di Gianmarco Peterlongo*
[Cronaca del Primo Congresso Internazionale della Comunalidad, tenutosi presso la Benemerita Università Autonoma di Puebla (BUAP), Messico, 26-29 ottobre 2015].
Centinaia e centinaia di attivisti, ricercatori, studenti, militanti delle lotte sociali ed indigene si ritrovano a Puebla sotto la bandiera del comune contro il capitale. Quattro giorni (dal 26 al 29 ottobre scorso) intensissimi di dibattiti e discussioni che hanno animato il Primo Congresso Internazionale della Comunalità: un concetto eterogeneo, come spiega Silvia Federici nell’assemblea di inaugurazione, che in qualunque sua coniugazione esprime il comune obiettivo di superare il sistema neoliberale neocoloniale patriarcale, che dopo 500 anni dalla conquista delle Americhe ha da impartire ancora solo miseria e guerra. La Comunalidad intesa, dunque, come progetto politico che esprime il rifiuto a tale sistema e che aspira a costruire “altro”, un mondo di tanti mondi già visibile in atto in migliaia di realtà che in tutto il pianeta costruiscono relazioni diverse, comunità e società fuori dalle logiche del capitalismo, dell’accumulazione, del profitto, dello sviluppo, e per la riproduzione della vita in una prospettiva cosmo-centrica: dalle battaglie contro l’austerità e la crisi nel vecchio continente alle lotte indigene per l’autogoverno che popolano tutto il continente americano.
Dobbiamo prepararci alla tormenta, ci dicono gli zapatisti del Chiapas, il capitalismo vive delle sue crisi, come insegna Marx, e l’apice del capitalismo ci porta oggi a una “crisi di civililtà (civilizatoria) globale. Una crisi sociale, ambientale, sanitaria, culturale, dei rapporti umani, spiega Raùl Zibechi, dove il consumismo rischia di sancire una mutazione antropologica senza precedenti nella storia dell’umanità, a cui la comunità e il lavoro collettivo possono essere l’unica risposta adeguata ed efficace all’arrivo della tormenta. “Camminare più veloce è camminare insieme” ribadiscono gli indigeni in resistenza dalla Selva Lacandona, attraverso le parole del fu Subcomandante Marcos.
C’è la voce di tutte le Americhe negli auditori dell’università, dei Sem Terra del Brasile, degli Aymara boliviani, di Occupy Wall Street e degli indigeni di Oaxaca, di collettivi femministi, delle polizie comunitarie dello stato messicano del Guerrero, della comunità autonoma di Cherán (Michoacán, Messico), delle lotte studentesche e dei movimenti sociali di Città del Messico. E ovviamente non manca la voce dei desaparecidos di Ayotzinapa e delle decine di migliaia di scomparsi dall’inizio della guerra sucia (guerra sporca) in Messico. Le parole di un compa peruviano commuovono l’enorme platea: “Per noi Aymara la morte non esiste, per noi i 43 di Iguala come tutti i desaparcidos sono qui ed ora insieme a noi a discutere e lottare”.
Tantissimi tavoli tematici in contemporanea animano al mattino le aule dell’università, che per alcuni giorni perde il suo carattere di accademia: giustizia comunitaria, estrattivismo, battaglie di genere, acqua e difesa dei territori, memoria, linguaggio delle lotte, pratiche di comunicazione comunitaria, migrazioni. Le esperienze dei compagni di tutta l’America Latina riportano in maniera chiara e ineludibile i limiti e le contraddizioni dei governi progressisti sudamericani, il neoliberismo economico del governo del Mas (Movimiento al Socialismo) del boliviano Evo Morales e l’avanzata delle monoculture transgeniche in Brasile e Uruguay, l’ipocrisia dell’ecuadoriano Rafael Correa di fronte alle mobilitazioni degli indigeni andini, e le elezioni in Argentina che segnano un’inevitabile disillusione davanti al così definito ciclo progressista.
“Sì, siamo antiprogressisti”, dice chiaramente Raquel Gutiérrez, tra le principali animatrici di questo congresso, “perché contro il mito del progresso del capitalismo e il paradigma sviluppista”, e perché il progressismo oggi in America Latina è la nuova faccia del colonialismo neoliberale: “Siamo antiprogressisti in quanto contrari al progresso come locomotore della storia, al progresso che unisce destra e sinistra, scienza e chiesa, e che è oggi una nuova forma di colonialismo moderno”, conclude il sociologo argentino Horacio Machado nell’ultima plenaria del congresso. Tantissimi intellettuali e realtà tutti insieme in un confronto non privo di discussioni: la voce delle donne di Silvia Cusicanqui e Sivia Federici, Margara Millán, autrice del recentissimo libro Desordenando el genero, decentrando la nacion (“Disordinando il genere, decentrando la nazione”), il femminismo comunitario della boliviana Julieta Paredes, John Holloway, lo storico statunitense Sinclair Thomson, Raùl Zibechi, Gustavo Esteva dall’Università della Tierra di Oaxaca, l’immenso linguaggio filosofico di Jaime Martínez Luna, Luis Tapia con la sua lezione sullo Stato come campo di lotta, la sociologa Fabiola Escàrzaga, tra i tanti.
Nelle assemblee plenarie pomeridiane dei primi due giorni ci si interroga spesso sul significato e sulla centralità della comunalità, condividendo in ogni caso la necessità non tanto di trovarne una definizione statica, ma piuttosto di concepirla come un concetto dinamico da tradurre nella lotta: Silvia Cusicanqui, ad esempio, invita a “pensare alla comunalità come un concetto eterogeneo che costituisca una forma utopica di ripensare l’esistente” contro il “processo di espropriazione della volontà collettiva da parte del capitalismo predatorio odierno”. Holloway, invece, sostiene che la comunalità vada percepita per natura come “movimento antagonista al capitalismo”, come processo oppositivo e di riconquista, in quanto “oggi viviamo nella società della distruzione del comune, delle relazioni comunitarie sostituite al denaro e alla merce”.
La plenaria del terzo giorno è incentrata sul ruolo della memoria storica, intesa non come un oggetto, ma come un processo da costruire collettivamente, al di fuori delle narrazioni ufficiali egemoniche del passato, lontano da pericolosi folclorismi così come da revisionismi reazionari. Nell’ultima plenaria, infine, dedicata all’ecologia politica, si guarda alla crisi del mondo moderno, al peggiore ecocidio della storia dell’umanità che oggi colpisce l’America Latina, al capitalismo come anomalia storica perché basato sullo sfruttamento e sulla distruzione della natura e dell’uomo, a cui opporsi oggi secondo una logica differente, biocentrica, che ponga cioè al centro l’uomo senza rimuoverlo dal suo contesto.
Insomma, tutt’altro che un concetto idealizzato e idilliaco, la comunalità è pratica di lotta il cui terreno supera i confini, varca gli oceani e accomuna milioni di persone in resistenza per la vita. Il comune, come spesso viene ribadito riprendendo l’insegnamento negriano, prende sempre forma a partire da un sentimento comune di dolore, rabbia e indignazione, e non a partire da una concezione romantica di unione. I ponti tra le lotte del comunitarismo indigeno latinoamericano e i movimenti sociali dei paesi dell’austerity sono ancora più evidenti se si guarda al linguaggio che utilizzano: solidarietà, mutuo soccorso, reciprocità sono gli strumenti per l’edificazione di comunalità e autonomia, gli anticorpi all’insopportabile individualismo dilagante, al razzismo e all’intolleranza. Sta ora a noi, europei, raccogliere la sfida e la lezione della comunalità, riconiugarla nei nostri territori, ben consapevoli di non poter attingere, in modo analogo, al sostrato di tradizioni secolari che costituiscono la memoria collettiva dei popoli in resistenza dell’America Latina, ma costruendo comunità che siano capaci di costituirsi come spazio delle differenze in lotta per il comune.
Qui video, audio e cronache delle assemblee plenarie e dei tavoli di discussione: http://www.congresocomunalidad2015.org/
Di seguito il pronunciamento finale della neo-costituita Assemblea Nazionale della Comunalidad tradotto in italiano:
URGENTE
PER IL TESSUTO COMUNE
PRONUNCIAMENTO
Primo Congresso Internazionale della Comunalità
Lotte e strategie comunitarie: orizzonti oltre il capitale.
- Riconosciamo la necessità urgente di appoggiare le lotte sociali che emergono quotidianamente di fronte all’esproprio materiale e simbolico che il capitalismo predatorio porta avanti nel mondo intero. Sono lotte collettive e popoli che si concepiscono e si realizzano a partire da saperi, conoscenze e modi d’agire condivisi di uomini e donne che percorrono il cammino della emancipazione.
- Adottiamo la “comunalità” come simbolo comune. Tale parola nacque negli anni ’80 come espressione di una realtà viva e in movimento, radicata nei modi di essere e di lottare dei popoli di Oaxaca. Presto si incontrò con altre di tale senso. E’ oggi una fonte di ispirazione e un manto efficace per coprire una varietà di iniziative e lotte che si contrappongono apertamente all’individualismo dominante. In alcuni casi, si tratta di antiche attività che nascono dal tessuto comunitario, come quello dei popoli indigeni, e che si aggiornano costantemente. In altri casi, riflette lo sforzo contemporaneo di coloro i quali soffrirono la costruzione individuale come una prigione e decisero di unirsi con altre ed altri per lottare per il comune e il comunitario. Si tratta sempre di relazioni sociali tessute in pratiche comuni che combattono per la vita e se ne prendono cura di fronte alla dinamica di morte dominante.
- Ci impegniamo a generare nuovi concetti, teorie e saperi che contribuiscano a comprendere ciò che sta succedendo e a rinforzare le lotte per il comune e per la difesa della vita, contro le teste della idra capitalista. Rifiutiamo tutti i tentativi di gerarchizzare le conoscenze, per far prevalere quella dell’accademia e legittimare la dominazione. Favoriamo, invece, dibattiti fertili su idee e pratiche come quello che ha ispirato l’incontro convocato dagli zapatisti lo scorso mese di maggio.
- Costituiamo l’Assemblea Nazionale della Comunalità, per continuare a sollecitare gli sforzi che ci uniscono, la lotta anticapitalista e la difesa dei nostri popoli. L’Assemblea adotta il motto del Congresso Nazionale Indigeno: “Siamo assemblea quando siamo insieme, siamo rete quando siamo separati”. Non sarà una entità organica, una struttura burocratica o uno spazio chiuso di intellettuali o attivisti. Sarà un tessuto aperto a quanti condividano le pratiche e gli ideali che ci uniscono. Manteniamo la speranza che con il tempo questa assemblea giunga a essere integrata da rappresentanti di assemblee statali, regionali e locali, costituite in forma autonoma da coloro che considerino utile farlo. Per realizzare questo proposito, costituiamo anche un comitato animatore dell’iniziativa, composto da chi ha organizzato questo Primo Congresso.
- Esigiamo la comparsa con vita di tutti i desaparecidos di questi anni in Messico. Ci mancano ancora i 43 e solidarizziamo con le loro famiglie. Lontani dal farci intimorire, le azioni atroci delle autorità producono la rabbia e l’indignazione che ha nutrito questo congresso e che alimentano quotidianamente iniziative di resistenza ed emancipazione. Vivi li hanno presi, vivi li vogliamo!
- Facciamo nostre le lotte per la difesa del comune, dell’acqua, del territorio che si estende negli spazi feriti del Messico, dell’America Latina, del mondo. Sappiamo che in quelle lotte si trova già il germe di un mondo nuovo capace di fermare l’orrore che ci travolge e di affermare il “buen vivir” che ci insegnano i popoli originari.
Puebla, Messico, 29 ottobre 2015
*Inviato a Puebla (Mx) C.S. Cantiere (Mi) www.cantiere.org/