di Fabrizio Lorusso
Il 7 settembre, nuovamente, l’attenzione del Messico è tornata al caso irrisolto della mattanza di sei persone e della sparizione dei 43 studenti della scuola normale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nel meridionale stato del Guerrero, durante la sanguinosa notte di Iguala del 26 settembre dell’anno scorso. “E’ stato lo Stato”, hanno ripetuto instancabili i genitori dei ragazzi e i gruppi organizzati che li sostengono per mesi e mesi. E in effetti la partecipazione della polizia locale, sotto gli occhi complici di quella federale e dell’esercito, al rapimento e sparizione dei ragazzi e alla mattanza di Iguala, città amministrata da un sindaco-narcotrafficante e da sua moglie, sorella di alcuni boss del micro-cartello Guerreros Unidos, parla decisamente di apparati statali infiltrati e criminali. Le autorità di numerosi comuni del Guerrero e del Messico non sono solo corrotte o conniventi, non solo si dedicano a coprire la delinquenza organizzata, ma operano direttamente come dei cartelli e si fondono con essi.
Verità storica smontata
La presentazione del volume di 500 pagine “Informe Ayotzinapa: investigación y primeras conclusiones sobre las desapariciones y homicidios de los normalistas de Ayotzinapa” (#InformeGIEI + #GIEIAyotzinapa) in conferenza stampa da parte del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI), istituito dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, organo della OAS (Organizzazione degli Stati Americani), ha demolito la “verità storica” della PGR (Procura Generale della Repubblica), come l’aveva chiamata pretenziosamente l’ex procuratore Jesús Murillo Karam. E’ passato quasi un anno, dodici mesi di menzogne governative e tergiversazioni della procura, di proteste e repressioni durissime per le strade, di carovane dei genitori di Ayotzinapa e di indagini indipendenti da parte di giornalisti e istituzioni straniere.
La prossima giornata globale, la sedicesima, per esigere giustizia per i 43 studenti dovrebbe svolgersi il 26 settembre. Adesso è maggiore la consapevolezza del fatto che la “verità” della procura coincide sempre più con una vergognosa “menzogna storica” che gradualmente è stata decostruita dalla parte sana e attiva della società e ricomposta nei suoi terribili e dispersi frammenti di senso. Negli ultimi sei mesi gli esperti del GIEI hanno lavorato sul caso e potrebbero continuare per un altro mezzo anno, in caso che venga ampliato loro il mandato iniziale secondo la convenzione tra Messico e OAS in vigore dal marzo scorso. Il presidente messicano Peña Nieto ha manifestato l’intenzione di riunirsi coi genitori dei 43 studenti e rinnovare il mandato dell’equipe internazionale. In questo periodo sono state decine le raccomandazioni ufficialmente emesse dal Gruppo e rivolte a diverse istituzioni governative, presiedute, in ultima istanza, da Peña Nieto: il Ministero degli Interni (Segob), la PGR, ora diretta da Arely Gómez, il Ministero (Sedatu) dello sviluppo agrario, territoriale e urbano. L’unica istituzione alla quale gli esperti non hanno potuto accedere è stato il Ministero della Difesa Nazionale (Sedena).
Il ruolo dell’esercito
In particolare il 27esimo battaglione dell’esercito di stanza a Iguala, che ha avuto una partecipazione attiva nei fatti di Iguala nella notte del 26-27 settembre ed è stato segnalato da più parti come uno dei possibili responsabili della desaparación dei normalisti, non è stato sottoposto a nessun tipo d’indagine né i suoi membri hanno rilasciato alcun tipo di intervista o testimonianza. L’omertà e la protezione nei confronti dell’esercito sono stati totali e ora anche il rapporto del GIEI conferma, grazie a interviste e all’incrocio di versioni fornite dai normalisti, il ruolo ambiguo e repressore dei militari, in particolare nella clinica privata “Cristina” in cui s’erano rifugiati gli studenti perseguitati dopo la mezzanotte del 26.
Murillo Karam, prima di “stancarsi”, come aveva dichiarato in una conferenza stampa, delle domande e delle critiche dei giornalisti, e prima di lasciare l’incarico di procuratore nella mani di Arely Gómez il 3 marzo scorso, aveva fornito una versione ufficiale, descritta come “storica” anche se basata su testimonianze incongruenti di testimoni torturati, incarcerati e presumibilmente appartenenti alla criminalità organizzata locale. Nella narrazione gli studenti sarebbero stati perseguitati durante alcune ore e poi sequestrati dalla polizia locale di Iguala e da quella di Cocula che li avrebbero consegnati ai narcos dei Guerreros Unidos. Questi a loro volta li avrebbero portati nella discarica di Cocula per bruciarli e avrebbero gettato i loro resti nel fiume sottostante.
Dopo che il presidente Peña, alle corde, ha detto che si dovrà tenere in considerazione l’opinione della squadra della CIDH, Arely Gómez ha risposto alle critiche del rapporto GIEI annunciando nuove perizie, mentre altri funzionari della procura continuano a sostenere la veracità e correttezza delle ricostruzioni ufficiali su Ayotzinapa. Sembrano ignorare le condanne fortissime di Amnesty International e Human Rights Watch contro il Messico, le quali parlano della “peggiore crisi nel rispetto dei diritti umani degli ultimi decenni”, di “scuse” e di “pigra inazione” da parte del governo.
Alcuni punti importanti dello studio del GIEI
Ecco cosa ha scoperto o confermato, invece, l’investigazione indipendente e meticolosa del GIEI, che viene tra l’altro ad avvalorare la versione di mezzi stampa, accademici e giornalisti che per settimane hanno contrastato le imprecisioni e le bugie ufficiali:
- Non esiste nessuna prova che possa sostenere l’ipotesi generata a partire dalle testimonianze secondo cui 43 copri sono stati cremati nella discarica municipale di Cocula.
- Tutte le prove raccolte mostrano che nella discarica solo ci sono stati dei fuochi di piccole dimensioni la cui scansione temporale non può essere dovutamente definita.
- Non c’è prova che sostenga l’ipotesi secondo cui i corpi sono stati cremati con un fuoco alimentato in gran parte da grassi sottocutanei.
- Tutte le prove raccolte mostrano che l’incendio minimo necessario per la cremazione di questi corpi non può essere stati generato nella discarica di Cocula. Se fosse esistito un fuoco di tale grandezza, i danni generali sarebbero stati visibili nella vegetazione e nella spazzatura. Nessuno di questi elementi mostra danni di questo tipo.
- E’ impossibile stabilire se i fuochi accesi nella discarica di Cocula sono stati di dimensioni sufficienti per l’incinerazione di uno o più corpi, e inoltre non c’è nessuna evidenza che indichi la presenza di un fuoco della grandezza di una pira per la cremazione anche di un solo corpo.
- Non esiste nessuna evidenza che mostra che il combustibile necessario per la cremazione dei corpi sia stata disponibile in qualche momento presso la discarica.
- Le testimonianze indicano eventi che non sono possibili date le condizioni generate e per come dovrebbe essere il fuoco minimo indispensabile per la cremazione dei corpi.
- La perizia relativa al fuoco non è stata fatta secondo le regole internazionali ampiamente accettate dalla comunità forense. Non è stata data la priorità necessaria alla perizia relativa al fuoco, si è disposto di prove critiche (vegetazione adiacente) senza le necessarie analisi, la raccolta di prove ha trascurato elementi critici e necessari e l’evidenza non è stata strutturata in modo adeguato.
- L’Opinione Ufficiale emessa sugli Incendi (AP/PGR/SEIDO/UEDMS/871/2014, Pagine 80002, 83278, 88350) non ha gli obiettivi, la profondità e il rigore necessari per un’investigazione di questa natura.
- Le conclusioni della riferita Opinione sono in gran parte errate e in molti casi non emergono dalla evidenza materiale e dalla sua possibile interpretazione.
- I periti della PGR autori dell’Opinione non hanno le conoscenze né l’esperienza necessaria per affrontare un caso della complessità di quello che riguarda i fatti del 27 settembre 2014.
Il quinto autobus “fantasma”
Carlos Beristaín, uno degli autori del rapporto, ha spiegato in un’intervista alla CNN come questa possa trasformarsi in una “opportunità per cambiare le cose, per fortificare la lotta per i diritti umani e contro l’impunità” e come “molte informazioni erano già presenti nei fascicoli della procura ma non erano state processate correttamente”. Ha anche sottolineato che bisogna rivedere urgentemente il ruolo del “quinto autobus per formulare un’ipotesi consistente, visto che non era stato tenuto da conto nell’indagine”. I bus occupati dagli studenti di Ayotzinapa a Iguala erano, infatti, solo quattro, ma la ricerca del GIEI ha fatto emergere l’esistenza di un quinto autobus che non c’era nel fascicolo originale e che sarebbe stato carico di droga. Beristaín ha dichiarato che sono tante le inconsistenze nelle dichiarazioni dell’autista e che l’autobus ripreso dal video registrato alla stazione dei bus di Iguala e quello, che sarebbe il quinto, ritratto dalle fotografie che hanno consultato gli esperti sono diversi. Le linee aperte sono dunque molte. Esiste la possibilità che uno dei mezzi di trasporto presi dai normalisti quella notte contenesse eroina che i Guerreros Unidos intendevano trasportare alla frontiera statunitense.
Attacco massivo e contro-insurrezione
I fatti di Iguala sono stati descritti dalla CIDH come “un attacco massivo” in cui ci sono state 180 vittime dirette, tra cui 6 morti da considerare come “esecuzioni extragiudiziarie” e 43 sparizioni forzate. Lo scrittore e giornalista Sergio González Rodríguez, autore del libro Los 43 de Iguala, ha parlato di vere e proprie operazioni contro-insurrezionali nei confronti dei normalisti. Uno degli esperti della Commissione ha affermato che “c’è stata la presenza di differenti agenti dello stato (polizia municipale, ministeriale, federale) e non abbiamo riscontrato alcuna azione di protezione. Quello che stava succedendo erano aggressioni che superavano qualunque azione di neutralizzazione di persone. Avevano a che vedere con spari da armi da fuoco, attacchi e attentati contro la vita, eccetera.
Inoltre c’è stato un ritardo nel prendersi cura delle vittime, le ambulanze avevano paura di uscire”. E anche per questo si può parlare di desaparición forzata e secondo gli esperti s’è trattato di un livello d’aggressione brutale, “indiscriminato, con autori che non occultano la propria identità, non c’è nessun occultamento della loro identità inizialmente. Si sa che si tratta della polizia municipale, alcuni sono incappucciati ma poi si scoprono. Questo attacco mostra il tipo d’impunità su ci potevano contare i vari autori e la mancanza di meccanismi di controllo di un’azione così violenta contro la popolazione, oltre al terrore esercitato e al controllo territoriale che aveva la polizia municipale con altre autorità, insieme al crimine organizzato”.
Il vuoto nelle indagini non è riuscito a colmarsi: non sappiamo ancora esattamente cosa è successo tra il momento della cattura degli studenti e quello della loro scomparsa. Ma sappiamo che la procura non ha prodotto nessuna “verità storica”, men che meno giuridica.
Il GIEI ha segnalato anche la presenza di “molteplici scenari”, almeno nove, in cui vi sono stati attacchi diretti con la presenza di funzionari statali e il fatto che i normalisti la notte del 26 settembre sono stati sorvegliati e seguiti dalla Polizia Federale da quando sono passati dalla capitale del Guerrero, Chilpancingo, ore prima dell’aggressione armata contro di loro. “La responsabilità degli attori che portano a termine la sparizione forzata, che mettono in atto il sequestro all’inizio, risiede anche nella desaparición successiva delle persone, indipendentemente da quale sia stato il meccanismo finale che ha portato a prendere decisioni sul destino o la situazione dei desaparecidos. Non bisogna separare le due cose, sono parte della medesima azione, non sono due azioni differenti”.
Reazioni e azioni in vista del 26 settembre
Un altro degli esperti del GIEI, Alejandro Valencia, ha sottolineato che nel rapporto si segnalano 20 raccomandazioni per le autorità suddivise in quattro categorie: l’indagine, le responsabilità, le ricerche e la cura delle vittime. Andranno promosse l’unione delle varie indagini e la realizzazione di incroci delle informazioni tra il DNA ritrovato negli autobus in cui c’erano i normalisti e i loro familiari. Le ricerche dovranno allargarsi e includere fotografie satellitare e altri luoghi compatibili con le prove in possesso degli inquirenti. Vanno anche investigate le responsabilità delle autorità finora tralasciate e le colpe di chi avrebbe intralciato le ricerche in questi mesi.
In tal senso parte dell’opinione pubblica e parlamentari del PRD (Partido Revolucion Democratica), partito politico cui apparteneva l’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca, stanno chiedendo già l’istruzione di un giudizio politico contro l’ex procuratore Murillo Karam. Tra l’altro Abarca e sua moglie Maria Pineda avrebbero negato, in un intervista rilasciata agli esperti del GIEI, la loro partecipazione ai fatti della notte di Iguala: le versioni e le confusioni si moltiplicano. Urge anche la creazione di un’anagrafe delle persone scomparse e di un sistema di ricerca implementato dallo stato dato che le prime 72 ore dalla scomparsa di una persona, in genere, sono cruciali. Il GIEI ha chiesto altresì la creazione di un programma nazionale per le esumazioni.
Chi dispone dei forni crematori necessari per ridurre 43 corpi in cenere in poche ore? I militari, per esempio. Ma non sono stati indagati. E allora la società, almeno le sue componenti più attive e consapevoli, reagisce e chiede spiegazioni, giustizia, ancora una volta. Uno sparuto manipolo di narcotrafficanti in una discarica di provincia avrebbe avuto bisogno di almeno 60 ore (non 16 come attestano le dichiarazioni dei detenuti) e di una “potenza di fuoco e di calore” di gran lunga superiore, oltre che di una capacità organizzativa elevata. Gli esperti hanno chiesto che siano aperte ricerche sui forni crematori disponibili nel paese e hanno parlato di almeno 700 familiari coinvolti e colpiti direttamente in seguito ai fatti di Iguala.
E sono milioni le persone che da vicino o da lontano stanno con loro. Sono 30mila i desaparecidos messicani e decine di migliaia in più quelli centroamericani in terra azteca negli ultimi 10 anni. Più di 100 i giornalisti silenziati dal patto criminale e d’impunità narco-governativo. Sono oltre 130mila i morti ammazzati della narcoguerra in nemmeno un decennio, da quando nel 2006 il presidente Felipe Calderón lanciò un’improvvisata e sanguinosa campagna militare “contro i narcos”. Le virgolette sono d’obbligo, visto che di fatto l’offensiva governativa e la violenza dei cartelli del narcotraffico si ritorcono soprattutto, sinergicamente, contro la società e la popolazione, specialmente contro le sue frange più organizzate e resistenti, in lotta contro la spoliazione economica e ambientale di territori e comunità. Alla luce di tutto questo e del rapporto steso dagli esperti del GIEI la società e i movimenti organizzati in Messico e nel mondo, i genitori di Ayotzinapa, la stampa, i difensori dei diritti umani, i solidali e la gente si chiedono: “Dove sono i 43 studenti?” Lo stato messicano non può, anzi non vuole rispondere. #MexicoNosUrge