di Alfio Neri
Dormivamo fuori città, a una ventina di chilometri. Per arrivarci ci mettevamo un’esagerazione, anche un’ora o un’ora e mezzo. Non dipendeva dalla strada. La rete di trasporti era moderna. Il problema era umano. Bisognava passare i check point.
Gerusalemme era lì, a volte la si poteva quasi toccare. Si vedevano distintamente gli edifici moderni e la cupola dorata della Moschea di Omar. Per arrivarci occorreva passare i posti di blocco. Tutta l’area è sotto la giurisdizione dell’esercito che, semplicemente, si riserva di fare tutto quello che gli pare.
I check point erano indimenticabili. Fra i soldati i più erano di leva. Erano giovinastri lunatici abituati a usare l’imperativo anche nei saluti. Questi avevano a capo un graduato di truppa con la faccia da cannibale, in genere un poco più anziano di loro e molto abituato a urlare1. L’attenzione andava anche alle soldatesse, ragazzotte quasi atletiche, visibili consumatrici di bibite gassate.
Gerusalemme è molto bella. La prima impressione è splendida. Le colline carsiche che la circondano ne danno un’immagine quasi dorata. Anche la città vecchia è molto bella. Ci sono un mucchio di sassi vecchi davvero molto belli, tenuti assieme da una manciata di malta. Se Gerusalemme è una meta turistica internazionale, una ragione c’è.
Fra tante cose belle, l’acqua e la spazzatura risaltano come gioielli. In genere fra rifiuti e sassi vecchi tendo a preferire l’archeologia. In Palestina però mi sono ricreduto. A volte la modernità è molto più interessante di tutte quelle deliziose scemenze che mi piacciono tanto nei libri stampati.
Un tempo, fino al 1967, Gerusalemme era divisa in due. Da una parte c’era Gerusalemme ovest, abitata dagli israeliani; dall’altra Gerusalemme est, abitata dai palestinesi. La prima era moderna; la seconda era molto più arcaica a tradizionalista. Con l’occupazione della West Bank (in Italia viene chiamata Cisgiordania) è cambiato tutto. Lo stato israeliano ha annesso la West Bank ma non ha dato la nazionalità ai palestinesi. Ha annesso la terra ma ha rifiutato i suoi precedenti abitanti. Come risultato i palestinesi si sono trovati nella difficile posizione di residenti permanenti (e indesiderati) in una terra che fino a poco prima era la loro. Alla fine degli anni Settanta gli israeliani hanno lanciato una serie di programmi di edilizia popolare che hanno coinvolto aree gigantesche. Lo scopo di quest’attività di edilizia pianificata era quello di sostituire la popolazione araba con quella israeliana.
Ultimamente le aree arabe sono state circondate da un muro di cemento armato attorno a cui, per 250 metri, non si può costruire. In molti punti sono state spezzettate da piccole colonie fortificate. Per collegare le colonie, legali e illegali, con il centro, sono state costruite delle strade militari che non possono essere attraversate dagli arabi.
In questo modo il grosso nucleo arabo di Gerusalemme ovest è stato frantumato intenzionalmente, in modo da cancellare la possibilità stessa di staccarlo da Israele. Da allora nessun nuovo quartiere arabo è stato costruito. Inoltre, dal 1967 gli arabi non sono più autorizzati a registrare le proprie proprietà immobiliari. Di conseguenza, chi non ha i titoli di proprietà che risalgono almeno al mandato britannico, difficilmente è in grado di dimostrare di essere il proprietario dei suoi beni, neppure nel caso sia dell’edificio in cui abita. Con queste norme tutte le nuove case degli arabi sono al di fuori della legalità. Per questo possono essere abbattute in ogni momento. Tutto questo, per la legge israeliana, è legale.
Con un poco di pratica si vedono molte cose. Per esempio anche solo osservando i marciapiedi si capisce in che zona si è. Le colonie si distinguono per la sorveglianza armata ma la loro peculiarità è che finiscono nell’esatto punto in cui termina il marciapiede. Dico questo perché a Gerusalemme Est i quartieri arabi non hanno mai il marciapiede. Attorno alle case c’è solo una fascia di terreno sterrato. Evidentemente per la Municipalità gli arabi non sentono il bisogno di questa forma di modernità.
Un altro interessante particolare è l’acqua. Nei quartieri arabi non arriva molto bene. O meglio ci arriva per qualche ora un paio di volte al mese. Ovviamente, le colonie ebraiche hanno l’acqua in abbondanza per tutto il giorno. Il risultato è che le case degli arabi hanno un serbatoio che si carica con un dispositivo quando l’acqua arriva – ovviamente in tempi non prevedibili. Le case arabe si distinguono da quelle israeliane al loro fianco perché sono sormontate da un voluminoso serbatoio d’acqua che a pochi metri non appare nelle case dei vicini più fortunati.
Quello che però mi ha stupito è la spazzatura. Gerusalemme è una città moderna che fa la raccolta differenziata. Nelle zone israeliane, il servizio è puntuale ed efficiente. Sembra che, per gli israeliani, i palestinesi non ne abbiano bisogno. Infatti, nelle loro zone l’acqua quasi non arriva, il servizio fognario è molto carente e la spazzatura non viene raccolta. Le zone arabe sono piene di speciali contenitori di metallo traforato. In genere alla base di questi contenitori lunghi due metri, larghi un metro e alti un metro e sessanta sono messi carta e cartoni. La mattina del mercoledì il contenitore è riempito con altri rifiuti infiammabili, come la plastica. Terminato il lavoro, a metà mattina, è incendiato. Il bello della storia è che le colonie israeliane fortificate, quelle in cui avviene la raccolta differenziata, sono affumicate tutti i mercoledì dai palestinesi che vi abitano vicino.
Per ironia della sorte, gli operai della nettezza urbana di Gerusalemme sono quasi tutti palestinesi. Questi lavoratori svolgono egregiamente il loro lavoro nelle zone israeliane, tant’è vero che quelle aree sono molto pulite. Tuttavia, per ‘ragioni di sicurezza’, non possono andare a prendere la spazzatura nelle aree palestinesi. Per questo, gli spazzini palestinesi, la loro spazzatura, la bruciano a casa loro il mercoledì.
Possiamo quindi constatare un fenomeno molto interessante. Gli operai palestinesi della nettezza urbana possono muoversi per tutta la città e per tutte le colonie ebraiche, perché lì non ci sono problemi di sicurezza. Al contrario non devono raccogliere la spazzatura a casa loro perché lì sarebbe in pericolo la loro sicurezza personale.
Credetemi. Sono parecchi quelli che non capiscono accanimento dello stato israeliano. Se si cerca la pace, non si fanno queste cose. Se si cerca la guerra, si spara. Non è tollerabile che tutti parlino di pace mentre ai palestinesi non è neppure permesso di avere una vita normale. Follia, questa si chiama follia.
Per avere un’idea dei comportamenti dei soldati israeliani ai check point si consiglia la visione della fotogallery che documenta l’uccisione di Hadeel Hashlamon a Hebron e i seguenti video: Pregnant Palestinian Stopped At an Israeli Checkpoint, Shocking Clip: Israeli Checkpoint Cruelty. ↩