di Peter Freeman
Lunedì 16 novembre, tre giorni dopo le stragi di Parigi, François Hollande è intervenuto davanti al parlamento riunito in seduta congiunta a Versailles. Nel suo discorso trasmesso in diretta tv il presidente francese ha pronunciato parole di una certa gravità e foriere di pesanti cambiamenti negli equilibri interni non solo della Francia ma di tutti i Paesi dell’Unione Europea.
Lo scenario prefigurato da Hollande apre infatti la strada ad alcune importanti modifiche della costituzione francese, cui potrebbero a breve seguire analoghi passi da parte di altri governi. Con l’annuncio “siamo in guerra” e la ridefinizione del concetto di terrorismo (“terrorismo di guerra”), per combattere il quale è necessario adeguare la carta costituzionale, istituzionalizzando uno stato di emergenza permanente, il presidente del “paese delle libertà e dei diritti dell’uomo” apre una nuova fase politica i cui sviluppi sono tutti da indagare e che non promettono nulla di buono.
Vendetta e potenza
Hollande ha anzitutto premesso che le vittime saranno “vendicate” e che lo Stato metterà in campo tutta la sua “potenza”. Quando uno Stato promette “vendetta” e “potenza” è sempre bene drizzare le antenne per capire dove si sta andando a parare. La “vendetta” non è esattamente un concetto giuridico, e se va a incrociarsi con l’annuncio di provvedimenti legislativi c’è da essere preoccupati. Anche l’evocazione della “potenza” 1 dello Stato assume connotati minacciosi quando essa è unita al varo di nuove leggi in materia di sicurezza e ordine pubblico.
Entrando nel merito, Hollande ha annunciato che la legge sullo stato di emergenza sarà a breve modificata per decreto. La Loi relative à l’état d’urgence risale al 1955 (presidente De Gaulle, primo ministro Michel Debré), ai tempi della guerra d’Algeria. In presenza di circostanze eccezionali, la legge attribuisce all’esecutivo poteri straordinari in materia di sicurezza. Tra le misure che possono essere emanate2 a discrezione del Ministro degli Interni ci sono il coprifuoco, il domicilio coatto, la chiusura di locali pubblici, il divieto di riunirsi, le perquisizioni – in qualsiasi ora del giorno o della notte – senza mandato dell’autorità giudiziaria, il controllo sui mezzi di informazione. Non tutte queste misure sono necessariamente assunte in una volta sola ma tutte hanno conseguenze pesanti sulle libertà individuali.
L’ultima volta che questa legge fu applicata risale alla rivolta delle banlieues del 2005. Si fece inoltre ricorso allo stato di emergenza nel 1958 e nel 1961, in occasione dei tentativi golpisti messi in atto da alti ufficiali dell’esercito3 contrari all’apertura di trattative con il FLN algerino, e in epoca più recente per la rivolta in Nuova Caledonia nel 1984. Possiamo dire che le proclamazioni dello stato di emergenza in Francia sono sempre state legate, in un modo o nell’altro, alla storia coloniale di questo Paese (i protagonisti della rivolta delle periferie nel 2005 erano in gran maggioranza figli di prima o di seconda generazione di immigrati dalle ex-colonie).
Costituzione d’emergenza
Ma François Hollande non si è limitato ad annunciare una modifica per decreto della legge sullo stato d’urgenza. Ha gettato sul piatto la proposta di modificare due articoli (16 e 36) della costituzione francese. Di che cosa si tratta?
L’articolo 16, uno dei più controversi dispositivi contenuti nella costituzione francese,4 prevede che, a fronte di una situazione di minaccia (“seria e immediata”) per le istituzioni repubblicane, il Capo dello Stato, dopo essersi consultato con il primo ministro e i presidenti delle due Camere e del Consiglio Costituzionale (l’equivalente della nostra Corte costituzionale), possa assumere “poteri eccezionali”. Non ci sono limiti a questi poteri, se non nel fatto che le Camere non possono essere sciolte e che il Consiglio costituzionale deve esprimersi (ma senza potestà di veto) sulle misure prese dal Presidente. Non prima di 30 giorni dall’assunzione dei poteri eccezionali, i presidenti di Camera e Senato potranno chiedere che il Consiglio costituzionale si pronunci (con parere non vincolante) sulla sussistenza o meno della condizioni che motivano e giustificano il ricorso ai poteri di cui all’articolo 16.
L’articolo 36 disciplina invece l’état de siège, ovvero lo “stato d’assedio”, che può essere decretato qualora la nazione sia sotto attacco o sia oggetto di un’insurrezione armata. Se ciò avviene, una serie di poteri, in primis quelli di polizia, possono essere trasferiti alle autorità militari. Lo stato di assedio non può tuttavia essere decretato sull’intero territorio nazionale ma solo in parti di esso, è disposto dal Consiglio dei ministri e non può durare più di 12 giorni, termine oltre il quale ogni proroga dovrà essere autorizzata dal parlamento.
Questa l’attuale cornice legislativa, così come è stata prevista dalla costituzione del 1958.
Che cosa intende fare Hollande? In primo luogo vuole costituzionalizzare lo “stato di emergenza”, fino a oggi previsto dalla legge ordinaria: nel suo progetto di riforma lo “stato di emergenza” sarà inserito nell’articolo 36 che già prevede lo “stato d’assedio”. La proposta fu avanzata già nel 2007 dal cosiddetto “comitè Balladur”, la commissione nominata da Nicholas Sarkozy per tracciare una riforma costituzionale ad ampio raggio. Offrire una copertura costituzionale allo stato d’emergenza, assegnando al parlamento i poteri di proroga, avrebbe un significato maggiormente garantista, il problema è come tutto questo si andrà a collocare e a integrare con la crisi apertasi con gli attentati del 13 novembre a Parigi.
Secondo quanto ha dichiarato Hollande, l’intento è di “adeguare” la legislazione vigente, conciliando l’esigenza di misure destinate al lungo periodo con quella di non comprimere eccessivamente le libertà dei cittadini, come invece avverrebbe con la decretazione dello “stato d’assedio”.5
E’ però la prima esigenza, quella del “lungo periodo”, a imporsi e a prevalere rispetto alla tutela delle libertà individuali.
Terrorismo di guerra
Ma è il termine “terrorismo di guerra”, richiamato dallo stesso Hollande nel suo discorso a Versailles, a contestualizzare le modifiche alla carta costituzionale. Non siamo di fronte a una innocente variazione semantica: oltre il semplice “terrorismo”, e prima della guerra convenzionale, abbiamo ora la forma ibrida del “terrorismo di guerra”. Per combatterlo (senza peraltro alcuna certezza di successo) occorrono tempi lunghi e limitazioni delle libertà individuali, limitazioni che possono, da eccezionali e temporanee, diventare permanenti. Non sarà sfuggito ai più che il trattatto di Schengen è stato di fatto abrogato, prima invocando l’emergenza immigrazione, poi quella “terroristica”. La fortezza Europa sta sempre più assumendo i caratteri di un compound militare.
“La Francia è in guerra” è la frase a effetto che è stata maggiormente rilanciata ed enfatizzata dai media europei con insopportabili toni patriottici. Nel pronunciare la frase, il presidente francese si è rivolto ai partner della UE chiedendo di attivare da subito l’articolo 42, comma 7, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea 6 che impone ai Paesi membri di prestare aiuto e assistenza “con tutti i mezzi a loro disposizione” al partner aggredito. L’appello è stato immediatamente accolto da Federica Mogherini, l’Alto rappresentante per la politica estera della UE, che ha invitato la comunità internazionale a “unirsi e separare le differenze” per schierarsi compatta a fianco della Francia.
E’ dunque “guerra”. Ma contro chi? Non contro la Siria, il cui regime non è in guerra con la Francia, e nemmeno contro l’esausto Iraq, al centro di ben tre conflitti armati dal 1980 a oggi. Il nemico comune è l’IS, l’auto-proclamatasi entità statuale che si è installata in parte del territorio siriano e iracheno. Ma contro l’IS nessuna coalizione di volenterosi potrà per ora intervenire con truppe via terra, almeno finché Assad non lo autorizzerà. Come si vede, le asimmetrie della “guerra al terrorismo” che tanto piaceva a Bush Jr sono ben più articolate di un semplice raffronto tra le forze militari in campo o tra i teatri di scontro scelti da una parte e dall’altra. Tutto diventa scivoloso, ambiguo, pericoloso.
Non è dato per ora di sapere quali saranno gli sviluppi militari della “guerra al terrorismo di guerra”. Sarebbe però uno sbaglio perdere di vista le conseguenze che le modifiche costituzionali annunciate da Hollande potranno avere non solo sulla vita politica e civile della Francia ma anche su quella delle altre nazioni d’Europa (fino a oggi impegnate a litigare sulle quote di profughi in fuga dalla Siria). La clausola del “terrorismo di guerra”, la decretazione emergenziale e la sospensione delle libertà civili che Parigi ha inaugurato rischiano infatti di diffondersi in buona parte del continente, diventando un utile pretesto per affrontare con le maniere forti questioni che con la jihad islamica hanno ben poco in comune. E alimentando pulsioni autoritarie che già percorrono le società europee. Non è un caso che l’iniziativa di Hollande sia stata accolta con toni trionfanti dalla destra più sguaiata e impresentabile, la stessa che vorrebbe bombardare a tappeto la Siria e che ora è pronta a impugnare la bandiera di una nuova legislazione liberticida.
Nel mentre Hollande ha annunciato che i raid aerei contro le postazioni dell’IS in Siria sono stati triplicati ↩
http://www.lemonde.fr/attaques-a-paris/article/2015/11/16/l-etat-d-urgence-un-dispositif-d-exception-rarement-utilise_4811237_4809495.html ↩
http://www.lexpress.fr/actualite/politique/raoul-salan-1899-1984_492173.html ↩
Nel suo Le Coup d’Etat permanent, saggio ferocemente critico dell’intero impianto della costituzione della Quinta Repubblica voluto da Charles De Gaulle, François Mitterand ne denunciava i caratteri autoritari, vera e propria risposta di tipo golpista a un pericolo golpista ↩
http://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2015/11/16/etat-d-urgence-et-article-16-pourquoi-hollande-veut-il-reviser-la-constitution_4811353_4355770.html ↩
“Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri” ↩