di Mauro Baldrati
Vite desolate. Vite agre. Questo il centro dinamico – il contenuto – di Non essere cattivo, il film di Claudio Caligari che rappresenterà l’Italia agli Oscar. Qualcuno potrebbe obiettare: ancora? L’argomento non sgorga certo dalla cornucopia dell’originalità. Cristiana F. Amore tossico dello stesso regista. Pasolini. Il vuoto pneumatico dei beat, la loro ricerca ossessiva di non si sa cosa, un sogno forse, una malinconia. Hermann Hesse. Dostoevskj.
Eppure, come sempre, non è il contenuto il vero centro di un’opera, ma lo stile col quale viene narrato.
Il contenuto de I Sotterranei, forse l’opera migliore del sottosuolo beat, è l’amore folle, fallito di fronte all’inconsistenza esistenziale dei protagonisti. Eppure è la prosa “violenta”, come la definì Henry Miller, quella sorta di scrittura neominore a farne un grande libro.
Così lo stile del film esprime, attraverso le immagini, i dialoghi, attraverso le facce degli attori, e i luoghi, tutta l’essenza della Waste Land sociale e individuale del suo tempo.
I luoghi sono Ostia e la borgata romana, terre urbanizzate in fretta dove convivono durezza a normalità, devianza e povertà, violenza e speranza di riscatto. Quelle inquadrature di strade semideserte, con edifici decrepiti ma non antichi, bar ricavati da cubi prefabbricati, qualche negozio primitivo con insegne artigianali, evocano terre di frontiera, dove il presente è governato dal caso e dai puri rapporti di forza. Dove non esiste il progetto, ma solo l’affannoso riempimento di uno spazio vuoto e freddo. Il tempo è il 1995, un’epoca indefinibile, post-post; sono passati i devastanti anni ’80, nei quali l’eroina ha perfezionato l’opera di sterminio iniziata nel decennio precedente. La droga – la nuova droga sintetica – serpeggia, scava, avvelena, stravolge, ma Non essere cattivo è tutto fuorché un’opera sulla droga. Il neorealismo, che costituisce l’ossatura stilistica di queste brevi, caotiche, e al contempo lentissime e prevedibili vite vissute, non naufraga mai nell’iper, ma resta ancorato a una sorta di rappresentazione del tempo e dei luoghi dei personaggi, che sembrano sospesi – imprigionati? – in uno territorio immobile, paludoso.
I due personaggi principali, Cesare e Vittorio, condividono una formazione che non ha nulla di dinamico. Vivono per sopravvivere, per lasciare, a modo loro, un segno. Non sono i giovani rimbaldiani, puri e rabbiosi immersi nella melma putrescente. Sono corrotti, dalle droghe, dalla piccola delinquenza fine a se stessa, dallo spazio scaleno nel quale hanno avuto la ventura di nascere. Quando capita, si strafanno di pasticche, fino ad avere le allucinazioni. Cesare ha anche una missione, oltre alla propria sopravvivenza: accudire e mantenere la madre e la nipotina, già malata di AIDS dopo la morte della madre. Una parte dei soldi derivanti dallo spaccio sono per loro. Vittorio, sempre con gli occhi sbarrati dalle pasticche, cerca di costruire una vita diversa – una vita migliore? – lavorando come manovale in un cantiere. Entrambi si fidanzano, Cesare con una ex di Vittorio, quest’ultimo con una ragazza madre. Le due esistenze prendono vie diverse, non per volontà, ma per il caso, per la forza centripeta degli eventi. Vittorio combatte per diventare normale, e qui come non pensare a Come una bestia feroce di Edward Bunker, l’ex detenuto che lavora e fa sacrifici per una vita di miseria e di umiliazioni. Cesare va a vivere con la compagna in una romanticissima catapecchia semidiroccata, che insieme rimettono a nuovo con la forza della loro speranza e del loro amore. Che diventa ancora una volta tossico, perché va così, perché c’è di mezzo un businness di eroina, col suo bagaglio di tentazione, di seduzione autodistruttiva, di rapina a mano armata, anche se con una lupara scarica.
E’ un film sincero, duro, avvincente, privo di qualunque forma di americanata-patinata (e per questo siamo curiosi di assistere al suo posizionamento nel baraccone degli Oscar). Un film che prende il meglio dalla tradizione europea e italiana, e per noi l’Oscar, qualunque cosa sia, l’ha già vinto.