di Alberto Prunetti
Fabrizio Lorusso, Narcoguerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga, Bologna, Odoya, 2015, pp. 414, euro 20
Un libro di “cronache”, termine che in Messico indica un preciso genere di giornalismo ibrido e narrativo che nel racconto delle tragiche vicende dei narcos ha dato i suoi frutti migliori. Lorusso lo incarna con una forte precisione e abbondanza di dettagli, descrivendo non solo il Messico dei narcos ma tutto quello che attorno al narco-sistema gira o che a quello stesso sistema si oppone. Quindi da un lato corruzione, traffico di armi, terrorismo della violenza usato come forma di controllo sociale, femminicidi e sfruttamento; dall’altro i movimenti indigeni, gli zapatisti, le forme di resistenza civile, la lotta dei familiari dei desaparecidos. A proposito di desaparecidos, pare che il Messico abbia ormai quasi raggiunto la cifra di scomparsi dell’ultima dittatura militare argentina, solo che a quanto pare c’è al potere una democrazia. O una narcodemocrazia. Dove per “narco” bisogna intendere l’intreccio tra racket criminale, politica istituzionale e sfruttamento ipercapitalista degli oppressi: la droga è solo una merce tra tante. Quello di Lorusso è un libro fondamentale per la comprensione del Messico contemporaneo e di quelle dinamiche, tutt’altro che messicane, che fanno girare il capitalismo oltre i confini, sempre precari, tra legalità e illegalità.
Roberto Arlt, Una domenica pomeriggio, Roma, Sur, 2015, pp. 60, euro 7, traduzione di Raul Schenardi
Negli ultimi mesi sono state pubblicate in traduzione italiana alcune opere di Arlt che oggi chiameremo reportage narrativi. Questa selezione di tre racconti ci riporta invece ai registri delle opere di narrativa più famose dello scrittore portegno. Il gobbetto risuona delle atmosfere inquietanti de I lanciafiamme, mentre Le belve riporta nell’universo di finzione di Arlt lo sguardo in soggettiva delle sue Acqueforti portegne. E’ questo il libro che dell’ultima uscita di Sur ho più apprezzato, perché è riuscito a portarmi a cavallo delle due linee di scrittura di Arlt (quella del romanziere e quella del giornalista di reportage narrativi). Sempre sul lato dei racconti, genere che da noi meriterebbe migliore fortuna, segnalo un’altra uscita di Sur, una raccolta di racconti del messicano José Emilio Pacheco (Il principio del piacere, Roma, Sur, 2015, pp. 139, euro 14, traduzione di Raul Schenardi), contrassegnati da una dimensione di assenza o di scomparsa interpretata di volta in volta a livello sociale, sentimentale o anagrafico. L’ultimo titolo di Sur che è uscito è Oswaldo Reynoso, Niente miracoli a ottobre, Roma, Sur, 2015, pp. 279, euro 16, traduzione di Federica Niola.
Adrián Giménez Hutton, Chatwin in Patagonia, Roma, Nutrimenti, 2015, pp. 286, euro 19, traduzione di Marino Magliani e Luigi Marfé
Non ho mai provato troppa simpatia per Chatwin. Almeno da quando, trovandomi in Argentina, mi resi conto che tutti ne parlavano molto male e poi mi suggerivano di leggere Patagonia rebelde, un libro di Osvaldo Bayer che raccontava la vera storia della Patagonia, il libro da cui Chatwin, a detta di molti, aveva scopiazzato frettolosamente qualche appunto, rovesciando ironia da gentlemen colonialista sulle spalle già gravate degli operai patagonici fucilati dagli estancieros gringos. La cosa la raccontai qui. Questo bel libro di Gimenéz Hutton, tradotto superbamente da Magliani e Marfé, è da un lato narrativa di viaggio, dato che l’autore segue alla lettera i percorsi del viaggio di Chatwin, rimettendolo in corso d’opera, penna e taccuino alla mano; dall’altro è una rigorosa (e mai astiosa) operazione di fact-checking. Il risultato è sorprendente e il malumore verso Chatwin sembra segnare quasi tutti quelli che in Patagonia non possiedono un albergo che ospiti turisti europei.
Judith Godiol e Hernán Invernizzi, Golpe ai libri. La repressione della cultura durante l’ultima dittatura militare in Argentina (1976-1983), Roma, Nova Delphi, 2015, pp. 367, euro 19, traduzione di Francesca Casafina
All’inizio sembrava un’indagine per addetti ai lavori e poi si è trasformato in un libro che considero fondamentale per la comprensione di alcuni aspetti di controllo culturale operati dalla dittatura di Videla e soci. Chiunque sia interessato alla storia dell’Argentina e in particolare alle vicende della dittatura militare, non può fare a meno di comprare questo libro. Conoscevo già la repressione contro gli scrittori di sinistra (da Walsh a Bayer a Uroldo a decine di altri casi) ma non immaginavo con che mano pesante fosse stata colpita dalla dittatura la letteratura scolastica o quella religiosa, ad esempio. In quest’ultimo caso, immaginavo che la mannaia fosse caduta su un piccolo gruppo di teologi della liberazione, mentre invece si è colpito su vasto raggio per disciplinare in maniera estesa e radicale ogni dimensione sociale, anche quella del clero. (Quasi un off topic. Leggevo queste pagine mentre in Veneto usciva una lista di libri per l’infanzia da mettere a censura: mi è venuto da pensare che i moderni censori leghisti non abbiano inventato nulla. A proposito, sono andato a leggermi le opere che a loro dire inciterebbero a ideologie perverse nelle fantasie dei bambini, tipo Piccolo blu e piccolo giallo: ho trovato profondità di sentimenti e apertura al mondo e alla differenza. E soprattutto relativismo culturale. Dicano la verità: son queste le cose che li spaventano).
Ma ormai siamo entrati nel regno dei libri per l’infanzia.
Cerchiamo quindi altri libri per i moderni censori possano odiare (e noi amare) perché aprono a una visione del mondo plurima e non identitaria, libera da passioni tristi.
Antonio Gramsci e Viola Niccolai, La volpe e il polledrino, Milano, Topipittori, 2014
Nelle sue Lettera dal carcere Gramsci ha scritto spesso ai figli Delio e Giuliano, che vivevano a migliaia di chilometri da lui, in Russia. A Delio e Giuliano raccontava alcune storie della propria infanzia e dava suggerimenti e consigli in forma di favole. Talvolta traduceva per loro delle fiabe tratte dall’opera dei fratelli Grimm, da Dickens o da Kipling, oppure anche traduceva dal russo, per se stesso, alcuni racconti per l’infanzia di Puškin, di Tolstoj o di Gor’kij. Tra le favole gramsciane, le più famose sono L’albero del riccio e La volpe e il polledrino che ovviamente, come gran parte della produzione dell’autore dei Quaderni del carcere, non sono immediatamente state pensate per la pubblicazione. Il racconto La volpe e il polledrino è stato di recente illustrato da un’illustratrice originaria del Monte Amiata, Viola Niccolai. Il libro è sorprendentemente bello. L’opera di Gramsci da noi non è più oggetto di grandi analisi mentre nel resto del mondo l’autore di Ghilarza è forse il pensatore italiano più studiato, anche se la sua opera è più interpretata che letta di prima mano. Meriterebbe in Italia una nuova riflessione critica, magari con un taglio obliquo, inedito, a partire – perché no? – dall’opera pedagogica gramsciana e dalla sua scrittura per l’infanzia. (Viola Niccolai, che aveva il nonno che teneva in camera una foto di Gramsci, è alla sua opera prima. E a quel che vedo l’aspetta il sole dell’avvenire nel mondo dell’illustrazione per un’infanzia ribelle. )
Isabella Christina Felline, Libro fiore, Follonica, Ouverture, pp. 57, illustrato, euro 14,50 (illustrazioni di Elena Martini).
Mi è piaciuta molto questa raccolta di microscritture per l’infanzia. All’inizio pensavo che il titolo alludesse a una sorta di omaggio alla canzone di Endrigo/Rodari, ma qui più che il senso della logica delle connessioni naturali ho trovato una dimensione diversa. L’autrice regala ai lettori dell’infanzia una sorta di semiotica delle passioni, da quelle tristi a quelle più positive, dalla creatività alla diffidenza, dalla laboriosità all’insoddisfazione. Del resto, ci sono tanti modi per far crescere i semi e trasformarli in fiori. E i fiori prendono qualcosa della passione che governa chi si cura di loro. Brava l’autrice e belle anche le tavole dell’illustratrice Elena Martini.