di Nino Buenaventura
[A seguire post poetico di fine anno tra Messico e Italia]
Piuttosto, io
Voi, siete porci
inequivocabilmente seri!
Grufolate ai piedi
della quercia sociale,
masticando i deboli
grugnendo di cravatte.
Piuttosto, io
capigliatura da matto,
pazzoide a piedi scalzi
solco l’asfalto
tra le cuspidi arricciate
dell’esistenza
rimanendo assolto
nelle forme voluttuose
della bellezza,
della libertà.
Afferro vorace il seno
di colei che,
come mela silvestre,
mitiga la fame;
In lontananza
la folla si increspa.
Ci attende
In principio erano canti
In principio erano canti,
poi arrivarono i tuoni.
I fragorosi lampi delle vostre industrie!
Lembi di terra e carne
lacrime in polvere
si innalzarono a epitaffio,
inciso sul gelido sorriso.
In principio era il canto di una giovane donna,
il suo esistere sommesso.
Fu un attimo e si chiuse nel silenzioso timore
di chi la dignità
la nasconde gelosa
ai grandi signori, agli alti funzionari…
ai loro diritti.
Avete stuprato valli,
sventrato mari,
crivellato i nostri cuori d’argilla.
Ne avete profittato
tassi alti dal nostro misero ruspare.
Servirebbero parole ancor più forti,
per descrivere.
Versi e versi per enumerare.
Io proprio non li ho!
Tu che straparli
delle stagioni di una volta,
puoi sentire ora la pioggia
che cade in Medio Oriente?
Bologna, Ottobre 2015
Ripulisco lo zaino dalla polvere del Messico
sciacquo il mio viso dalla dignità ribelle
Cerco uno spazio alle mie mani,
un angolo che non sia straniero nel mio stesso cuore.
Riprendo i costumi
Odio gli usi
Singhiozzo i luoghi comuni
Mi lancio nella banalità di una sera,
nella difficoltà di infilarsi le solite stesse scarpe.
Infine
mi prostro alla mancanza
della strada
del coraggio.
Di un continente che quieto e dignitoso
si posa sull’arroganza delle carte geografiche.
Firenze, 22/8/2015
Tornerai, Rivoluzione
La tua immagine si compose
macchiando lentamente l’orizzonte,
avevi terra negli stivali
e c’erano i calli sulle tue mani,
avevi i capelli lunghi e neri,
un tatuaggio in náhuatl sulla spalla.
Mi chiedesti:
“Che fai qui,
tra le pietre di questo deserto?”
“Aspettavo il passaggio dell’aquila
aspettavo che scorresse l’acqua
aspettavo lo sguardo del serpente.”
ti risposi.
Mi guardasti con il viso saggio
le tue braccia come morte
apristi le labbra,
uniche bacche rosse in un mar color castagna,
e dicesti:
“I campi sono recintati,
i serpenti come carogne
crocifissi sul filo spinato.
Le aquile volano
lontano dallo sguardo della gente
e il fiume è deviato a raffreddare acciaio.”
“Alzati!
Molto tempo ho dovuto nascondermi
molto tempo mi hai aspettata.”
Appoggiasti la tua mano sopra il mio petto:
“L’ombra dell’aquila è dipinta
sulla mia pelle scurita dal sole,
il mio corpo non ha padroni
e dal mio cuore ancora fluisce un fiume”
Mi alzai e ti seguii,
più o meno come fa
la polvere nel vento.
Messico, dicembre 2014