di Nico Macce
La dirigenza della grande compagnia aerea francese decide che a pagare i costi della crisi in cui la compagnia versa sono i lavoratori e prepara 2900 licenziamenti.
I sindacati dei trasporti non ci stanno e scendono in lotta. Visto che si parla di esuberi, l’esuberanza dei lavoratori arriva a sfondare i cancelli della sede della compagnia e a raggiungere i ceo Air France.
Il resto è cronaca, illustrata dalle immagini dell’amministratore delegato e del manager delle risorse umane con gli abiti a brandelli.
Qualcuno penserà: che violenti questi lavoratori! E i 2900 licenziamenti allora cosa sono? Cosa significano 2900 famiglie senza lavoro, che drammi umani? Che costi sociali? Oggi non è di moda parlare di questo?
C’è un’altra violenza, ben peggiore, che non si esercita con la forza fisica ma con tratti di penna.
In Italia, i tratti di penna dei ceo Air France sarebbero stati coperti da una nutrita presenza di forze dell’ordine, a spaccare teste al primo tentativo di avvicinarsi alla sede della compagnia.
In Italia, siamo abituati a chiamare violenza la reazione disperata od organizzata di lavoratori e movimenti e “intervento” quella delle forze di polizia.
I media ovviamente, sulla vicenda francese hanno parlato di violenze contro i due ceo. Ma in realtà l’azione collettiva dei lavoratori di Air France è stata ragionata, consapevole e calibrata: non si uscirebbe sennò da una folla inferocita senza un graffio e solo mezzi denudati. I lavoratori hanno appunto “lavorato” solo sul look piuttosto costoso dei due ceo, fatto piuttosto eloquente nel suo essere simbolico. Un’azione che ha parlato da sola, meglio di un qualsiasi comizio. Un esempio limitato, certo. E certamente non frutto di chissà quale lavoro politico di avanguardie. Ma quando un pezzo di classe, seppur piccolo, mette in campo con intelligenza un’azione di lotta, ci fa capire le potenzialità su cui lavorare.
È di queste potenzialità e della loro saldatura con un progetto politico e una forza che lo persegue che hanno paura padronato e Stato, governi classisti che sostengono e impongono misure che distruggono un intero secolo di lotte sociali e conquiste sul lavoro e sul welfare. Hanno paura che la classe lavoratrice si organizzi e si mobiliti con ragione e consapevole della propria forza per affermare i propri interessi di classe e bisogni di vita. Stiamo parlando di riformismo, ve ne rendete conto? Quel minimo sindacale che si pretenderebbe da socialdemocrazie e sindacati intenti dalla Grecia alla Francia a far rispettare i trattati europei dell’austerity e a svendere a pezzi diritti e spazi di democrazia.
E da qui, da questo vuoto politico occorre ricominciare. Non partiamo da zero. La sinistra rivoluzionaria ha una storia di quasi due secoli. Un portato di esperienze e percorsi che spesso è costato sangue e che anche per questo non va dissipato, né sclerotizzato. Che in una visione chiara di chi abbiamo davanti, ossia dell’avversario di classe con i suoi apparati di dominio violento, ci dice che solo la forza organizzata, vasta della classe proletaria nelle sue varie componenti che si ricompongono oltre la frammentazione della divisione sociale del lavoro e dell’egemonia culturale borghese, può spostare i rapporti di forza verso un cambio sociale.
Decenni di cretinismo parlamentare avrebbero dovuto ormai insegnare che l’azione politica antagonista è una combinazione di forme di lotta adeguate alla situazione concreta. E la partecipazione alle elezioni ne è solo un aspetto, oggi neppure prioritario. Perché se parliamo dell’Italia, il vero problema non è quello di passare il tempo a mettere insieme liste elettorali, ma neppure quello di lanciare le avanguardie in azioni autorappresentative di autodistruttivo esercizio muscolare, bensì quello di accumulare di forze (ogni iniziativa dovrebbe avere questa funzione, anche quando si sceglie o si arriva allo scontro) per poi intervenire nelle condizioni favorevoli, quando il conflitto sociale scoppia a causa della combinazione del lavoro delle soggettività coscienti e organizzate e dell’oggettività delle contraddizioni sociali.
Comprendiamola bene questa meccanica, perché l’avversario che abbiamo davanti ci ha spaccato le ali giorno per giorno. E oggi in Italia è difficile volare, anche per le brevi tratte della compagnia di Landini. Non certo per il traffico aereo.