di Jago Malteni
Per chi se l’è perse, ecco intanto la sintesi delle puntate precedenti: Giobi è uno studente calabrese che vive a Bologna, iscritto al primo anno fuoricorso di Scienze politiche. Appassionato di street art, è da tempo sulle tracce di improbabili connessioni tra i graffiti che tappezzano i muri del centro. Una notte, tornando barcollante e allucinato verso casa, s’imbatte in qualcosa che da un po’ impegna – ma senza esito – le sue ricerche: un coniglio nero dipinto alla base di un muro, uguale ad altri due che – ne è convinto – starebbero là a tracciare percorsi segreti. Solo la mattina dopo si rende conto che si trattava di allucinazione. Frugandosi nelle tasche ritrova però uno strano biglietto, con sopra un indirizzo: Via dell’Inferno, 10. Ci va e, con sua grande sorpresa, scopre un altro nero-coniglio (stavolta reale!) all’interno del palazzo. Nota anche dei loschi movimenti attorno a una porta blindata nel dismesso cortile interno. S’incuriosisce, ma per non destare sospetti se ne allontana in punta di piedi. Poco dopo Luca, un suo amico che vorrebbe aiutarlo nelle ricerche, gli mostra una porta USB incastonata in un muro, dove Giobi trova dei file che parlano di droghe “enteogene” e di una misteriosa Bologna sotterranea (con tanto di mappa e relative informazioni storiche). Il giorno dopo, mentre è a lezione al 36 di Via Zamboni, si trova coinvolto in uno scontro in piazza Verdi, nel bel mezzo di una manifestazione per il diritto alla casa, ai limiti della guerriglia urbana. Scappa e, seguendo una delle tante maschere di Guy Fawkes che solo poi scoprirà nascondere il volto del suo amico Mimmo, riesce a sfuggire all’assalto degli sbirri e a mettersi in salvo con lui… (Disegno di copertina di l’éparvier)
Capitolo 3b
Katsim, dice la scritta sulla facciata d’ingresso di quello che si direbbe uno studentato occupato.
Avvisaglie poco rassicuranti arrivano da dentro. Con un frastuono di voci s’annuncia d’urgenza l’“assemblea plenaria e straordinaria”, come pure si legge da un cartello appeso su un vecchio leggio scalcagnato, raccattato chissà dove. Nel timore di uno sgombero imminente, l’ingresso è tenuto sotto stretta sorveglianza da due tipacci che esortano a entrare alla svelta, così da barricarsi dentro prima che la sbirraglia faccia loro cattive sorprese.
Giobi s’addentra anche lui e occhieggia in giro, mentre Mimmo è già sparito.
La stanza è gremita: non più di trenta metri quadri, con tre file di panche delle quali la più esterna ricalca il perimetro e le altre due convergono verso il centro. Le pareti sono tappezzate di striscioni e manifesti, slogan, locandine di eventi, adesivi e scrittacce varie.
C’è fermento nell’aria e agitazione, rabbia. Tanta. Gli agenti di polizia stavolta le hanno menate sul serio, senza esclusione di colpi, e là in mezzo c’è chi si lecca le ferite, chi le disinfetta per incerottarsele, chi ingarza lividi, e bernoccoli, e ossa frante. C’è anche chi, in quel pronto soccorso arrangiato alla meno peggio, chiude canne e le fa girare, per lenire i dolori e scaricare i volt di tensione. Una menzione speciale per il servizio la meritano due fricchettoni, anch’essi con le maschere di Guy Fawkes sollevate sopra i dread, che rollano e sleccano cartine con una calma invidiabile dentro una bolgia come quella.
Giobi si ritaglia uno spazio vicino alla porta d’entrata. Siede su una delle panche e, nel farlo, vede poggiato un accendino incustodito sul tavolo accanto. Ce l’ha lì, a portata di taccheggio, per cui se lo intasca disinvolto.
È uno dei due rastoni, dopo neanche un giro d’orologio, a chiamarlo con un “ehi, vecchio” e a domandargli, manco a farlo apposta, se ha da accendere. No, risponde lui secco. E i sensi di colpa nemmeno lo sfiorano, tenuti a bada con la scusa del karma che agisce per sua mano eccetera eccetera…
Metti però che l’abbia visto? “Ma sì, – s’autoassolve, – chissenefotte!” Fosse per lui, anzi, a quei tipi gli scorcerebbe a tutti i capelli (se non proprio la capoccia!). Specie quand’è che se ne vanno in giro con quelle stupide maschere sulla faccia. E poi, se c’è una cosa che Giobi detesta, quella è essere chiamato “vecchio”…
Il volume delle voci, frattanto, digrada fin quasi ad azzerarsi. È una ragazza a prendere la parola, il timbro di voce inversamente proporzionale all’esile corporatura.
– Compagne e compagni del collettivo, convochiamo d’urgenza quest’assemblea perché è la situazione che lo richiede. L’autunno è di quelli caldi, e noi non ci faremo trovare impreparati. Dopo l’ennesima carica di cui siamo stati vittime è più che mai necessario mantenere alta la guardia. Nessuno dei nostri, per il momento, pare sia stato messo in stato di fermo dalla pula, ma il rischio di una rappresaglia incombe su di noi, appena dietro l’angolo. Per cui dobbiamo reagire in fretta, compagne e compagni, prima che i padroni (o come diavolo volete chiamarli) si decidano a sferrare l’attacco decisivo. Gli spazi occupati sono sempre più oggetto di sgomberi, di atti di violenza gratuita, infame e codarda. Ma noi non ci stiamo, e siamo pronti a reagire con forza, innalzando altre barricate e, se necessario, occupando altri spazi! Gli anni Zero sono finiti da un pezzo, compagne e compagni, è giunto il momento di passare all’azione!
Ha la lingua sciolta, la tipa. Segnali di approvazione seguono alle sue parole, il messaggio è giunto forte e chiaro. A parlare dopo di lei è un ragazzo romano, di nome Matteo, che ha il torace fasciato per le manganellate che s’è beccato negli scontri di poco fa.
– Quoto ‘n pieno le parole della compagna, – esordisce con formula di rito. – Noi tutti, qua, siamo determinati non solo a difendere coi denti ciò che avemo conquistato a fatica, ma pure a riprenderci ciò che ce spetta. A spinte, se necessario, come oggi avemo dimostrato. Io come voi, ne portamo addosso le conseguenze. Ma non una manganellata sarà ‘ncassata invano, se servirà per affermare più forte la nostra dignità de studenti. Dalle aule ai libri, dalla mensa agli studentati, combatteremo pe’ ogni nostro diritto. E, su tutti, pe’ il diritto alla casa, sempre più oltraggiato da ‘na speculazione selvaggia, da l’ingordigia dei proprietari, da prezzi che lievitano senza controllo, in spregio a un impoverimento incalzante che ‘nveste strati sociali sempre più ampi. Non illudiamoci, compagne e compagni: presto tenteranno de sgomberare anche questi locali, unica dimora per quelli de noantri che al momento nun se ponno permette un posto letto in affitto. È per questo che dovemo fa’ partì una risposta concreta. Da qui, da ora! Perché solo la lotta paga, compagne e compagni, e noi semo stufi de vede’ troppe case senza gente e troppa gente senza casa! Daje!
Anche Matteo si busca la sua quota d’applausi, tra cui quelli di Mimmo, che Giobi vede ricomparire all’angolo opposto della stanza. Ad aver preso intanto la parola è un tipo occhialuto con l’aria un tantino da nerd, lenti tonde e montatura in metallo, annunciato da qualcuno come “un compagno del collettivo di ricerca che ci farà un po’ un quadro aggiornato della situazione”.
– Se m’è concesso dire la mia, ‘ompagne e compagni, penso ‘he prima di passare all’azione occorra un’analisi più approfondita del conflitto in atto e dei rapporti di forza che vi entrano in gio’o. L’ondata di violenza di cui siamo bersaglio, penso, va inquadrata in un orizzonte di respiro più ampio. Essa non è ‘he l’aspetto visibile di un progetto reazionario di più vasta portata, volto alla disgregazione del tessuto sociale ‘he noi, in quanto studenti, insieme ‘oi lavoratori e coi migranti, rappresentiamo. La dismissione e la svendita ai privati dei palazzi e delle sedi stori’he universitarie trovano ragion d’essere, io penso, nella dispersione pianifi’ata delle energie antagonisti’he, nella disgregazione e nel decentramento della lotta. L’infausto progetto di un campus all’ameri’ana fuori dal centro, negli stabilimenti dell’ex Staveco, già espressamente reso pubbli’o dal rettore in combutta ‘oi poteri forti della città, è in tutto funzionale a ‘odesta strategia. Esso diverrebbe, io penso, un dispositivo di ‘ontrollo biopoliti’o delle nostre vite, entro ‘ui ogni azione, singola o ‘ollettiva che fosse, sarebbe facilmente neutralizzabile poi’hé eterodiretta, incanalata cioè entro spazi addomesti’ati e resi sterili a priori…
Da parte di qualcuno comincia a trasparire una certa insofferenza verso quelle elucubrazioni in toscanaccio. Mo si scannano – pensa Giobi, con le antenne ritte a captare l’aria che tira. C’è chi scalpita e reclama il turno di parola. Mimmo è tra questi. Ma è di nuovo Matteo, mano destra a sorreggere il fianco, a prenderla per ribattere.
– D’accordo, compagno. Ma ti faccio notare che qua avemo urgenze ben più gravi da discutere. La gran parte de li studenti è co’ l’acqua alla gola, nun ce la fa a paga’ manco le tasse, figuramose le bollette e l’affitto. E per giunta ci troviamo nel bel mezzo de ‘n’attacco frontale sferratoci contro dal padronato…
Ma quell’altro non ci sta, e rintuzza:
– Mi spiace ‘ontraddirti, ‘ompagno, ma io penso ‘he un’azione frettolosa porterebbe solo a un’escalation di violenza ‘he, alla lunga, non farebbe ‘he favorire il nemico. È loro interesse mantenere alta la tensione, e se noi non cerchiamo di attenuarla finiremmo per cadere nella loro trappola. Io penso ‘he non possiamo trascurare ‘odesto aspetto, allorché si tratta di elaborare una ‘ontrostrategia che sia veramente effi’ace, tanto sul breve ‘uanto sul lungo termine! Io penso…
– Tu pensi, tu pensi… E ‘nvece io penso che tu pensi troppo, compagno, lasciatelo dire! Ma da’vero credi che la casalinga siriana, il pastore iracheno o, che ne so, il bracciante nigeriano, te capiscano quanno parli de biopolitica? A loro serve ‘na casa, po’racci loro, e nun gliene pò frega’ de meno de Foucault o de chi altri vuoi tu!
Matteo raccoglie proseliti. Si lascia fomentare dagli incitamenti che riceve e rimarca più forte le cadenze in romanesco, finendo per alzare, senza forse volerlo, i toni dello scazzo: – È la questione abitativa che va affrontata prima de tutto, lo vuoi capire o no? Discutendone, anzi, stamo già perdenno tempo. Al resto ce penseremo dopo, quann’è che avremo tutti, e non solo tu, un tetto su la testa e ‘n letto sott’ar culo! Mo, adesso e solamente adesso, è il momento de mobilitarce e occupare, occupare, occupare!
C’è chi predica calma, ma gli animi sono già ben scaldati, bollenti. Occupy! è il coro quasi unanime. Il toscano occhialuto, in netta minoranza, è messo ormai all’angolo, per quanto ancora c’è chi è disposto a difenderlo (anche fisicamente) dagli attacchi verbali (e non) di cui è bersaglio.
– È un infiltrato del Bàlas! – insinua qualcuno. – È qui per conto di quegl’altri. Sono invidiosi per come ci stiamo muovendo e hanno mandato lui per rallentare il nostro processo di lotta!
– Sì, è vero! – rincara la dose qualcun altro. – Non per niente non se n’è visto uno dei loro, prima alla manifestazione…
L’accavallo delle voci diventa reboante, benzina su un fuoco che una scintilla di più farebbe esplodere del tutto. Fortuna che, per motivi che non è dato sapere, l’attenzione dei più si sposta verso una grossa mappa di Bologna affissa alla parete, recante lo stemma del Ministero degli Interni e, appena sotto, la scritta “Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Bologna”. Spiegazzata ai bordi e punteggiata da appositi contrassegni, la mappa fornisce un chiaro prospetto degli stabili che la Questura tiene sotto controllo in quanto a rischio occupazione: proprio un lavoro fatto bene, non c’è che dire, accurato e preciso. Un servizio utile, per una volta, – ironeggia Giobi tra sé e sé, – a dispetto di quanti non fanno che lamentarsi dell’operato delle forze di polizia. Niente di meglio, nell’ottica di chi vuole occupare, per prendere bene la mira e colpire il bersaglio giusto.
E, come fosse un bersaglio veramente, la cartografia è crivellata di svariate freccette di colore rosso, conficcate al mezzo di altrettanti cerchietti segnati con l’evidenziatore, lì a indicare, tra gli altri, gli edifici di proprietà ecclesiastica sui quali i membri più attivi del collettivo vorrebbero mettere le mani. Le mani sulla città, per l’appunto. Non fosse che, di ‘sti tempi, quegli stabili sono presidiati giorno e notte…
Giobi, messosi frattanto all’erta, fissa anche lui la mappa, ma pare estraniato rispetto al pandemonio che gli infuria attorno. Incomincia, invece, a seguire un flusso di pensieri tutto suo: il centro di Bologna là sulla mappa, quell’altra che ha trovato ieri sera sulla chiavetta; le vie di sopra e le vie di sotto, le freccette rosse a designare i palazzi storici della Chiesa…
Ci pensa la Soldatessa, militante anarchica femminista, a riportare un po’ d’ordine (e a interrompere, senza volerlo, il flusso mentale di Giobi).
– No, compagni! così non va bene. Smettiamola di litigare, per favore. Ma vi rendete conto che andandoci contro l’un l’altro è come se i pedoni cominciassero a prendersela con le bici piuttosto che con le auto? …Sentiamo invece cos’ha da dirci Rachid, nostro compagno palestinese, che è insieme studente, lavoratore e migrante…
Giobi aveva già notato un ragazzo di carnagione più scura e osservato i suoi sforzi nel capire le parole altrui, ammirato quel suo incuriosito silenzio. Chiamato ora in causa, Rachid racconta, con un italiano sghembo ma diretto e senza circonvoluzioni, la sua vicenda.
– Cari compagni e care compagne, grazie per fare me parlare, io tanto bisogno. Io nato a Gaza e sempre vissuto guerra in mio paese. Io scappato dopo bomba di Israele con tunnel di sotto terra. Stato a Egitto. Da Egitto con altri ragassi sopra el barco e, dopo molto viaggio, arrivato a Sicilia un anno fa e venuto dopo qui a Bologna. Molto bello città, me piace molto. Io studiare Economics, come a Palestina, per avere permesso di soggiorno, però anche lavoro nero a mercato di frutta per pagare tassa di università. Ora stare in casa con troppa persona. Cazzo, ragazzi, in mia camera quattro! Io allora sta con voi per questo battaglia!
– E noi siamo felici di averti come compagno di lotta, – chiosa la Soldatessa. Seguono applausi e cenni di unanime apprezzamento per il “nuovo acquisto”.
Giobi è colpito dal tono risoluto con cui Rachid ha parlato di sé, da quel suo gesticolare animato che le cose te le schiaffa dritte in faccia. E subito, a pelle, prova simpatia per lui.
All’inizio del suo intervento, Rachid ha parlato di un certo tunnel attraverso cui è riuscito a scappare dalla Striscia di Gaza. Lui sì – considera tra sé – che sarà pratico di sotterranei! Il pensiero gli offre il destro per riacciuffare le fila, prima interrotte, del flusso di coscienza… La mappa di sopra e la mappa di sotto, i palazzi storici del centro, condotti sotterranei che sbucano negli scantinati; la fuga di Rachid in Egitto, quella di poco prima dagli sbirri; le bombe in testa, la foto dell’autoblindo in via Zamboni, Chiedi al ‘77 se non sai come si fa… come si fa cosa? Bella, comunque, la storia della tentata rapina al caveau della Cassa di Risparmio! Era giusto il ’77, proprio l’anno a cui chiedere se non sai come si fa… Ma cosa? Come si fa cosa? …Ma sì, ceeerto! Sì, cazzo! Come ha fatto a non pensarci prima?!?
Col tono di chi ha appena ricevuto l’illuminazione, Giobi piglia la parola senza chiederla neppure a se stesso:
– Compagni! – esclama, – ho capito! Ce l’ho, ho la soluzione!
Alcuni si voltano verso di lui, in trepidante ascolto.
– Dai sotterranei! Occupiamo dai sotterranei! Ho tutto quello che serve per farlo, basta confrontare questa mappa con un’altra che ho sul…
L’uscita di Giobi lascia increduli quelli gli avevano prestato attenzione, compreso chi, per un breve istante, gli aveva pure dato credito. Anche Mimmo gli lancia occhiate interrogative, perplesse. Non uno, insomma, che l’abbia preso sul serio. Al punto che finanche Giobi comincia a dubitare, se non della sua sanità mentale, almeno della sensatezza di quella sua proposta. Che quindi, rimasta lì appesa, cade nell’indifferenza generale e nemmeno viene presa in considerazione. E pensare che lì per lì, per come c’era arrivato, gli era parsa una gran genialata. (O forse lo era e, come tutte le gran genialate, al principio non vengono mai comprese?)
L’assemblea si conclude con la proclamazione di un nuovo corteo per il diritto alla casa, durante il quale sarà valutata l’opportunità di fare irruzione in uno degli stabili candidati all’occupazione.
Giobi, deluso dall’andazzo, non si dà per vinto e si fa largo per raggiungere Rachid, defilatosi intanto dalla calca di sbarbe che lo stanno assalendo per farne la conoscenza.
– Piacere, Giovanni! – si presenta, e, scambiate con lui due chiacchiere al volo, si decide a riproporgli, stavolta in privato, l’idea che era rimasta inascoltata durante la pubblica assemblea “plenaria e straordinaria”.
– Fa’ conto, Rachid: scendiamo a fare un giro d’ispezione, ma senza impegno… così, tanto per… e poi vediamo com’è che si mette…
Rachid, abituato a ben altre scorribande, accetta con un cenno inequivocabile del capo. È in quel preciso momento che spunta fuori Mimmo, il quale altro, nell’origliare la conversazione, vi avrà certamente fiutato qualcosa di adrenalinicamente appetibile in cui andarsi a ficcare:
– Oh, ragà, non vi scordate di me, eh! Ci sto pure io!
Mbè – si dice Giobi alzando appena una spalla – se non altro il bilancio è positivo: la sua proposta sarà anche passata sottotraccia in corso d’assemblea, ma intanto è riuscito a imbarcarsi nell’impresa altri due scoppiati come lui o forse peggio, disposti entrambi ad accompagnarlo in missione. E perciò, senza traccheggiare oltre, Giobi spiega ai due di che si tratta, servendosi del mappone della Questura per illustrare a grandi linee la conformazione dei sotterranei. A esplicita domanda di Mimmo, però, tace su come ha ottenuto quelle informazioni…
– Insomma, figlioli, dobbiamo solo trovare ‘sto benedetto passaggio per di qua, tra la Chiesa della Vita e l’ex Ospedale della Morte…
– Tra vita e morte, – commenta Rachid con un mezzo sorriso.
– Esatto, Rachid! Tra la Vita e la Morte. Per voi quand’è che si può fare?
– Per me subito, anche mattina domani.
– Per me pure, Gio’!
– Però mattina presto, figlioli, ché non ci deve vedere nessuno. Facciamo alle 6?
– Alle 6?? Ma a quell’ora è ancora scuro pesto. Alle 7 è meglio: già è giorno però le vie sono ancora deserte…
– Vabbo’, vada per le 7. Ma non un minuto più tardi, intesi? Ah, e uno di voi dovrà procurarsi una torcia. Al resto provvedo io.
– Io a casa ce l’ho, una torcia.
– E portala allora.
– Io portare cosa?
– Tranquillo, Rachid, porta te stesso e stiamo a posto. A domattina, figlioli! Mi raccomando, eh, conto su di voi…
Sulla soglia del Katsim, salutati Mimmo e Rachid, Giobi cerca di ricordarsi dov’è che ha parcheggiato la bici, prima che venisse risucchiato nel vortice dei tafferugli, della ritirata e di tutto quanto il resto… Ah già, ecco: sotto i portici di piazza Scaravilli.
Ed è lì che, come appena arriva, lo assale una sensazione che ogni studente fuorisede deve aver provato almeno una volta nell’arco dei suoi anni universitari: una sorta di smarrimento misto a incazzatura nera.
La bici: scomparsa.
‘orcodiundiominore!
Quell’ammasso di ferraglia verde non l’aveva mai tradito prima. Per quanto si reggesse con lo sputo, quella bici l’ha sempre condotto ovunque, quandunque e comunque. Fedele compagna di ventura, bussola solida anche nelle notti più funeste, quelle col freddo, la pioggia e litri di vino in circolo nelle vene… E adesso? Volatilizzata, svanita chissà dove, rubata da chissà chi. Niente ne è rimasto. Nemmeno un pezzo di telaio arrugginito, le gomme dei freni, un cazzo di bullone. Niente. Nada. Nisba.
Com’era quella cosa? Sarò un punto immobile al centro di un universo in pieno movimento.
– Col cazzo! – impreca tra i denti sotto la volta del portico. – Che gli crollasse un cornicione in fronte, a quella merdaccia! Chiunque sia!
E avanti così finché, sfranto, non si rassegna a tornarsene a piedi.
– Ma se l’acchiappo, a quell’infame… io l’ammazzo, lo sfondo… gliela strrappo a morsi, quella pelle viscida che si ritrova… lo scuoio vivo, coi denti e con le unghie… Pezzo di bastardo… Io, io lo…