di Vittorio Catani
Quando la turbolancia attraccò e i sei furono sulla terraferma, Aldo rimase incerto se la primitività di quel panorama tropicale con folte palme, viottoli sterrati, case basse e rudimentali, bungalow come capanne, facesse da “pendant” ancestrale all’antico sogno umano che pareva si stesse realizzando in quel luogo; o invece facesse da contrasto alle tecnologie rivoluzionarie che, sapeva, erano sottese a quel sogno. Il volo dall’Italia era stato lungo ed estenuante, il soggiorno prenotato aveva richiesto alti costi, in più lui amava le profondità marine quanto invece aborriva le altezze stratosferiche (l’aereo non era il suo forte). E tuttavia ora, mentre si accodava con gli altri alla guida locale, intuì come un fulmine – un presagio? – che non avrebbe avuto rimpianti.
Il luogo, Managava, era poco più che un atollo delle Isole Cook: Polinesia “doc” quindi. Senza voltarsi, la guida disse in inglese:
— Da quella parte.
Dopo pochi minuti di cammino, fra i tronchi trasparì una piccola struttura alberghiera. Seguirono alcune consuete procedure: registrazione, documenti, chiavi, bagaglio. Il direttore dell’albergo, un polinesiano dall’aria serafica, li ricevette annunciando con un sorriso: — Fra mezz’ora ci ritroviamo qui. Andremo alla palestra e vi presenterò all’istruttore.
Aldo apprezzò la semplicità gradevole della stanza assegnatagli. L’unica finestra si apriva su una riposante vista di alberi, terreno sabbioso e, più in là, una pittoresca striscia azzurra. Sistemò il contenuto della valigia. Avevano assicurato che tutto l’occorrente sarebbe stato fornito in loco. Aveva portato la sua vecchia maschera da sub: non per usarla, ma un suo portafortuna che non lasciava mai quando doveva immergersi. Più che mai in questa circostanza.
Quella che chiamavano “palestra”, scoprì all’appuntamento mezz’ora più tardi, era un capannone spoglio e rimbombante poco distante dall’albergo. Sul suolo sabbioso ma battuto che fungeva da pavimento erano posate una cattedra e sedie, alla parete si allargava una lavagna-schermo; a un muro laterale era addossato un vascone cubico enorme in apparenza di vetro, dai lati di almeno tre metri. Era colmo d’acqua, probabilmente marina. Su un fianco saliva una scaletta.
Il direttore li fece accomodare e uscì. Venne un signore biondiccio sui cinquanta, che borbottò un saluto e sedette alla cattedra. Li fissò uno per uno, a lungo. Il gruppo era di quattro maschi e due donne; confluivano da diverse parti del mondo e Aldo aveva saputo chi e quanti fossero i compagni di questa avventura solo quando, sbarcati dal piroscafo, si erano ritrovati sulla turbolancia che li aveva portati a riva. L’età, giudicò Aldo, variava fra i trenta (lui) e i cinquanta; gli altri tre maschi (Mark, Ferenc e Antoine) davano un’impressione più o meno atletica; una delle due donne, Betty, sembrava una casalinga un po’ sfatta e avresti pensato di trovarla dovunque ma non lì. L’altra, Vanessa, era invece di quelle che Aldo, scherzando con amici, avrebbe additato con una sua vecchia battuta: “Mi sento male”; di media statura, bionda, prometteva prosperosità ad alta tensione… I pensieri furono interrotti dal signore alla cattedra:
— Salve. Mi chiamo Bluthhegel, sono il vostro Istruttore. — L’inglese dell’individuo tradiva un accento teutonico; alle parole, la mascella pareva ondeggiare stranamente in modo orizzontale. — Eviterò inutili preamboli — proseguì Bluthhegel. — Sono convinto che la teoria venga dopo la pratica: e allora incominciamo… così!
Sussurrò qualcosa in un cellulare: entrò una polinesiana, che ebbe un leggero inchino e si diresse ancheggiando verso il vascone. In mano aveva una specie di larga sciarpa scura un po’ rigida, da cui pendevano cavetti. Osservando meglio l’oggetto si notavano led accesi e piccoli display. — La signorina — disse Bluthhegel — è una “acquanauta”. Nella sua lingua si chiama Fiore‑di‑Manihiki, e sarete d’accordo che il nome le si addice…
Nella sala si era levato un leggero mormorio. Che fosse un fiore era evidente. Era praticamente nuda eccettuato un sottilissimo tanga. Le pelle scura pareva dorata. Eppure in quel momento l’attenzione di Aldo era attirata più da altri dettagli. Sul torace, sulla spalla, sul collo della donna, erano evidenti impianti bioelettronici, sensori, minuscole “prese”. Con naturalezza la ragazza sorrise ed esordì:
— Vedete? È semplicissimo. — Sistemò l’apparato attorno al torace, collegandosi con rapidità ai vari attacchi. Su un quadrante verificò che ogni innesto fosse al suo posto e ben saldo, e mentre spiegava i suoi gesti regolò alcuni indici. Salì la scaletta lungo il vascone e in cima dichiarò: — Il mio limite di resistenza è una settimana a cento metri di profondità.
Si tuffò. Piroettò un poco, sedette sul fondo, da una tasca del giubbotto estrasse un libro plastificato e si mise a leggere tranquillamente tra vortici di bollicine.
— L’apparato che indossa il nostro Fiore — disse Bluthhegel con tono sornione — si chiama “bip”, che è pronuncia di beap, Bio-Electronic Amphibious Prothesis. Il bip svolge tecnologicamente la funzione di branchie/polmoni, protegge dai fenomeni di decompressione, potenzia la difesa di pelle e cornee dai sali. Possiede un sistema di recettori chimici, sensibili agli odori sciolti in acqua, analogo al sistema laterale dei pesci; c’è un apparato di localizzazione e riflessione dei suoni, insomma un eco-scandaglio. Ma attenzione: anzitutto la protesi interviene nel complesso scambio tra acqua marina e sangue umano. Questa tecnologia, signori, supera problemi ritenuti finora insormontabili. Il bip deve estrarre ossigeno dall’acqua appena viene inalata, nonché parti di azoto e anidride carbonica, esistenti nel mare come scarto del plancton e di altri organismi. Il bip deve anche filtrare ed espellere oggetti estranei o eventuali sostanze dannose. I gas estratti dall’acqua inspirata dal naso entrano a contatto col sangue, l’acqua viene eliminata per via orale col CO2. Occorre mantenere il corpo alla sua temperatura naturale altrimenti sopraggiunge morte per ipotermia: la notevole energia necessaria si è ottenuta con batterie atomiche a fusione fredda: potenti, a lunghissima durata ed ecologiche.
Bluthhegel fece un cenno al Fiore-sirena, che riemerse dalla vasca per ridiscendere dalla scaletta esterna, non prima d’essersi riesibita in un inverosimile balletto subacqueo che avrebbe fatto l’invidia di un delfino, accompagnata da uno scroscio interminabile di applausi, “brava!”, “bis!”. Entrarono alcuni tecnici: recavano sei bip, uno per ciascuno dei presenti.
— La tecnologia può apparire un po’ invasiva, ma gli innesti sono a sicurezza garantita, facilmente maneggiabili, ma soprattutto reversibili, diciamo “smontabili” — ricordò Bluthhegel — e tarabili su caratteristiche fisiologiche personali. Ora passiamo subito nel laboratorio medico. Avete speso bel denaro, inutile farvi perdere tempo.
Due giorni dopo ci furono prove nel vascone alla presenza di specialisti e attrezzature mediche. Il giorno prima era stato dedicato all’innesto dei “fori” sul corpo e all’illustrazione dell’uso e dei movimenti, e ora pareva che le “prese” fossero “attecchite” senza problemi. Giunse il turno di Aldo: fu assistito per indossare il suo apparato, poi si tuffò. L’acqua era a temperatura ambiente, eppure lui la percepì quasi tiepida. Si fece coraggio e, come gli era stato raccomandato, inalò acqua di colpo. Restò sbalordito: gli sembrava di averlo sempre fatto. Il bip funzionava! Sentiva una specie di calore, energia che s’irradiava dal torace a tutto il corpo. Gli girava un po’ la testa, ma era una situazione inebriante. Riuscì ad esibirsi in alcune capriole.
ll giorno dopo venne la vera esercitazione: nel mare e all’aperto e Aldo capì che sarebbe stata dura. Il tempo era cambiato, c’era un vento fresco e marosi alti due metri. Andarono al largo con gli istruttori. Appena si calò, Aldo non sentì più freddo. L’agitazione delle onde aveva intorbidito acque propagandate “verdi e cristalline”: giunto solo due metri sotto, il mare era calmo e già buio. Accesero tutti le luci; per distinguersi, ogni lampada aveva riflessi leggermente colorati. Le luci dei due istruttori erano bianche e intermittenti, la sua aveva toni arancio. Si accodarono agli istruttori e iniziò la discesa.
Planavano lentamente. Lui inspirava acqua e la riespelleva con bollicine dalla bocca in una specie di riflesso automatico, quasi l’avesse sempre fatto. L’istruttore, poco prima di prendere il mare, aveva ricordato al gruppo un argomento che doveva rassicurare ulteriormente:
— Tenete ben presente che l’uomo viene al mondo respirando per nove mesi un liquido, nella placenta. Il corpo non dimentica.
Ora Aldo gonfiava e sgonfiava il torace, c’era un leggero rombo nelle orecchie; aveva già sviluppato il riflesso muscolare che gli evitava d’inghiottire: pure un sorso sarebbe stato drammatico. A volte la visuale si offuscava, tuttavia non pareva che per gli istruttori fosse un problema. Fu urtato duramente nel buio, non riuscì a distinguere da cosa. Un grosso pesce? Un tecnico, tra mille altre cose, aveva assicurato che la zona era stata bonificata dagli squali.
Continuarono nella discesa.
L’indicatore di profondità del suo bip ora segnava già 56 metri. Non sapeva se rallegrarsene o impaurirsi. A parte il leggero rombo, ora attutito, il silenzio era innaturale, da altro pianeta. A tratti pervenivano lontani, misteriosi rimbombi sordi. Le luci sembravano essersi allargate come se andassero alla deriva reciproca, in una leggiadra esplosione silenziosa, una sorta di micro-big bang, con lui al centro. Stelle in espansione. Due luci parvero tremolare, impallidire lontane… Ebbe un momento di apprensione, l’oscurità gli aveva fatto perdere il senso dell’equilibrio e stavolta lo aggredì qualcosa di mai provato, quasi un terrore primordiale. D’improvviso ora invece davanti vedeva un’unica luce, quella rossastra di Antoine, che pareva distanziarlo sempre più. Articolò a voce un caricaturale: — Antoine! — che certamente non giunse a destino. L’indicatore di profondità lo fece sobbalzare: 124 metri, possibile? Lì il fondale, avevano detto, non superava i 100. E Antoine scendeva ancora, ma dove voleva arrivare? Cristo, a che profondità andava in tilt la dannata protesi? Scrutò in giro, da ogni lato, sopra, sotto… Buio completo. Erano soli, lui e la luce sempre in basso e più fioca di Antoine. Bohh! Un urtaccio, stavolta violento, gli indolenzì un fianco. Una roccia? Erano sul fondo, allora. Ecco perché gli altri parevano scomparsi: erano rimasti lontani, sulle loro teste. Si fece ancora forza spingendosi verso la luce dell’uomo… E gli sbatté contro.
Antoine giaceva sul fondale. Con orrore vide che il bip e la maggior parte dei biocollegamenti erano disinseriti. Li rimise a posto, poi lo afferrò dalla vita e faticosamente cercò di spingerlo verso l’alto. Per riportarlo in superficie.
Era nella camera d’albergo di Antoine. Fuori, la giornata di sole e di azzurro pareva voler cancellare ricordi sconvolgenti. L’uomo si era riavuto. Per pura fortuna il bip non era rimasto del tutto disattivato, specie nelle funzioni più vitali.
Presto Antoine sarebbe ripartito; del gruppo dei sei, tre – Aldo incluso – avevano nonostante tutto scelto di proseguire per la restante settimana, dietro garanzie di un rafforzamento delle precauzioni e dei sistemi di sicurezza. Antoine disse: — Naturalmente ho avviato una pratica per questo incidente. — La polizia locale se ne stava interessando. Così aveva assicurato l’Istruttore Bluthhegel. Bussarono alla porta. — Avanti — disse Antoine.
Entrò Vanessa, smagliante. — Parto nel pomeriggio — disse la ragazza. — Auguri per la tua salute e buona permanenza a te, Aldo —. Un veloce abbraccio, Vanessa andò via.
— Accidenti, mi ha lasciato addosso il suo profumo.
Seguì silenzio. — Ti ha fatto sentire male? — scherzò Antoine.
Aldo rimase di stucco. — E tu… Ma come fai a saperlo?
— Che è una delle tue battute? — Antoine si guardò in giro con circospezione, poi disse: — C’erano un paio di “cimici”, ma le ho neutralizzate… Ora ascoltami bene. Lo dico solo a te, perché sei una persona onesta e perché mi hai salvato la vita. Io… per la mia attività… m’interesso di certi fatti. Per esempio, mi perdonerai ma sapevo già tutto di te.. e degli altri quattro. Ero qui per indagare. Sono certo che il mio non è stato un banale incidente.
— Intendi dire che volutamente qualcuno del gruppo…
— Lo scopo era farmi fuori simulando una fatalità: avevo inserito male i cavetti, o qualcuno in acqua mi aveva sfiorato sfilandomeli involontariamente… Il problema, Aldo, è che io “so” e sono qui per raccogliere dettagli. So a cosa è finalizzata questa vacanza d’un nuovo sport “innocente”: adattare l’uomo alla vita subacquea.
— Ancora non capisco — rispose Aldo confuso.
— Te ne parlo? D’ora in avanti sarà a rischio anche la tua vita.
Aldo rispose stralunato: — Avanti, perdio!
Antoine riprese: — Ok, è in atto il progetto per adattare alla vita subacquea. Giù, sui fondali, per ora massimo 15-20 metri, in tutto il mondo una multinazionale costruirà “villette” e appartamenti. Due dei nostri “vacanzieri”, qui, sono infiltrati della ditta, tanto per capirci. Vanessa inclusa. Venuti per verificare come procede il bip. Sarà una cosa simpaticissima, entusiasmante… in apparenza. Ma lo scopo finale, occulto, sarà respingere, sbattere in mare un sacco di gente. Chi?
Antoine lo fissava con occhi di fuoco, poi riprese: — Senza parole, eh? Sì, le fasce più deboli. Andatevene giù, arrangiatevi da soli – in mare c’è sostentamento – non rompete più le scatole. Spariranno dalla terraferma… Saranno obbligati a sparire. Migranti, rifugiati, sfrattati, licenziati, clochard, Rom, pezzenti, nullafacenti, questuanti, vagabondi e – perché no – poco a poco anche disoccupati cronici, esodati, carcerati in sovrannumero, contestatori, dimostranti, disabili. Il tutto propagandato e offerto dapprima come piacevoli eccezionali vacanze, o un nuovo moderno modo di vita alternativo, magari anche avventuroso ed economico. Generare un trend à la page. Ma sarà ancora di più, un progetto rivoluzionario a livello mondiale, una vera mutazione nell’umanità. I costi dei governi saranno più che ampiamente recuperati da risparmi enormi nel welfare, nel “sociale”, nel ricupero di territori, di intere nazioni, in un miglioramento del tono generale. Potrei dirti molto su questo, ma credo di essere stato chiaro. Comunque questi sono la mia e-mail e il mio telefono privato, memorizzali subito e poi… è il caso di dire: “acqua in bocca”.
Stordito, quasi incredulo, Aldo memorizzò e gettò il biglietto nello scarico. Poi dette i suoi dati ad Antoine.
Antoine partì il giorno dopo.
Per Aldo la “vacanza” a Managava acquistò ora un colore assolutamente diverso. Non bastavano l’amatissimo mare né l’inverosimile azzurro del cielo o le smaglianti lune piene notturne tra le fronde di alte palme. Un paradiso che per lui ora lasciava trasparire un inferno. Proseguì con le sue esercitazioni subacquee. Aveva pagato e ne aveva diritto. Perché ora il suo allenamento – pensò – diveniva anche prezioso. Un domani poteva rivelarsi non solo semplice passatempo.
Pensava all’enormità prospettata da Antoine. Possibile? D’altronde lui aveva salvato una persona e ora gli appariva certo che quel suo urto contemporaneo, giù sui fondali al buio contro qualcosa scambiata per roccia, fosse un attentato alla sua vita: persona scomoda perché “sapeva”?
Poi Aldo partì.
Trascorsero molti mesi.
Ma senza dimenticare. Un giorno, decise di inviargli un’e‑mail: giusto per sentirlo.
Ebbe risposta, ma a firma di una sedicente “Estrelle”. Il messaggio diceva: “Ti conosco perché Antoine mi ha detto ciò che hai fatto per lui, aveva di te un’idea molto elevata. Purtroppo non so dirti nulla di lui. Sono disperata. Da mesi è scomparso, ho pessimi presentimenti, se saprai qualcosa ti prego di scrivermi!” Aldo pensò che Antoine poteva essersi firmato “Estrelle”. Pensò che “Estrelle” poteva essere un trabocchetto.
Trascorsero altri mesi. Aldo seguiva attentamente la stampa, che in tutto quel periodo aveva accennato un paio di volte, ma in sordina, alla remota possibilità d’una vita umana subacquea, sulla base di esperimenti effettuati chissà dove. Il tutto presentato come bizzarria scientifica lontana anni luce dall’attuale vita quotidiana. Una mattina accese il video del suo computer: lo trovò letteralmente soffocato da una notizia martellante:
NASCE L’“IDRONAUTA”!
Definitivamente collaudato con completo strepitoso successo il dispositivo che adatta stabilmente l’uomo all’universo marino.
Nasce sulle coste dell’Australia la prima piccola città subacquea:“Serenia”. Sarà per pochi fortunati, i “Sereni”, ma presto i costi diverranno particolarmente accessibili, specie – ci assicurano – alle fasce più basse, per le quali i nostri governi ma anche la stessa soc…
Spense il computer e uscì.
Era una magnifica giornata di fine settembre. Il cielo era limpido, cristallino. Una brezza fresca con un profumo inebriante, gradevolmente salmastro, giungeva dall’ansa del porto.
Il mare.
Ecco, ora era lì, di fronte a lui. Mare placido, smagliante, sorridente. Invitante.
Racconto tratto dall’antologia di autori vari “La casa di cartone”, Ed. (zero/91), Roma 2013 – Per gentile concessione del curatore Girolamo Grammatico; il ricavato dall’iniziativa da destinare alle comunità dei senza dimora “Emmaus”.