di Mauro Baldrati
Sarebbe utile un consuntivo di spesa sulla recita bolognese dei caratteristi televisivi Salvini-Berlusconi-Meloni, anche per renderci conto dei costi che gravano sulla comunità. Per esempio l’elicottero: ha sorvolato per tutto il giorno il centro città, senza sosta. Ora, il costo medio di un elicottero è di circa 1.500 euro all’ora, per cui è costato 12-15.000 euro. E poi l’enorme spiegamento di uomini e mezzi, che hanno militarizzato la città in maniera totale: mancavano i carri armati, i rastrellamenti e le esecuzioni sommarie e Bologna sarebbe stata come Santiago del Cile durante il colpo di stato di Pinochet. Esageriamo? Niente affatto. Quel colpo di stato, manovrato dall’alto, dalla CIA, è stato possibile anche perché una fetta di malcontento popolare è stato a sua volta pilotato, strumentalizzato, attraverso un’opera di disinformazione e terrorismo. E la massiccia partecipazione di popolo alla recita, con Piazza Maggiore stipata di persone molto agitate, benché arrivate con autobus da varie parti d’Italia, aveva in sé qualcosa di inquietante, di minaccioso, come una “madeline” maligna che evocava anche a livello sensoriale altri disastri, altre tragedie.
Ma dicevamo del consuntivo di spesa. Per difetto, possiamo stimare una spesa che va dai 300.000 ai 500.000 euro. Soldi pagati da noi per permettere a una Giorgia Meloni in iperventilazione di gridare che lo stato spreca un sacco di soldi per accogliere e per assistere gli immigrati, applaudita con grida che neanche quando da Fabio Fazio arrivano Baglioni e Fabio Volo. Applausi e grida da parte di tutti quei leghisti rabbiosi e popolari che hanno visto la loro città occupata militarmente, coi soldi delle loro tasse.
Perché di questo si è trattato. Occupazione militare. Tutti gli ingressi al centro storico erano stati chiusi dagli automezzi della polizia e dei carabinieri, messi di traverso agli sbocchi dei portici, mentre gli accessi pedonali erano minuscoli, e tutti sorvegliati da presidi. Posti di blocco insomma. I giovani erano particolarmente presi di mira. I giovani erano tutti sospetti. Ero presente quando una ragazzina in bicicletta è stata stoppata rudemente da un uomo in borghese che le ha intimato di “circolare”. Quando lei, con un coraggio invidiabile, perché era praticamente circondata da agenti, gli ha chiesto chi diavolo era per obbligarla a muoversi, lui le ha quasi appoggiato in faccia il tesserino di poliziotto.
I giovani erano guardati con sospetto anche dai manifestanti. Anzi, erano odiati. Mentre passavo sotto il porticato di Piazza Maggiore, aprendomi a fatica un varco nella ressa di uomini e donne e ragazzi con le bandiere bianche della Lega, di alcune organizzazioni autonomiste e addirittura di “Alleanza Nazionale – MSI”, un manipolo di uomini si è staccato dal gruppo e ha iniziato a inveire contro una giovanissima coppia, massimo diciotto anni, vestita vagamente da centro sociale, gridando loro “Scimmie! Scimmie! Andate a rompere i coglioni da un’altra parte”. Hanno anche tentato di inseguirli, agitando i pugni con aria minacciosa. I due ragazzini, sbalorditi, si sono allontanati in fretta.
Non appena si creava un gruppetto di giovani si formava immediatamente un presidio di poliziotti, che erano presenti ovunque e in ogni luogo. In Via Ugo bassi un gruppo che suonava trombe, tromboni, ballava e cantava “Siamo tutti antifascisti!”, era circondato da poliziotti con gli scudi. Nessuno si poteva spostare. Nessuno poteva avvicinarsi alla “loro piazza”. Due cortei erano stati bloccati con cariche in Via Stalingrado e Porta Mascarella, cioè appena fuori città. Il centro era inaccessibile.
A un certo punto, terminata la sfuriata della Meloni, è salito sul palco un logoro, imbarazzante Berlusconi. E’ stato accolto con una certa freddezza dal popolo con le bandiere, addirittura con qualche mormorio quando, tanto per cambiare, si è messo a spiegare che lui è dovuto andare ai servizi sociali ecc. ecc. Si sono alzati persino alcuni fischi quando ha detto che Bossi, che lui stima molto, è “un esempio per tutti noi”. Intendiamoci, non si tratta di una presa di coscienza popolare leghista, semplicemente sono cambiati i testimonial. Prima c’era il coattone in canottiera, ora la soubrette televisiva. Tutto qua.
Finito lo sproloquio berlusconiano è finalmente salita lei, la soubrette. Cos’abbia detto è superfluo, l’hanno riportato tutti i telegiornali, insulti ricambiati all’altro capobanda Alfano e così via. Intanto all’incrocio con Via degli Orefici, cioè nella parte nord-est di Piazza Maggiore, si era creato un gruppetto di contestatori, gente di ogni età, ragazzi e adulti, che forse erano entrati alla spicciolata per poi riunirsi, evitando così i controlli ai posti di blocco. Cantavano “Siamo tutti antifascisti!” e “Bellaciao”, cercando di suonare qualche tamburo e anche un paio di pentole, per disturbare la voce cupa, minacciosa della soubrette. Ma erano stati subito stoppati da un cordone di poliziotti. Dall’altra parte, dietro ai poliziotti, c’erano i fascisti. Cioè, non i leghisti, proprio i fascisti col braccio teso che urlavano insulti e agitavano le mani nel gesto classico “vi facciamo un culo così”. Questa disposizione era molto simbolica. Riassumeva tutto il senso della recita. Una parvenza di democrazia, per quanto armata, avrebbe voluto che i poliziotti fossero disposti in doppia fila, una rivolta verso i contestatori, l’altra verso i fascisti. Invece erano tutti rivolti verso i contestatori. Il “messaggio” era chiaro: la piazza è cosa “loro”, la piazza è “cosa nostra”. Noi, le cosiddette “Forze dell’Ordine”, quando serve siamo sempre i soliti: siamo la Guardia Regia che malmenava i braccianti che manifestavano per il pane, per un contratto di lavoro. Siamo quelli che si schieravano in difesa dei padroni, dei latifondisti, e dei fascisti. Nulla è cambiato, e non illudetevi, nulla cambierà. Perché ci siamo noi a impedirlo.
Di tutti questi aspetti, di una contestazione che è anche riuscita a essere gioiosa, e creativa, come al solito non c’è stata traccia sui media mainstream, che hanno confermato, ancora una volta, di essere i meno attendibili di tutto il mondo occidentale. La contestazione è stata unicamente scontri, cariche della polizia, nel frusto ma sempre funzionante enunciato giovani = centri sociali = violenza e casino. Null’altro interessa.
Ma c’è un altro dato che non può essere taciuto, a meno di non volere imitare al contrario
i media mainstream: quella piazza stipata fino all’inverosimile di persone agitate, aggressive, non si può cancellare. Significa che il processo di scarica dell’energia negativa, dei sentimenti bassi di una fetta non secondaria di popolazione, la paura, l’esaltazione, l’odio, la violenza verbale, è a un punto avanzato. Quella piazza è il luogo oscuro di tutti noi. E su questo dobbiamo riflettere.
Combatterlo sullo stesso piano è un processo perdente. E’ indispensabile trovare nuove modalità, nuovi stili. Una tesi negativa, una tesi reazionaria non si può riformare dall’interno. E’ una delle principali riflessioni di Antonio Gramsci dal carcere. Una tesi reazionaria si può solo cancellare, e sostituirla con un’altra. E non accadrà mai che una tesi negativa sia abbattuta da un’altra tesi negativa.
L’unica salvezza, l’unica resistenza, è quella di opporre la vita alla morte. La gioia all’odio e alla paura. Bisogna cercare un po’ di Tempo Perduto, ritrovando echi e speranze e sfide del ’68 e del ’77, quando si voleva “l’impossibile”. E nella città di Bologna, in alcuni punti, piccoli punti sfuggiti al controllo e alla repressione, domenica in parte questo è avvenuto.