di Danilo Arona

ValleHo sempre scritto.

Non ho mai fatto altro.

Un po’ di anni fa ho scoperto un luogo a pochi chilometri da Alessandria sul serio colmo di stranezze. Troppe. E ho fatto l’unica cosa che sono in grado di fare.

Scriverne.

Più di una volta attraverso la rete ho ripercorso gli eventi in modo sommario, senza scendere nel morboso dettaglio delle identità anagrafiche dei protagonisti, defunti – una lunga e inspiegabile lista, tanti giovani,  e chiedendo al contempo un aiuto da parte di qualche abitante del luogo.

L’ho fatto per anni in maniera, confesso, retorica e più che altro per assicurami la benevolenza del lettore. Poi quattro anni fa, dopo diversi appelli, ha risposto una ragazza sulla trentina. In maniera quasi scocciata. Per breve tempo persino nascondendosi dietro il generico pseudonimo “Miss”.

Miss, quasi costretta a uscire fuori dal suo bozzolo di silenzio, che al di là del suo approccio cortese quanto gelido faceva ben intravedere il messaggio:

«Cosa cazzo vuoi? Come ti permetti?»

In realtà Miss, solo con la scelta di scrivermi, mi dava ragione. In quel fazzoletto del Piemonte, una microscopica escrescenza sulla pelle del pianeta, stagnava qualcosa di subdolo e indecifrabile. Come subdole e indecifrabili erano, sono, le troppe morti, un numero statisticamente assurdo al di là delle cause diverse, che della Cosa sono il sintomo.

Con Miss ho scambiato impressioni, dati e appunti. Ci siamo incontrati anche qualche volta. Lei è bella e motivata e la sua intuizione è pertinente.

E sconvolgente. 

Nella Valle la terra ha avuto e ha dato. Adesso non ha più e allora toglie, si involve, si ritira risucchiando in una ipotetica voragine case e persone. La terra ti divora. Non è più mietuta e allora miete vittime, in tutti i modi che può. Una forza inconcepibile sotto i piedi di ogni abitante della valle. La terra a suo modo si ribella.

Se la nostra missione fosse quella di dar volto a un misterioso assassino o, peggio, a un mostro, il mostro sarebbe la terra, fuor di metafora.

Un po’ come nel racconto Il colore venuto dallo spazio di Lovecraft – concedetemi la parentesi letteraria – dove la terra di campagna dalle parti di Arkham si ammala per colpa di un meteorite spaziale, e una realtà per altri versi somigliante al Demone del Granturco, di cui narra King in Children of the Corn, quell’entità invisibile chiamata dai suoi giovani seguaci “Colui che Cammina dietro i Filari”, che forse altro non è che il granturco stesso.

E, restando ancora qualche secondo in ambito letterario, giusto per tentare di farvi capire qualcosa che noi ancora non abbiamo capito del tutto, il termine di paragone più calzante arriva da uno scrittore americano prematuramente scomparso e oggi purtroppo poco conosciuto, Charles Beaumont.

Charles nacque nel 1929 e morì nel ’67 per  una malattia degenerativa. Lavorò a diversi episodi della celebre serie Ai confini della realtà, ma di lui resta nella mia mente – perché null’altro potrebbe spiegare più da vicino il mistero della Valle – il racconto Qualcosa nella terra dove è proprio la terra stessa a opporsi fisicamente al devastante piano di cementificazione dell’ultima area verde del pianeta. Una terra che nelle ultime righe reagisce all’arroganza dell’uomo in questo modo:

«… la città tremò e cominciò a crollare, l’aria si riempiva di urla e di grida, e radici di alberi giganteschi cominciarono a uscire da sotto le pietre, rovesciando e distruggendo gli edifici. E le acque traboccarono dai canali sotterranei e presero a fluire all’aperto. E le montagne spinsero il terreno di lato e crebbero, facendo posto anche per i campi e le foreste.»

Ovvio, l’immagine è fantascientifica, apocalisse a 360°. Nulla del genere accade o è mai accaduto nella Valle. Non cedo alla tentazione di ricordare che forse qualcosa del genere accade spesso qua è la nel mondo. Il paradigma di Beaumont si applica per paradosso. Qui non accade più niente perché la terra è stata abbandonata. Lasciata a se stessa. E allora si aprono neri abissi ma non negli spazi che percepiamo alla luce del sole.

Gli abissi in cui scompaiono vite, giovani e non giovani, si aprono in un Altrove che è qui, accanto a noi, ma che non vediamo. Una dimensione che interagisce sempre con quella che riteniamo essere l’unica registrata dai nostri sensi.

Quello spazio quantico in cui l’essenza della terra sta ululando dal dolore maledicendo i traditori e gli ingrati.

La terra di cui parlo è madre della Valle.

Da un po’ di mesi in qua con Miss ci siamo scoperti a parlare della Valle come di entità fantasmatica e pensante. Quasi per deferenza, non so chi sia stato il primo, abbiamo iniziato a usare il maiuscolo.

La Valle. Una Cosa che vive per effetto della terra che vuole divorare i suoi figli. Una categoria. Una divinità. Aggiusto il tiro di una frase scritta in precedenza: la terra non viene più mietuta e la Valle miete vittime. Si tratta di un’inezia, me ne rendo conto, il senso non cambia.

Però funziona meglio: la Valle pensa, la Valle agisce, la Valle ci mette i bastoni fra le ruote.

Ad esempio, ambedue avvertiamo che la Valle non gradisce il nostro interesse. Registriamo sempre degli intoppi da un po’ di tempo in qua. La sorella di Miss, che gestisce un bar nella Valle, ha subito un brutto incidente con il proprio cane e Miss per mesi ha dovuto occuparsi dell’attività, lasciando perdere tutto il resto. Io, al primo incontro con lei, mi sono ritrovato all’andata con il navigatore “ubriaco”, impiegandoci un’ora in più del dovuto, e all’andata ho preso in pieno lo spigolo di un muretto che non poteva trovarsi lì dato quel che vedevo.

Sciocchezze, direte. Senza dubbio,  ma io preferisco definirle “avvisaglie”.

Peraltro nulla confronto a quel che sta succedendo adesso, in questo momento.

Qui, dove scrivo. E ovunque vada.

Perché la terra è una. Dappertutto.

«Non ricordo quando la cosa ebbe inizio. Mesi or sono? Anni? So che a un periodo di sconvolgimenti politici e sociali si andava aggiungendo la strana e cupa apprensione di un orrendo pericolo fisico; un pericolo diffuso che comprendeva tutto, un pericolo quale può essere immaginato solo nei più atroci incubi notturni. Ricordo che la gente si aggirava con facce pallide e preoccupate, sussurrando avvertimenti e profezie che nessuno poi osava consapevolmente ripetere o riconoscere di aver udito. Un mostruoso senso di colpa gravava sulle città della terra e dagli abissi interstellari sembravano giungere fredde correnti che facevano rabbrividire chi si trovava in posti bui e solitari. Vi era una diabolica alterazione nel corso delle stagioni, e da noi un caldo autunno indugiava paurosamente, dando l’impressione che il mondo – forse l’universo – fosse sfuggito al controllo delle divinità note e delle forze conosciute.»

Questo cupo ma altrettanto realistico frammento non appartiene all’oggi come si potrebbe interpretare, ma è l’incipit di un breve racconto del più visionario degli scrittori, il già citato H. P. Lovecraft, Nyarlathotep, il caos strisciante, dedicato a uno dei più importanti demoni-dei del mostruoso pantheon di Chtulhu. L’opera è stata scritta nel 1920 e il termine “visionario”, dal quale ogni scrittore del lato oscuro ambirebbe essere insignito, sta a indicare un raro e metafisico potere di percezione del divenire della realtà tramite inconsapevoli collegamenti con invisibili piani sottili al di là della medesima. E non a caso il racconto Nyarlathotep sarebbe stato ispirato da un sogno, come lo stesso Lovecraft confermò in una lettera del 1921.

Qui, su queste pagine che scaturiscono da una deprimente congerie di fatti di cronaca vera, non interessa la disquisizione sulla creatura. Sono i suoi effetti condivisi e collettivi. Simbolo o mostro interstellare quale possa essere, la sua “ricaduta” sul reale è sotto i nostri occhi tutti i giorni e tutti i giorni difettiamo della visione d’insieme.

Sicuramente io non lo chiamo Nyarlatothep, ma il Crawling Chaos è al lavoro.

Chi lo nega è cieco e sciocco.

Quante “Valli” esistono in Italia, in Europa e nel mondo?

La terra è una sola.

E, se scritta così, pare la riproposta della nota “ipotesi Gaia” di James Lovelock – la terra come organismo vivente formato dai quattro elementi vitali e basici (aria, roccia, organismi vegetali e animali e, buona ultima, l’acqua) -, non occorre essere visionari per capire che da un po’ di tempo in qua la terra si sta incazzando. Non intendo scantonare, quanto meno dal mio e dal nostro caso personale – quello che riguarda la Valle – , mettendomi a elencare le troppe anomalie geomagnetiche degli ultimi anni, ma che sia un Caos Strisciante al lavoro sotto i nostri piedi, nell’aria e nelle menti mi pare innegabile. Anzi, l’ammetterlo, senza delirare sulla sua genesi, è un umile fatto di buon senso.