di Mauro Baldrati
C’è un elemento particolarmente interessante nella grottesca vicenda del funerale del boss Casamonica. Un elemento più significativo dell’ennesima, prevedibile passerella di cialtroneria e ipocrisia dei personaggi coinvolti, secolari e temporali, tutti “costernati” e “irritati”, tutti che “non sapevano” oppure, se è fuor di dubbio che sapevano, “non credevano”. E se non possono negare che sapevano e credevano, “non volevano”.
L’elemento per così dire qualificante è di carattere apparentemente estetico. Vale a dire la sceneggiata, il carro funebre coi cavalli, l’elicottero che lancia i petali – il quale, vista la mancanza di qualunque controllo avrebbe potuto lanciare anche delle bombe all’uranio impoverito – i manifesti sul “Re di Roma”, e la risposta del “pubblico”, una piccola folla di sostenitori, gente che dal sistema di potere criminale mafioso ha avuto regali, aiuti. Il tutto accompagnato dalla colonna sonora de Il Padrino, eseguita da una banda che davvero avrebbe potuto essere uscita da quel film. Anzi, tutta la scena avrebbe potuto essere compresa nel film. Mancava la regia, la fotografia raffinata, ma i particolari coincidevano, tutto era conforme.
Allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: dunque la realtà è stata sostituita dalla fiction? La domanda è retorica, ma non può avere risposta, perché presuppone che i due piani – le due tesi, per dirla con Gramsci – siano separati, con pochi contatti e scarsa comunicazione. Ma non è così. La sceneggiata del funerale ha realizzato, forse per la prima volta, una fusion perfetta tra realtà e finzione.
Per dire, la televisione ci sta provando da anni, ma senza risultato. I telegiornali zeppi di eventi criminali inseguono una “narrazione” horror che sia avvincente, che coinvolga il telespettatore proprio come un film. Ma è impossibile. Il male della cronaca nera, il male reale, è brutto, volgare, sgraziato, non ha quel tocco patinato che le produzioni cinematografiche, soprattutto americane, cercano di realizzare. I mafiosi arrestati sono malvestiti, trucidi, non hanno nulla in comune coi criminali fascinosi e attraenti del cinema, per quanto crudeli e spaventosi. I padrini sciatti con quelle polo sporche che a malapena contengono le pance prominenti non condividono nulla coi loro avatar impersonati da attori come Marlon Brando, Al Pacino, Robert Duvall, che seminano fascino dorato ovunque appaiono. La cosiddetta cronaca non riesce a patinare la pacchianeria mortifera dei mafiosi, degli strozzini, perché il suo compiacimento para-giornalistico non contempla la trasfigurazione dell’originale, la recita, la costruzione dei dettagli. Vorrebbe, ma non può.
Gli organizzatori della sceneggiata gliel’hanno servita su un vassoio d’argento. Anzi, d’oro. Quella colonna sonora del Padrino è il vero messaggio: vedete, noi siamo come loro, i padrini del film, siamo “fichi” come loro.
Ovviamente non è proprio così, cioè non abbiamo assistito a un transito del reale nella fiction. Diciamo che l’operazione di unire la natura di Edipo con Antiedipo non può riuscire: la realtà resta volgare, trash, mentre Il Padrino è elegante, è stile. I “padrini” hanno piuttosto operato una riduzione comica di Telemaco, attingendo da quello stile cinematografico; hanno cercato, coi loro mezzi, di impossessarsene, lo hanno innestato con la loro volgarità violenta. Il risultato è un prodotto folle, ibrido, orribilmente vero ma al contempo finto, che fonde la realtà non con la narrazione, ma con la recita. E resta appetibile per la televisione, nonostante l’altra farsa, da retrosportello, quella delle indignazioni.
E qui sorge un’altra domanda, anzi, due: 1) dove può e deve fermarsi l’opera di fascinazione – la patina – del male? E’ ammissibile trasformare in eroi “cool” dei trafficanti di droga pesante, degli sfruttatori di prostitute, dei taglieggiatori di commercianti, degli assassini? 2) Ma se il regista di thriller, lo scrittore di noir si pongono questi problemi, la loro opera non diventerà didascalica, e quindi scontata, inutile?
La risposta n.1 è: il confine esiste, ma è invisibile, non può essere tracciato perché è nella zona oscura dell’autore, nella sua formazione, nella sua maturità personale e politica. Forse nella sua sofferenza, nella sua paura e nella sua violenza. Sta a lui “lavorare” questa materia per filtrarla, per stabilire un’etica quasi mai dichiarata o esibita.
La risposta n.2 è: sì. Col processo descritto sopra si può trasfigurare la realtà e attraverso il racconto avventuroso, ripulito dalla retorica, dall’ipocrisia, dal manierismo, si può cercare di trasformarla, senza cadere nella didascalia.
Nel mondo dell’immagine, per fare un esempio, ci è riuscita la serie Breaking Bad. In quello della letteratura noir lo scrittore francese Jean Patrick Manchette.
Invece Il Padrino, dopo la sceneggiata televisiva del funerale, ha riaffermato quello che davvero è: un film interpretato, fotografato, musicato, sceneggiato divinamente, tutti elementi di alta e sterile qualità che lo portano, senza alcuna speranza di riscatto, a un’apologia sfrenata e miliardaria della mafia.