mondo la percezione è stata diversa.
Francesco ha incontrato la classe dirigente messicana nelle sue tre componenti principali: imprenditoriale e finanziaria (Carlos Slim, uomo tra i più ricchi della Terra, e un centinaio tra i più importanti imprenditori messicani a Ciudad Juárez); ecclesiastica (Episcopato Messicano e alti prelati); politica (Presidente e consorte, Angélica Rivera, onnipresenti, Manuel Velasco, governatore del Chiapas e aspirante alla presidenza, e poi una sfilata costante di politici locali e nazionali in tutto il viaggio).
Incontri e silenzi
Ha avuto incontri con alcuni settori sociali e popolari, anche se si trattava, all’interno di ogni categoria, di gruppi “scelti” o cooptati dalle rispettive diplomazie, la vaticana e la messicana. Indigeni, lavoratori, vittime della violenza, giovani, famiglie, carcerati, migranti, operatori del sociale. In Messico, però, sono state denunciate le mancanze gravi della visita e le occasioni perdute per dare un segnale chiaro alla società e alla classe dirigente.
Bergoglio non ha praticamente mai citato, nemmeno cripticamente, lo Stato, il governo e le loro rispettive responsabilità. Ha parlato genericamente di corruzione, sequestro e traffico di persone, senza additare né segnalare. Parallelamente, dunque, tutti i problemi si riconducono ai narcos, ai “trafficanti della morte”, intesi come entità quasi astratta, priva di referenti e conniventi, come fosse un rappresentante del male assoluto. Il riferimento quindi non va mai al governo, alle polizie, ai sindaci o ai funzionari pubblici che in alcuni casi sono ingranaggi e pezzi integranti delle stesse organizzazioni criminali, le favoriscono o, semplicemente, le coprono e le lasciano operare. Era un accordo diplomatico. Solo sull’aereo di ritorno Papa Francesco ha brevemente menzionato alcune tematiche che in Messico sono sensibili e avrebbero fatto la differenza: la pedofilia nella Chiesa cattolica e i desaparecidos.
Chiapas e “questione indigena”
Sul tema degli indigeni, in Chiapas (link Radio Onda D’Urto), il Papa ha reso omaggio a Vasco de Quiroga, il “protettore degli indios” del secolo XVI, e alla tomba dell’ex vescovo di San Cristóbal de las Casas, vicino al movimento dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e alla teologia della liberazione, Samuel Ruíz. Storicamente la Chiesa, dopo i primi anni di barbarie dei conquistadores spagnoli, già nel secolo XVI s’era mossa in difesa delle popolazioni autoctone americane in quanto la loro estinzione totale avrebbe implicato l’eliminazione della manodopera necessaria all’impresa coloniale, com’era accaduto nei Caraibi dove si prese a schiavizzare e “importare” schiavi di colore dall’Africa, e dei fedeli necessari all’espansione del cristianesimo in America.
D’altro canto Bergoglio ha incontrato alcuni rappresentanti di comunità indigene ed è stato accolto da canti e preghiere nelle tre lingue più parlate nella regione: chol, tzeltal e tzotzil. Il suo passaggio nello stato più povero del Paese, governato da un’alleanza tra il partito del presidente, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), e il PVEM (Partito Verde Ecologista Messicano, cui appartiene il governatore Manuel Velasco) è stato celebrato internazionalmente. Al centro del discorso del pontefice c’erano gli indigeni esclusi e le ingiustizie, la dignità di questi popoli e la loro importanza per l’identità messicana. Ma al centro dell’agenda politica, in realtà, c’era l’urgenza di recuperare i territori che vanno dal Chiapas a Panama, dato che sono quelli in cui l’emorragia di fedeli è inarrestabile e avanzano i pentecostali e gli evangelici. La visita alla tomba del prete-militante Ruíz ´servita invece a “recuperare” i settori più combattivi del movimento indigeno che collima con lo zapatismo o ne è parte effettiva.
E i desaparecidos? E il pedofilo Marcial Maciel?
In tutto il suo viaggio Francesco non ha nominato le persone scomparse o desaparecidos, la pederastia clericale, il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa e i femminicidi, nonostante la sua tappa a Ciudad Juárez, la città simbolo di questo delitto di genere contro le donne.
In Michoacán, dove il Papa ha partecipato a vari eventi, i seminaristi in coro hanno contato da 1 a 43 per ricordare i desaparecidos di Ayotzinapa, ma i media internazionali quasi non ne hanno parlato. Proprio in quella regione nacque e cominciò a operare padre Marcial Maciel, fondatore della potente congregazione dei Legionari di Cristo e responsabile di decine di atti di pedofilia e molestie sessuali. Ci sono documenti che mostrano che il Vaticano ne era conoscenza e l’ha coperto per anni. Le indagini contro Maciel sono andate a rilento. Il fondatore dei potentissimi Legionari, che molti servigi hanno reso al Vaticano in terra azteca, è morto, ma è rimasto impunito. Anche se pedofili e criminali, i grandi servitori della Chiesa pare possano trovare un posto d’onore nella storia. E infatti Bergoglio ha addirittura perdonato la congregazione in vista del Giubileo.
Le vittime di Maciel in Messico avevano chiesto udienza al Santo Padre, ma questa non è stata concessa perché, secondo quanto Bergoglio ha dichiarato alla stampa, gli incontri con quelle vittime c’erano già stati in passato. Traduzione: non s’è voluto attaccare alla radice il problema, né dare visibilità alle vittime, in quanto significava magnificare le malefatte del Vaticano, ed è stato meglio criticare solo gli eccessi della curia in termini economici.
Ayotzinapa e i retroscena diplomatici vaticani
Il Papa non ha incontrato le vittime della strage di Iguala del 26 settembre 2014 e i genitori dei ragazzi di Ayotzinapa desaparecidos nonostante la società e i gruppi che li sostengono lo chiedesse a gran voce. Ha sostenuto invece che i diversi gruppi di vittime di sparizione forzata sono “in lotta tra di loro” e che comunque non avrebbe potuto incontrare tutte le vittime. Menzogne e scuse. Per i femminicidi sembra sia stato applicato lo stesso pretesto. Non ha nominato i giornalisti, gli attivisti, i prigionieri politici e i difensori dei diritti umani che vivono intollerabili persecuzioni. Il capitalismo selvaggio viene criticato, ma non i grandi progetti di spoliazione di territori e comunità, i megaprogetti minerari ed energetici, frutto di un modello di sviluppo escludente trainato dagli investimenti transnazionali e dalla brama di battere cassa del governo di turno.
Non la mancanza di tempo o l’ignoranza dei fatti, non i presunti dissidi interni tra i gruppi sociali o il ruolo di “capo di Stato” di Francesco. Quali sono i motivi veri del silenzio?
Il pontefice non ha potuto o voluto nominare lo Stato messicano, né legare i mali del Messico alle politiche di questi anni o al connubio narcos-Stato-economia (legale e non). Parlare di Ayotzinapa e desaparecidos, ma anche citare i diritti umani o i crimini contro la stampa, implica automaticamente richiamare casi che han fatto il giro del mondo e sono ancora aperti. Privi di giustizia e giustificazioni. Sono spine nel fianco del governo perché le parole stesse, “diritti umani” o “desaparecido”, incorporano nella loro definizione i concetti di omissione o d’azione diretta da parte dei poteri pubblici in una violazione gravissima contro una o più persone. Chiedere giustizia, come fa la società messicana organizzata da decenni, significa rivelare queste trame ed esporsi. “Narcos”, “privilegi” e “corruzione” sono sostantivi vuoti, vaghi, se non si specificano le loro interconnessioni e gli attori che le promuovono. Certo il narcotraffico e i trafficanti ci sono, sono una parte del problema sociale gravissimo del Paese.
Inoltre i “narcos” non sono dei folli sanguinari isolati dal mondo: il mercato finale delle droghe che passano dal Messico, così come quello delle persone vittime di tratta e dei migranti, si trova negli Stati Uniti e in Europa, mentre i morti della narcoguerra militarizzata restano a sud, anche per via della connivenza e la corruzione di politici, funzionari e mercanti della guerra che inondano di armi il Messico e tanti altri territori. I messaggi del Papa sono stati ampi e generici sui temi “caldi” per il governo messicano, su quelli sociali e politici, e più efficaci su quelli religiosi, rivolti all’episcopato, anche se alla fine la pedofilia ne è rimasta fuori. S’è parlato dunque di narcotraffico, ma non della mafiosità diffusa nelle istituzioni e in certe aree. Il Papa si scaglia, giustamente, contro la corruzione e i privilegi, ma non menziona i corrotti e i privilegiati, che invece fanno sfoggio di moine e selfie con cui dimostrano il loro potere, la loro “fede” e la sprezzante soddisfazione per “averla fatta franca”, di nuovo.
Vetrina di governo
Il viaggio di Francesco è stato gestito alla stregua dei megaeventi sportivi e, infatti, ha riscosso un grande successo di pubblico e di share in TV. Il governo del presidente Peña Nieto è uscito vincitore nonostante le critiche e l’esposizione dei problemi sociali messicani realizzate da una parte dei mass media. Il presidente, sua moglie e il loro entourage politico e del mondo dello spettacolo hanno praticamente scortato il pontefice ovunque fosse possibile. Le critiche generiche del Papa non hanno toccato le corde sensibili e la classe politica nel suo complesso ha potuto fare orecchio da mercante, approvando sui social network le parti critiche dei discorsi papali, soprattutto sul tema della corruzione e i privilegi. Ormai la ricerca della legittimità delle dirigenze politiche non risiede più nel popolo o nel loro operato, cioè nei risultati concreti, quanto nel gattopardismo e nelle dimostrazioni pubbliche della loro religiosità. In altre parole ha prevalso la figura del politico buon cattolico, che è screditato e criticato dalla gente, ma si guadagna consensi facendosi vedere con il Papa e realizzando opere in fretta e furia per mostrare in TV una città pulita quando passa il capo della Chiesa.
Pochi media internazionali hanno spiegato che la moglie del presidente Peña, l’attrice Angélica Rivera, nota anche come “La Gaviota” (La gabbiana), è nel mezzo di due scandali: uno di corruzione, per via della “casa Bianca”, residenza-abitazione sua e del presidente a Città del Messico, che sarebbe stata comprata con giri “poco trasparenti” da un’azienda contrattista di governo che in questi anni ha ottenuto molte commesse (Gruppo Higa), e un altro legato ai dubbi molto seri circa l’annullamento del suo precedente matrimonio religioso da parte del Vaticano, senza il quale non si sarebbe potuta risposare con Peña Nieto. I casi restano aperti a livello giornalistico, non giudiziario, ma accendono i riflettori su affari economico-religiosi poco chiari.
Trump e gli specchi per le allodole
La polemica Donald Trump-Papa Francesco è servita ai fini elettorali del candidato americano alle primarie repubblicane e alla copertura dei punti critici della conferenza stampa itinerante da parte del Vaticano. Le provocazioni e le frasi estrapolate dal battibecco mediatico tra i due sono diventate virali e globali e hanno generato simpatie e consensi ai rispettivi pubblici di riferimento dei leader. I commenti di Bergoglio sul virus zika, quasi inesistente in Messico ma in espansione in Brasile, e l’aborto hanno coronato una conferenza stampa che è parte di una strategia mediatica ben orchestrata: commentare a freddo le domande che a caldo la società messicana avrebbe voluto rivolgere al pontefice e le critiche che non sono potute emergere prima.
Parlando dell’epidemia dello zika, Bergoglio non ha aperto sulla contraccezione, ma ha solo dichiarato che non è un “male assoluto”. Ciononostante non pochi mezzi di comunicazione, anche in Messico, hanno elogiato questa presunta “svolta”, ma non hanno parlato del tema dell’aborto che è delicatissimo. La metà dei 32 stati messicani non solo non permettono l’interruzione della gravidanza, neppure entro le 12 settimane, ma la penalizzano, per cui centinaia di donne scontano pene pesantissime e portano al collasso il sistema penitenziario. Solo a Città del Messico l’aborto è regolato e permesso.
Uno degli specchietti per le allodole, imboscato nell’omelia papale durante la sua visita presso la Basilica di Gudalupe, è stata la frase in cui, senza mai citarlo direttamente, Bergoglio ha criticato il culto alla Santa Muerte, osteggiato da sempre dalla Chiesa in tutti modi proprio per via della sua crescita inesorabile.
“Mi preoccupano particolarmente tanti che, sedotti dalla potenza vuota del mondo, esaltano le chimere e si vestono con i loro macabri simboli per commercializzare la morte in cambio di monete che, alla fine, ‘le termiti e l’ossido fanno marcire e per le quali i ladri perforano muri o rubano’. Vi chiedo di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il narcotraffico rappresenta per l’intera società messicana”, ha detto. Nuovamente si ripete il mantra della Santa Muerte come Madonna dei narcos e del delinquenti, mostrando, nel migliore dei casi, un’ignoranza enorme sul tema dei culti popolari messicani o una malafede classista e razzista verso la popolazione, comunque cattolica, che include tra le sue protettrici anche la Santa Parca con la falce.
Durante i preparativi per il tour papale si sono scontrati due gruppi con visioni diverse: governo e Conferenza dell’Episcopato Messicano, Legionari di Cristo e televisioni (Tv Azteca e TeleVisa) sposavano la prospettiva del potere e hanno prevalso nell’organizzazione del viaggio, mentre all’opposto c’erano la Compagnia di Gesù, gruppi ecclesiastici di base e organizzazioni della società civile, le quali volevano rendere visibili le vittime della delinquenza che risultano scomode al governo e denunciare il “patto d’impunità” tra classi dirigenti e criminalità. S’è trattato quindi d’una visita cooptata dalle diplomazie, più di Stato che pastorale, come invece era stata definita inizialmente, e diretta alle varie élite del Paese per rimettere un po’ d’ordine nelle gerarchie e inaugurare nuove fruttuose collaborazioni. Un’occasione perduta per rompere il silenzio (Link Latinoamericando Radio Coop Padova) o sulla grave crisi dei diritti umani messicana.