di Franco Pezzini
Tempo addietro parlavo con un amico, un bravo traduttore. Quasi duecento anni fa (1816, il bicentenario è imminente) in una villa sul lago di Ginevra nasceva per una sorta di scommessa il fantastico moderno: ma a spingere Percy Bysshe Shelley e la partner Mary, Lord Byron e il medico Polidori alla famosa decisione di scrivere storie fantastiche era stato l’incontro con un libro di ghost stories tedesche, Fantasmagoriana, che sarebbe stato importante – dicevo al mio amico – proporre ai lettori italiani. Pochi giorni dopo, scopro che il libro è appena uscito per i tipi Nova Delphi di Roma a cura di Fabio Camilletti (Roma 2015, pagg. 340 più diciotto non numm., euro 15,00): non certo un fenomeno di chiaroveggenza né un semplice caso, a fronte dell’avvicinarsi dell’anniversario, ma senz’altro una bella sorpresa.
Tanto più che si tratta di un’edizione magnifica. Camilletti, professore associato all’Università di Warwick nel Regno Unito, introduce la raccolta e la sua tormentata genesi con una introduzione che è un vero e proprio saggio, ampio e di godibilissimo stile. La raccolta, del resto, merita la lettura anche a prescindere dal suo ruolo seminale – e nel dirne due parole cercherò di limitare al massimo lo spoiler, per non assassinare il piacere di accostarvisi.
Uscita nel 1812 a Parigi per i tipi del libraio alsaziano Friedrich Schöll, a cura di “un Amateur” dietro cui si cela l’erudito geografo Jean-Baptiste Benoît Eyriès – autore dell’intrigante Prefazione – Fantasmagoriana presenta testi di vari autori tedeschi. A cominciare da quel Johann Karl August Musäus ricordato oggi soprattutto per una raccolta di fiabe germaniche (1782-1786) antesignana di quella dei Grimm, e alla quale attingeranno Lewis per The Monk (particolarmente la celebre storia della monaca insanguinata), Washington Irving per The Legend of Sleepy Hollow e persino Čajkovskij per Il lago dei cigni. In effetti il lungo racconto Amore silente di Musäus è essenzialmente una gradevole fiaba a tema amoroso, anche se Eyriès vi appone il sottotitolo Aneddoto del sedicesimo secolo in qualche modo “storicizzandola”. Non dirò se il sovrannaturale, qui come negli altri racconti, sia vero o fasullo: li troviamo entrambi equamente distribuiti, a volte persino nella medesima storia, e del resto la vocazione illusionistica e almeno potenzialmente farlocca è patente fin del titolo della raccolta. La fantasmagorie – all’epoca neologismo costruito sulle parole phantasma (fantasma/immagine/illusione) e “allegoria” – è infatti la lanterna magica, o meglio la sua evoluzione a fini di spettacolo, e votata a un Terrore che trasuda ancora dei fiati della Rivoluzione francese.
Decisamente più sinistro è l’eccellente racconto di Johann August Apel Ritratti di famiglia, che sviluppa un tema classico della storia di orrori sovrannaturali, quello dei quadri fatali (si pensi alle sue declinazioni in Walpole e in Stoker), attraverso la formula straniante di un incastro di storie a scatole cinesi. Dove lo “spettacolo” e la fantasmagoria sono insomma giocati attraverso il tema/provocazione della cornice, sia quella materiale del dipinto che l’altra metaforica delle narrazioni: e abbandonarsi a questo gioco labirintico richiama il delizioso brivido di quando, bambini, pareva che quel quadro nella casa degli zii ci guardasse in modo fin troppo fisso… Apel resta peraltro più noto per un racconto non compreso in Fantasmagoriana: quel celeberrimo Der Freischütz (Il franco cacciatore) a monte del successo romantico del plot in forma lirica.
Nella raccolta seguono poi ben quattro storie di Friedrich August Schulze, altro mattatore di quell’orizzonte di emozioni, frequentatore di nomi eccellenti come Ludwig Tieck e Friedrich Schlegel, e sodale di Apel nel varo del Gespensterbuch, 1811, il Libro dei fantasmi di cui Fantasmagoriana rappresenta in parte un florilegio. Il teschio, la prima di queste quattro novelle, è una deliziosa ghost story proprio sul tema dello spettacolo “fantasmagoriano” di brividi e illusioni; impagabile il ciarlatano Schuster che però si fa chiamare Calzolaro, “dato che nel mio lavoro un nome italiano funziona meglio di uno tedesco”. Seguono La sposa cadavere, una novella nuovamente giocata sul sistema-cornici, che muove da un motivo classicissimo e ben noto ma con divertita eleganza e sorprese; e il terribile e torbido L’ora fatale, greve di un senso oscuro di fatalità. Quanto a Il ritornante, Schulze mostra di giocare abilmente il tema degli spettri che covano in un matrimonio borghese – e possiamo soltanto immaginare i commenti divertiti degli anticonvenzionalissimi ospiti di Villa Diodati.
Si passa poi a un ideale dittico, La stanza grigia di Heinrich Clauren (al secolo Carl Gottlieb Samuel Heun, massone, cronista di guerra dei conflitti napoleonici e romanziere popolare) e La stanza nera nuovamente di Apel: dove il secondo testo incalza con divertito virtuosismo il precedente capovolgendone il senso, ma ancora una volta il fantasma è anzitutto l’emozione del racconto, con tutte le cornici del caso. Difficile del resto non attribuire ai membri della piccola “società di letterati” descritta da Apel i volti grotteschi, caricati dal trucco di certi personaggi dei film espressionisti di un secolo dopo, veri eredi del sortilegio delle fantasmagorie.
A chiudere infine la raccolta due Appendici. Nella prima Camilletti presenta La tempesta, vero gioiellino del Raggelante stavolta a forma femminile, di Sarah Elizabeth Utterson, tratto da quei Tales of the Dead, 1813, che di Fantasmagoriana saranno la parziale traduzione inglese. Nella seconda sono invece riportati gli apparati del Gespensterbuch e dello stesso Tales of the Dead – a suggerire che una lanterna magica è in fondo già quella dell’editoria, pronta a riplasmare inafferrabilmente (come in questo caso) un testo da un’edizione all’altra e da una lingua all’altra, in una continua sarabanda di spettri narrativi.