di Walter Catalano

Ligotti1Se esistono in abbondanza scrittori presenzialisti, brillanti, piacioni, estroversi, sempre pronti a farsi avanti – a ragione o a sproposito – per esternare la propria opinione su qualsivoglia argomento, o semplicemente manifestare in ogni modo possibile una, più o meno ingombrante, presenza nel mondo delle lettere e in quello più vasto della presunta e pretesa vita reale, ne esistono anche – in netta minoranza – altri che dovremmo definire per antitesi “assenzialisti”: mai apparsi in televisione, mai partecipato a un dibattito, mai presentato un libro in pubblico, mai firmata una copia; gli unici  segni di vita, le uniche testimonianze, le uniche tracce di passaggio, per chi si dà la briga di cercarle, sono rappresentate dalla loro opera stessa. Forse il più radicale in assoluto fra questi ultimi è l’americano Thomas Ligotti.

Circoleranno si e no una mezza dozzina di foto pubbliche (e pure vecchie di qualche anno) che lo ritraggono e poche sporadiche interviste sulla stampa specializzata: qualche anno fa ci fu perfino chi si chiese se il misterioso autore esistesse davvero. Sì, esisteva. Aveva iniziato a pubblicare nel 1989 con la raccolta di racconti Song of a Dead dreamer ed il suo nome aveva circolato, da principio, unicamente nel ristretto mondo del weird; nel 1991 era seguita una seconda silloge di racconti, Grimscribe, e nel 1994 una terza, Noctuary; nel 1996 The Nightmare Factory, selezione dei racconti delle tre precedenti raccolte si era aggiudicata il Premio Bram Stoker, riconoscimento che la Horror Writer’s Association statunitense assegna annualmente ai migliori autori del settore. Decisamente Ligotti esisteva, ma pochi se ne erano accorti: l’autore di Detroit era, come qualcuno disse, “un segreto molto ben custodito”.

Lo aveva scoperto frattanto, dall’altra parte dell’Atlantico, David Tibet, leader dei Current 93,  band che spaziava dal post-Industrial al folk apocalittico, ed era scaturito dal loro incontro virtuale un sodalizio fecondo tra due spiriti affini: “Quel che apprezzo di più dell’opera dei Current 93 – aveva dichiarato Ligotti vincendo la sua naturale laconicità – è la loro intensità visionaria assoluta e in particolare quel loro senso di morbosità e di disgusto per il mondo”, da parte sua Tibet aveva replicato: “Per chiunque sia interessato al lavoro che ho prodotto con i Current 93 negli ultimi tredici anni, devo dire una cosa sola: leggetevi Ligotti”. Fra il 1997 e il 2001 le musiche di Tibet avevano accompagnato i racconti di Ligotti in tre CD/libro: In a Foreign Town, in a Foreign Land (1997); I Have a Special Plan for This World (2000); This Degenerate Little Town (2001) e numerosi omaggi sono disseminati in tutta la sua opera musicale, in particolare in All the Pretty Little Horses, in cui si può ascoltare la voce di Ligotti registrata al telefono, e in Soft Black Stars, titolo ripreso da un racconto dell’ultima raccolta ligottiana, Teatro Grottesco.

Il pubblico dell’underground così aveva ormai iniziato a considerare lo scrittore italo-americano un autore di riferimento, ma il suo nome restava ancora sconosciuto ai più. Ci voleva un evento oltremodo singolare per far emergere dall’oscurità e dare finalmente un giusto riconoscimento a questo geniale outsider (nel senso che Lovecraft e Colin Wilson avrebbero attribuito al termine). Nel 2014 la serie TV True Detective ottiene un successo straordinario di pubblico e di critica, lo sceneggiatore e produttore esecutivo Nic Pizzolatto concepisce un noir opprimente e claustrofobico che rimanda direttamente alla tradizione gotica con ampi ed espliciti riferimenti al classico dell’horror The King in Yellow di Robert W. Chambers. Un personaggio in particolare possiede un carisma malsano e irresistibile, il detective Rustin “Rust” Cohle, magistralmente interpretato da Matthew McConaughey: uomo cupo e tormentato, portavoce di una visione disperata e nichilistica del mondo che lo porta a sostenere posizioni filosofiche radicalmente antinataliste. A seguito dell’attenzione generale che i media statunitensi riversano sulla migliore serie TV dell’anno, un giornalista scopre casualmente che gran parte dei dialoghi di Cohle sono parafrasi quasi letterali dell’unica opera saggistica di Thomas Ligotti, The Conspiracy against the Human Race (2010), in cui si articola un pensiero del tutto analogo, in equilibrio fra Leopardi e Cioran. L’articolo, con la comparazione fronte a fronte fra i testi di Ligotti ed i dialoghi di True Detective, viene pubblicato su internet (qui uno dei link) e ripreso dalla stampa e Pizzolatto, che fino a quel momento non ha mai fatto il nome di Ligotti, è costretto a dichiarare pubblicamente e ripetutamente di aver voluto rendere un omaggio doveroso ad uno dei suoi scrittori preferiti, al maestro che più di ogni altro lo ha influenzato: ha così messo in bocca al personaggio di Cohle le idee, lo stile ed il lessico delle opere del grande Thomas Ligotti. Mossa astuta: una citazione onorifica non è un plagio diretto, o difficilmente lo si potrebbe sostenere in tribunale. Ma Ligotti non ha la minima intenzione di protestare e, come al solito, si tiene fuori dalla mischia.

L’apparente plagio si trasforma nel più grande favore che il plagiario potesse fare al plagiato: l’attenzione del mondo letterario tout court, al di fuori dei confini ristretti del genere horror e weird, si punta sullo sfuggente autore di Detroit che, da sempre perseguitato da crisi di panico, depressione cronica, attacchi devastanti di colite spastica, resta barricato al riparo e si limita a concedere solo qualche intervista in più (qui una interessante intervista in italiano).

Nel giro di pochi mesi le prime, quasi introvabili, opere di Ligotti, Songs of a Dead Dreamer e Grimscribe, vengono ristampate in un unico volume, con introduzione di Jeff VanderMeer, nella prestigiosa collana Penguin Classics e l’ineffabile Tom ha l’onore di entrare nell’esiguo numero, dieci autori in tutto, degli scrittori ancora viventi in essa inclusi (su tale collocazione, probabilmente, Ligotti avrebbe da obbiettare, essendosi definito in qualche intervista solo “semi-vivo”). Sarebbe paradossale vedere il suo nome, fino a poco tempo fa quasi del tutto ignoto, nella lista dei best seller USA, ma la natura profondamente disturbante della sua narrativa gli eviterà probabilmente questo genere di rischio.

Inevitabile che non ci fosse anche una ricaduta italiana di questo insolito exploit ligottiano. Gli unici ad accorgersi di lui fino ad ora erano stati Armando Corridore ed Ugo Malaguti per la piccola ma attenta Elara, casa editrice tradizionalmente “di fantascienza”, che già nel 2007 aveva pubblicato l’opera prima di Ligotti I canti di un sognatore morto, con traduzioni dello stesso Corridore e qualche modifica nella scelta dei racconti rispetto all’edizione originale. Corridore ha da poco mandato in stampa le sue nuove traduzioni della seconda antologia ligottiana, Grimscribe, titolo efficacemente adattato – su suggerimento dello stesso Ligotti – come Lo scriba macabro, che colmando le lacune, se unita alla precedente, corrisponde più o meno, all’edizione originale dei Penguin Classics. Questa operazione editoriale, già in lavorazione da tempo seppur limitata dall’ambiente minimale dell’editoria di genere e dalla mancanza di distribuzione in libreria, non nasce sotto l’influsso della moda ed è stata solo accelerata dall’improvviso successo internazionale dell’autore, mentre l’attenzione nei suoi confronti da parte di un altro editore mainstream molto più grande e con distribuzione regolare, è invece in larga misura dovuta agli ultimi, imprevedibili sviluppi della sua carriera letteraria: infatti un’imbarazzante fascetta e una plateale nota sul retro di copertina sbandierano spudorate citazioni e riferimenti a Pizzolatto e a True Detective. Il Saggiatore, per altro, porta in libreria una splendida edizione, molto ben tradotta, della più recente raccolta di racconti dello scrittore, Teatro Grottesco, la cui edizione originale era stata pubblicata nel 2006 e ristampata nel 2008. Si vocifera inoltre di imminenti traduzioni del restante materiale inedito in italiano: la terza raccolta Noctuary, il quasi-romanzo My Work is not yet Done: Three Tales of Corporate Horror (2002) e soprattutto il saggio The Cospiracy against the Human Race, lugubre e plutonia origine delle fortune sia di Pizzolatto che di Ligotti. Improbabile invece la pubblicazione della raccolta poetica Death Poems (2004, ristampata con aggiunte nel 2013), tetra e desolante quanto mai ma, per chi legge l’inglese e non teme la depressione, assolutamente da conoscere.

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L’attenzione sempre più generalizzata per un autore così estremo e faticoso, così inattuale e del tutto refrattario a qualsiasi imbonimento nei confronti del pubblico, non può fare che piacere. Ligotti appartiene solo per convenzione al panorama del weird e dell’horror e la sua implicita inclusione, sia da parte di Penguin che de Il Saggiatore, in quello mainstream non risulta affatto inappropriata. Le angosce di Ligotti sono di ordine filosofico, metafisico ed esistenziale, le sue visioni abissali rimandano, se cerchiamo un’approssimazione, al cinema espressionista tedesco e i suoi autori di riferimento – ancor più di Poe e Lovecraft, troppo spesso chiamati in causa in suo proposito – sembrano essere per sua stessa ammissione, Kafka, Kubin, Schultz, Borges, Burroughs, Nabokov, Leopardi, Buzzati, Beckett, Bernhard e Cioran: come ha puntualizzato lui stesso: “tutti pessimisti con uno stile letterario intenso e profondamente soggettivo”.

Un americano molto europeo che resta profondamente fedele a se stesso, alla natura quasi patologica della sua ispirazione, (scrittore “dilettante” – dice – che scrive solo quando sta così male da non poterne fare a meno e durante la scrittura sta ancora peggio) eppure va modificando nel corso della sua attività letteraria stile e tematiche. I primi racconti sono più in linea con la tradizione gotica anglosassone (l’orrore urbano  alla Matheson con The Frolic, quello cosmico alla Lovecraft con The Last Feast of Harlequin o The Sect of the Idiot, quello psicologico alla King con Les Fleurs, la rilettura personalissima del vampirismo di The Lost Art of Twilight, ecc.); in seguito la sua narrativa si fa più involuta e stilizzata, statica e priva di conflitti e di personaggi, contemplazione arida e impassibile dell’incubo (gran parte dei racconti di Grimscribe, come Nethescurial, The Cocoons, The Library of Bysantium, The Shadow at the Bottom of the World, ecc.); nella fase più recente si raggiungono, a mio parere, i risultati più perfetti: la trasfigurazione onirica e delirante, non priva di humor nero, del mondo reale, la distorsione deformante della prospettiva ordinaria su paesaggi e situazioni quotidiane: la città (Purity, The Town Manager, Gas Station Carnivals, The Clown Puppet); il lavoro e la fabbrica (The Red Tower, My Case for Retributive Action, Our Temporary Supervisor o il corporate horror di My Work is not yet Done); gli ambienti artistici e intellettuali (Teatro Grottesco, The Bungalow House, Severini).

E proprio nella sua ultima antologia, Teatro Grottesco, Ligotti tocca i vertici (forse, meglio, gli abissi) dell’originalità e dell’efficacia, riuscendo a costruire malsani deliri suddivisi in tre diverse sezioni: “Disordini”, “Deformazioni” e “I guasti e i malati”. In esse l’abituale anedonia depressiva dell’autore cede il passo ad un allucinato sarcasmo che echeggia persino, forse involontariamente, toni politici o sociali nella rappresentazione visionaria della condizione operaia (l’eccezionale Our Temporary Supervisor), di quella impiegatizia e burocratica (My Case for Retributive Action, The Town Manager) o dei processi di produzione industriale (l’altrettanto eccezionale The Red Tower). Fra i vari elementi perturbanti di molti fra questi ultimi racconti, ricorre un sintomo mai preso in considerazione nella narrativa del terrore ma che Ligotti ricorda spesso, avendolo patito direttamente: il disturbo gastroenterico, la dispepsia, la diarrea nervosa. Una discesa assolutamente materialistica nel corpo e nella carne che riporta al tangibile e al concreto l’astrazione fantomatica di deliri e allucinazioni.

La lettura di Ligotti non è un’esperienza facile e, certe volte, nemmeno piacevole: è però un’esperienza letteraria da fare. Scrittore estremo, scrittore radicale: quindi scrittore interessante, cioè scrittore tout court (perché se non si è interessanti che si pretende di scrivere ?). L’antitesi dell’intellettuale da salotto, del tuttologo televisivo, del fondatore di scuole di scrittura creativa con l’occhio perennemente rivolto allo sponsor: uno che dice cose sgradevoli; uno dal profilo basso e dall’ego a mezz’asta; uno che non sarebbe mai assunto per vergare i proclami di un politicante (a meno che il politicante non nutrisse intenti suicidi); uno che difficilmente potrebbe diventare il portavoce di un movimento d’opinione e, altrettanto difficilmente, rimorchiarsi un’ammiratrice in cerca di autografi.  We love you, Thomas Ligotti!

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“Ha una particolare “Musa” ? – gli chiedono gli intervistatori. “Sì, la malattia del corpo e della mente” – risponde. “Ci sono cose di cui ha paura ?” -“Sta scherzando ? Ho paura di tutto.  Ho persino paura di tradire le cose specifiche di cui ho paura”. “La mia opinione è che sia una dannata vergogna che la vita organica si sia sviluppata su questo o su qualsiasi altro pianeta, che il dolore necessariamente patito dalle creature viventi renda l’esistenza nient’altro che un incubo perenne: questa è l’attitudine che ha determinato gran parte di quello che ho scritto”. “Quando ero un adolescente mi sono buttato sulle droghe e sull’alcool come un papero nell’acqua. Poi sono scoppiato e non ho più potuto usare intossicanti convenzionali senza risultati terrificanti. Per caso scoprii che la narrativa horror e la letteratura in generale erano l’approssimazione più stretta che potevo raggiungere a quel genere di fuga che un tempo mi fornivano le droghe e l’alcool”. (parlando di Thomas Bernhard) “Nessuno scrittore mantiene permanentemente il suo status antisociale. La società ti addomestica e così ti neutralizza”. “Le mie raccolte di storie horror hanno ottenuto un’alta percentuale di recensioni favorevoli. Non credo che nessuna di quelle recensioni abbia mai menzionato il fatto che io non sono minimamente niente di niente. Comunque grazie lo stesso”. “Questo è il mio augurio: che ogni cosa vivente al momento della sua morte, spiri in una condizione gioiosa. Tutto è bene quel che finisce bene. Naturalmente questo turberebbe l’ordine naturale delle cose, e la gente comincerebbe a suicidarsi come se nulla fosse. Per assicurare la continuazione di questo baraccone di carne che chiamiamo Vita, è necessario temere il dolore e l’afflizione della morte e lottare ad ogni costo per evitare l’inevitabile”. “Prendete la prima coppia di frasi di Berenice: ‘La disgrazia è molteplice. La sventura sulla terra è multiforme’. Chi nella precedente letteratura occidentale avrebbe osato aprire un racconto in un simile modo se non forse con intenzioni parodistiche ? L’autorità di Poe nella sfera letteraria ha ispirato altri, in tutto il mondo, a schierarsi con lui sotto la stessa bandiera nera. Negli Usa non c’è un gran salto fra la dichiarazione di Poe in Berenice e l’incipit di Lovecraft ad Arthur Jermyn: ‘La vita è una cosa orribile…’. E’ questo il tipo di Decadence che mi ha sempre interessato – la libertà, dopo migliaia di anni sotto la sferza di religioni confortanti e la tirannia politica della positività – che non sono altro che strumenti di controllo delle folle – di dichiarare ad altri che nei loro cuori non possono più mentire a se stessi su quel che davvero pensano del valore, o meglio della mancanza di valore, della vita umana”. E alla domanda: “Allora Thomas Ligotti è un nichilista ? Sogna un nero nulla inorganico, la purezza del vuoto assoluto ? Sogna il proprio ‘Tsalal’ (la parola ebraica per il concetto di ‘tenebra che tutto consuma’ ?)” – risponde: “Bene, ‘tenebra che tutto consuma’ suggerisce che ci sia qualcosa in atto nell’universo. Non è quello che auspico. Non voglio un universo in cui perfino il nulla sia in atto”. Rustin Cohle non avrebbe niente da eccepire.

Thomas Ligotti, Teatro grottesco, Il Saggiatore, 2015, pp. 281, € 19,00

Thomas Ligotti, Songs of a Dead Dreamer and Grimscribe, Penguin Classics, 2015, pp. 464, $ 17,00

Thomas Ligotti, Lo scriba macabro, Elara Libri, 2015, pp. 224, € 16,50