di Alessandro Villari
Ora
Fu solo quando la abbracciò, quella notte nel letto dopo aver spento la luce, che Betty ebbe la certezza che l’individuo sdraiato di fianco a lei non era suo marito. Non avrebbe saputo spiegarlo, ma sapeva al di là di ogni possibile dubbio che avrebbe riconosciuto fra un miliardo di esseri umani il tocco dell’uomo che aveva sposato e, be’, non era quello.
Tutto fu improvvisamente chiaro.
Prima
Quando rinvenne, Betty si trovava in una stanza buia, sdraiata su un letto. Dalla finestra si intravedeva un paesaggio scarno avvolto dalla notte polare: impossibile dire che ora fosse, per quanto tempo fosse rimasta priva di sensi. Non rammentava neppure di averli persi, del resto: l’ultimo ricordo che aveva era di aver sorseggiato una tazza di tè, durante la riunione. La sagoma di una donna uscì dalla camera. Vi entrò dopo pochi istanti un’altra figura, reggendo un lume che illuminò un poco l’ambiente e un bicchiere.
«La Signora mi ha chiamato non appena vi siete svegliata. Come vi sentite?» domandò quello che a giudicare dalle orecchie doveva essere un elfo, porgendole la coppa.
Bevve: era acqua zuccherata.
«Un po’ stordita… Da quanto sono qui?»
«Un paio d’ore: avete avuto… ehm… un calo di pressione. Se ve la sentite di alzarvi, vi posso condurre nella hall, dove potrete attendere vostro marito: mi dicono che l’incontro stia per terminare».
«Penso di sì, va bene» rispose Betty. Con cautela, si levò a sedere e si infilò le scarpe. Le girava leggermente la testa, ma riusciva effettivamente a camminare senza troppe difficoltà.
Seguì l’elfo lungo un corridoio fino a una scalinata sontuosa. Lungo le pareti erano appesi enormi quadri che raffiguravano scene natalizie: una slitta trainata da renne, Babbo Natale circondato da creature simili alla sua guida, cumuli di regali ammonticchiati davanti a una grande fabbrica illuminata. Mentre scendevano, la donna affiancò l’elfo e vide sul suo volto una piccola lacrima.
Come rispondendo alla sua domanda muta, la creatura le disse, sottovoce: «Qui una volta facevamo i giocattoli, non gli strozzini».
Ai piedi della scalinata, l’elfo le fece un inchino prima di salutarla e andarsene. Non aveva salito metà dei gradini che lo affiancarono due grosse figure, provenienti dalla parte opposta, e lo trascinarono via con loro. Betty sentì per qualche istante le sue deboli proteste, poi più nulla. Turbata per tutto ciò che era capitato in quella giornata, si sedette su un divano riccamente decorato e si preparò ad aspettare, augurandosi che l’attesa durasse il meno possibile.
Dopo pochi minuti, in cima alla stessa scalinata comparve finalmente il marito insieme a Joe Bambino, quest’ultimo seguito dalla sua inquietante scorta personale di orchetti. Bambino era il genero di Babbo Natale; da anni ne aveva preso il posto alla guida della Fabbrica di Giocattoli, finché aveva deciso di esternalizzare interamente la produzione a un consorzio internazionale di industriali: il Polo Nord anticipava loro i costi di produzione, ottenendone in cambio lauti interessi.
I due uomini parevano conversare con molta cordialità; quando furono alla sua altezza, li vide stringersi la mano e sentì Bambino che si congratulava con l’altro: «Sono sicuro che non ci saranno più incomprensioni tra noi. E se dovesse avere difficoltà nel far comprendere ai suoi concittadini la bontà di questo accordo, sono certo che potremo aiutarla con mezzi più persuasivi».
«Signora, sono lieto che si sia ripresa» aggiunse poi quando la notò alzarsi dal divano e andare loro incontro.
«Grazie» rispose Betty a disagio. Si strinse al marito, che non aveva proferito parola fino ad allora, neppure per chiederle come stesse. Trovò la sua mano particolarmente fredda, ma erano pur sempre al Polo Nord, senza contare la tensione dell’incontro appena concluso.
«Bene, vi auguro un felice ritorno a casa», si congedò Bambino.
*
«Ma che è successo?» chiese ansiosa Betty al marito non appena furono sulla vettura che li conduceva all’aeroporto.
«Hai avuto… ehm… un calo di pressione» rispose lui.
«No, intendo: con l’accordo. Bambino mi sembrava piuttosto cordiale, non me lo sarei aspettato visto com’era cominciato l’incontro».
«Ah, sì. Be’, alla fine abbiamo trovato un’intesa».
«Che intesa? Fammi leggere!» insistette la donna, e senza chiedere gli prese la cartelletta che teneva appoggiata sulle ginocchia, ne estrasse un foglio e cominciò a scrutarlo, sospettosa. In calce c’erano due firme.
«Memorandum bla bla bla… il giorno… il Presidente della Repubblica di bla bla… Joe Bambino in qualità di legale rappresentante… Ecco: condizioni». Betty impallidì.
*
Il volo sull’aereo presidenziale fu lungo e spiacevole. Betty non poteva capacitarsi che il marito avesse ceduto su tutti i punti sui quali erano partiti intenzionati a dare battaglia: l’accordo lo impegnava ad abolire il calmiere sui prezzi dei regali e a garantire il monopolio della produzione al consorzio degli industriali “certificati” da Bambino; in cambio, il Polo Nord avrebbe riaperto il rubinetto dei finanziamenti, ma anche qui c’era la fregatura: i soldi sarebbero andati direttamente ai produttori privati, però lo Stato sarebbe stato garante della loro restituzione. In pratica, tutto tornava come prima.
«Era l’unico modo per non rimanere completamente senza regali questo Natale» aveva provato a giustificarsi lui. Per tutta risposta, Betty era andata a sedersi da sola al capo opposto del velivolo.
All’arrivo in aeroporto li attendeva solo qualche giornalista, a cui non rivolsero dichiarazioni: la conferenza stampa per la presentazione del memorandum era fissata per la tarda mattinata del giorno dopo. Il pensiero che più affliggeva la donna erano le reazioni dei cittadini, che sarebbero stati disgustati quanto lei: non era per questo che avevano fatto cadere il governo di prima, che avevano votato suo marito. L’impegno e la fatica delle lotte che avevano sostenuto per conquistare il diritto ai regali per tutti, mesi di campagne sfiancanti, tra minacce e diffamazioni dei padroni dei giocattoli e delle loro televisioni, erano stati cancellati ancora prima che l’inchiostro delle firme si fosse asciugato.
L’auto attraversò il centro diretta verso il palazzo presidenziale. Attraverso i vetri oscurati Betty vide le vetrine vuote del grande Negozio di Giocattoli: presto, immaginava, la serrata degli industriali sarebbe finita e sarebbero state riempite nuovamente dagli articoli di lusso che soltanto l’uno per cento della popolazione poteva permettersi.
Stava calando la sera.
Ora
No, quello non era suo marito, e a giudicare dal bagliore rossastro che emanavano i suoi occhi, non era neppure un essere umano. Betty fece un profondo respiro e trattenne il fiato, si girò verso il comodino, sollevò la pesante abat-jour e la fracassò sul cranio della creatura stesa di fianco a lei. Ne sprigionarono fumo e scintille per qualche istante, poi più nulla.
Poi
La mattina di Natale, Betty si svegliò di buonora: aveva il primo turno di guardia alla Nuova Fabbrica di Giocattoli Popolare. Era trascorso un anno esatto dall’inizio della guerra civile, ed era anche un anno, pensò con tristezza, che suo marito era scomparso al Polo Nord.
Davanti alla porta di casa giaceva una busta: sulla carta macchiata e stropicciata era disegnato il profilo di un Babbo Natale. La aprì e lesse: “Sono vivo. Resistete. Buon Natale”.