di Marilù Oliva
Martin Pollack, Paesaggi contaminati. Per una nuova mappa della memoria. Keller editore, Rovereto 2016, pagine 144, euro 14.
«Quando anni fa mi misi alla ricerca delle scene dei crimini, la casa di pietre era scomparsa. Un signore anziano mi condusse su un prato dove pascolavano delle pecore. È successo qui, mi disse, facendo un largo movimento con la mano. Qui le persone vennero fucilate e coperte di terra. Attorno non c’era nient’altro che una natura apparentemente intatta. Uno splendido paesaggio montano. Cime tondeggianti, pascoli verdi con greggi di pecore e mucche, boschi».
Cosa sono i paesaggi contaminati? I luoghi scelti per uccisioni di massa eseguite clandestinamente e poi occultate con la massima segretezza. Sì, perché parte delle vittime dell’olocausto (e non solo, ma anche di tante persecuzioni novecentesche) sono state sepolte in forma anonima e i colpevoli, per cancellare le tracce di questi eccidi, hanno sfruttato il territorio come una complice, immensa tomba. L’arte dell’improvvisazione unita a una discreta dose di competenza e di esperienza. Si trattava di buche immense, a volte molto profonde, in cui venivano accatastati corpi senza nome gettati alla rinfusa, talvolta in ordine, con un unico scopo: renderli invisibili.
«Il nemico deve essere ingannato. Ingannare e mimetizzare. Cose simili accadono con le fosse comuni. Per gli estranei devono essere invisibili, annullarsi nel paesaggio, diventare un tutt’uno».
Gli anziani ricordano, spesso le autorità sanno ma si rifiutano di localizzare la zona e riesumare eventi, assieme a resti, che preferiscono non approfondire. Però il territorio parla, soprattutto se chi lo interroga è conoscitore di questi meccanismi. E così sono saltate fuori ossa da burroni, radure, avvallamenti. Persino da boschi, perché spesso le cave sono state riempite di terra, appianate e ricoperte di vegetazione che è cresciuta rigogliosa e concimata dai cadaveri.
Martin Pollack, giornalista, studioso e scrittore austriaco nato nel 1944 a Bad Hall, ci svela in questo libro un’Europa inedita, nello specifico centrale e orientale, fatta di panorami avvelenati da innumerevoli massacri in parte soffocati nell’oblio: da Rechnitz nel Burgenland a Kočevski rog in Slovenia e Kurapaty vicino a Minsk. Lo fa riunendo diversi ambiti come geopolitica, memoria, reportage e indagine storica, alla ricerca di una verità sepolta e sollevando continue domande, come ad esempio: come vivono le persone che abitano accanto (quando non addirittura sopra) a questi cimiteri nascosti? Quanti cadaveri occorrono perché si cominci a parlare di fosse comuni, dieci, cinquanta, cento? Quanti paesaggi idilliaci nascondono le stragi?
«L’Europa è disseminata di campi di battaglia, palcoscenici di guerre di posizione logoranti, offensive sanguinose, intere strisce di terra diventarono metafora di lotte e morti insensate. Nella memoria collettiva queste regioni divennero paesaggi di guerra sui quali spesso sembra farsi largo un tetro paesaggio di morte».
Uno studio attento e pieno di humanitas all’inseguimento della ferocia che ha segnato la Mitteleuropa, una discrasia fortissima tra bellezza e annullamento, tra il diritto di esistere e la sua negazione, tra il ricordo e la cancellazione, portata avanti con maestria e onestà da uno scrittore che si fa rabdomante di verità, anche quando questa è negata. Il filo conduttore tra ieri e oggi è evidente e l’ha sottolineato anche l’autore nelle sue dichiarazioni: se gli occultamenti affondano le loro radici nel secolo passato, è anche vero che le conseguenze si riverberano nel presente e nelle democrazie illiberali che ancora governano parte significativa del mondo e che si confermano tanto più robuste quanto meno resiste la nostra memoria.