di Carlo Trombino

fiorucci-copertina-600x400La storia della grande industria italiana è ricca di vicende tragiche e a tratti romanzesche, con morti ammazzati, bancarotte improvvise, agnizioni e colpi di scena.

Ma c’è una storia particolarmente tragica che da quasi quarant’anni giace sepolta negli archivi polverosi e segreti. Un’oscura fiaba del capitalismo italiano avvenuta prima di internet e di cui internet non conserva traccia se non in un recondito anfratto di cui farò menzione.

Una storia di odio familiare e di morte sta alla base, letteralmente alla base, di uno dei marchi più noti dell’industria più italiana che ci sia, ovvero il mondo milanese della moda.

Una storia in cui mi sono imbattuto per caso, facendo ricerche d’archivio alla ricerca di ben altro materiale. Spesso chi fa ricerca storica deve faticare parecchio per trovare la polpa su cui lavorare e talvolta frugando negli archivi, in maniera del tutto casuale, ci si imbatte in vicende che non possono essere taciute.

Una storia, questa, che mescola il fiuto imprenditoriale di un trendsetter senza scrupoli e il dolore di una madre cui viene strappato il cognome, cui viene tolta l’identità. Una storia di capitalismo e tragedia virtualmente nascosta per decenni, come se non si volesse sporcare l’immagine di uno dei marchi italiani più conosciuti nel mondo.

«Tradita» dal figlio e dalla Montedison.

E’ entrata in mare completamente vestita, ieri mattina a Ostia, e si è lasciata annegare a pochi metri dalla riva. Argentina Bonazzola Fiorucci, 65 anni, privata dal figlio e dalla Montedison della facoltà di utilizzare ancora il marchio noto in tutto il mondo

Così comincia un articolo apparso nell’ottobre del 1978 sul quotidiano l’Ora. Il titolo è Suicida in mare la creatrice della Fiorucci, sottotitolo «Tradita» dal figlio e dalla Montedison.

Il figlio in questione altri non è se non Elio Fiorucci, scomparso nel luglio 2015 e osannato dai media globali come grande genio nonché primo esportatore nel mondo del genio italico della moda.

Anche la Stampa di Torino si occupò della vicenda:

ESCLUSA DALL’IMPERO CHE INVENTO’

LA MADRE DEI FIORUCCI SI E’ UCCISA

L’unità della famiglia frantumata dal troppo successo nella moda

Un’ombra luttuosa – il suicidio della capostipite, Argentina Bonazzola di 69 anni – è calata di colpo sul nome prestigioso dei Fiorucci, creatori di moda. La morte improvvisa è venuta dopo la mortificazione e la durezza inappellabile delle carte bollate, di un procedimento giudiziario, dell’intervento dei carabinieri, con cui l’unità della famiglia si era frantumata e l’egemonia della madre distrutta. Adesso restano i cinque figli, le cifre da capogiro dei fatturati, l’elenco dei negozi che nei più diversi angoli del mondo avevano portato il marchio di «un modo di vestire che è anche modo di vivere»

Quando mi cadde l’occhio sull’articolo de l’Ora, pensavo: “Beh, che storia allucinante. Non ne sapevo niente, appena torno a casa cerco su Internet per saperne di più”. Con mia grande sorpresa su Google non ho trovato assolutamente nulla di tutto ciò che avevo letto; l’unica conferma all’articolo de l’Ora è un riferimento non immediato che sono andato a trovare spulciando tra i pdf dell’archivio storico de la Stampa; un’informazione irraggiungibile per chi non abbia dimestichezza con gli strumenti di ricerca storiografica. Per il resto, la storia del suicidio di Argentina Bonazzole Fiorucci su Google non esisteva. Non potevo crederci, la cosa era stata completamente insabbiata. Come è possibile che uno dei brand più famosi a livello mondiale sia riuscito a celare una simile ombra nel proprio passato? Si trattava veramente di un tremendo segreto?

Ma cosa è successo effettivamente di così grave da spingere la madre di Elio Fiorucci al suicidio?

Torniamo all’articolo de l’Ora:

«Fino a qualche anno fa – ha raccontato il legale della donna – la signora Fiorucci era al lavoro, piena di fiducia. Domani faremo un comunicato alla stampa sulla morte».  Ma la fiducia che aveva negli altri era stata tradita nel ’74, quando il figlio Elio, manager dell’azienda Fiorucci, registra il marchio in tribunale e alla camera di commercio di Milano e ne chiede l’esclusiva, la madre non lo aveva mai fatto. Per Argentina Fiorucci è un duro colpo. Ma la mossa di Elio Fiorucci, raccontano gli impiegati della ditta e l’avvocato Leale, precede di poche settimane un’operazione finanziaria: la cessione del 51% del pacchetto azionario della società alla Montedison, e in particolare alla Montefibre e, pare , anche alla Standa. E’ l’epilogo del dramma familiare di un rapporto sempre difficile con il figlio che l’Europeo dell’anno scorso definì come un manager per cui «le donne non contano come non contava sua madre».

Fiorucci Nightmare

In quegli anni Fiorucci faceva scalpore nel mercato internazionale della moda, grazie soprattutto allo store newyorchese che divenne simbolo di un’epoca e di una scena artistico-consumistica. Il negozio Fiorucci, disegnato da Ettore Sottsass era considerato il “daytime Studio 54”, dove Andy Warhol presentava le sue opere e dove potevi incontrare i giovani Keith Haring, Marc Jacobs e Madonna. Dieci anni prima, nel 1967, Elio aveva aperto a piazza San Babila uno dei primi negozi “concettuali” in Italia, dove non si vendevano abiti ma un’idea, un lifestyle, un’aura di fascino che ebbe straordinario successo fra i giovani d’America e del mondo.

Se un quotidiano di sinistra come l’Ora fin dal sottotitolo dà la colpa della tragedia alla Montedison, la Stampa di Torino vicina alla grande industria mostra in fondo di apprezzare le qualità imprenditoriali dello startupper milanese.

Elio, uno dei figli, ha un’impennata. Capisce che tira un vento nuovo, soprattutto fra i giovani. Ha voglia di fare, si tira su le maniche, Fa confezionare uno stock di calosce colorate e le porta nella redazione di un giornale femminile. 

E’ un’idea, è il momento in cui un’idea nuova del vestire e del rapporto corpo-indumento, indumento-status sociale, sta maturando. Le foto delle calosce furono pubblicate, con il nome del loro inventore. Fu l’inizio, un consenso e un incoraggiamento.

Questo è il 1968 di Elio Fiorucci. Non stupisce che, circa dieci anni dopo, i ribelli punk parlassero de L’incubo Fiorucci, il sogno degli stronzi.

Spend fifty dollars on a sweater Think it’s gonna make you look better See how tight your pants will fit What you gonna do when they start to split?

Fiorucci nightmare, asshole’s dream Spend all your money on the fashion machine Spots and stripes and spandex pants Pay a hundred dollars to learn how to dance

La canzone qui sopra venne pubblicata nel 1981 dal gruppo hardcore punk dei Teen Idles che evidentemente non condivideva la cultura pop dominante in cui il brand milanese trovò terreno fertile. Il brano venne intitolato, per l’appunto, Fiorucci Nightmare.

Elio fu abile a inventare un marchio che (grazie anche alla potenza industriale del gruppo Montedison derivante dall’emarginazione della madre) affascinò il pubblico globale. Va anche detto che il mondo degli artisti e dei wannabes di New York era molto lontano dalle origini familiari. Chi era Argentina Bonazzola Fiorucci?

“Niente di speciale”.

Apparteneva al mondo dei piccoli imprenditori lombardi, creativi e capaci di profonda modestia, saldamente legati alla logica dell’economia tradizionale e in grado di varare al momento giusto progetti ambiziosi, ricchi di rischio Nel ’33 lei e il marito avevano aperto un negozio in Corso Buenos Aires, a Milano. Vendevano pantofole e scarpe per bambini e suore. Era una specialità, la loro, rafforzata anche dalla buona qualità del prodotto. La famiglia viveva discretamente, ma niente di speciale anche perché il numero dei figli era andato con gli anni aumentando.

Così scriveva Liliana Madeo, autrice dell’articolo apparso su la Stampa domenica 8 ottobre 1978 a pagina 5, parlando di una famiglia “modesta” che “viveva discretamente”, “niente di speciale”. Tutto il contrario del mondo caleidoscopico e dorato del Fiorucci store di New York. Che Elio Fiorucci avesse quindi il cosiddetto “fiuto per gli affari” è indubbio, ma va anche ricordato che si dimostrò spregiudicato in diverse altre occasioni, venendo ad esempio condannato a un anno e mezzo di reclusione (patteggiò) negli anni ’90 per falso in bilancio e bancarotta fraudolenta nel periodo in cui era socio di Benetton e, ancora prima, quando la madre era in vita, rimanendo invischiato nel  “..sequestro di un ingente quantitativo di indumenti provenienti dalla Corea del Sud, confezionati quindi al basso costo del mercato nero del lavoro, che a Milano avrebbero assunto il marchio della fabbrica che dà tanta fiducia ai giovani”, come riportava la Stampa di Torino. Alla faccia del Made in Italy! verrebbe da dire.

Torniamo alla cronaca de l’Ora per arrivare all’atto conclusivo di una tragedia iniziata nelle aule del Tribunale di Milano e conclusasi tremendamente sul lungomare di Ostia:

La registrazione del marchio e la vendita del 51% a Montedison è anche l’avvio di un procedimento legale con cui la Montedison intende ottenere l’esclusiva del marchio. Il colosso finanziario chiede l’intervento del tribunale di Milano: i negozi romani non debbono sfruttare il nome di Fiorucci. E dopo lunghe trattative si stabilisce che il processo dovrà avvenire il 12 ottobre. Ma la Montedison non perde tempo: chiede e ottiene di vietare subito l’utilizzazione del marchio nei due negozi e l’ufficiale giudiziario arriva alla boutique di via della Farnesina. Ordina di togliere le insegne e giovedì sera si presenta anche in via Genova, il negozio preferito dalla signora Fiorucci. Già da alcuni giorni la donna ripeteva: «Ma chi sono, come mi chiamo? Perché il mio nome non è più Fiorucci?»

Conclude la Stampa:

..La mattina successiva, alle 9 come sempre, esce di casa. Non va in negozio, ma dirige la sua macchina verso Ostia. Cammina lungo il litorale. E’ una mattinata piena di sole. Verso le 11 scorgono lì vicino il suo corpo galleggiare vicino la riva. La traggono sulla battigia. E’ morta da circa un’ora.

Si tratta di una vicenda dolorosa anche solo da leggere. Un dramma pirandelliano di sottrazione dell’identità, perpetrato da un figlio nei confronti della propria madre.

Non potevo credere che tutto ciò fosse rimasto segreto per quasi quarant’anni, una storia così esemplare di come il capitalismo e il “fiuto per gli affari” possa portare alle peggiori tragedie e alla distruzione dei legami più intensi come quello tra un figlio e sua madre.

Poi ho pensato alla vera e propria santificazione cui Elio Fiorucci già in vita era andato incontro e ho capito che forse la vendita al grande capitale del nome sottratto alla madre lo aiutò a raggiungere quest’aura di magnificenza, cancellando dal curriculum il terribile suicidio materno che, come abbiamo visto, la stampa dell’epoca faceva risalire ad un vero e proprio «tradimento».

Per concludere, dopo avere appreso queste informazioni, vi propongo la lettura di alcuni brani per mostrare quale sia il livello del discorso attorno a Elio Fiorucci. Una narrazione che prima dell’articolo che avete letto, per trentasette lunghi anni, era stata depurata dalla tragica morte di Argentina Bonazzole Fiorucci. Nei resoconti apparsi dopo la morte di Elio nel Luglio 2015 si faceva riferimento solo al suo amore per il padre, la madre non veniva mai citata. Dimenticata. Una tragedia nascosta per non fare ombra al luminoso ritratto mitico di uno stilista senza scrupoli per cui “la madre non contava niente”.

E’ davvero lui? Dubbio lecito, perché uno che ha letteralmente “inventato” i jeans (mescolando la Lycra al Denim), uno che ha fatto un pezzo della Pop Art (Warhol scelse la vetrina del suo negozio newyorchese per il lancio di Interview e Keith Haring riempì di sue opere, poi battute all’asta, quello milanese), uno che ha firmato, per primo, come stilista, una linea di occhiali, insomma, un’icona del design e del costume contemporaneo, prima di incontrarlo te lo immagini all’altezza del più flaubertiano dei lieux reçus, dei luoghi comuni: garrulo, vaporoso, magari anche capriccioso. Invece, nel suo studio milanese di Porta Venezia inondato dal sole, tra pennarelli, bozzetti e post -it, cerchi un designer e trovi un filosofo: pullover blu su calzoni di velluto in tinta, gesti misurati, erre leggera. Articolo di Giovanni Orso su L’eco di Biella, 5 Marzo 2012

È scomparso Elio #Fiorucci. Un milanese vero, instancabile, sempre con la mente aperta a nuove idee. Tweet dell’account ufficiale del Comune di Milano, 20 Luglio 2015

A San Babila nasce non un «negozio qualsiasi», ma quello che si può considerare il primo concept store della Penisola e un’antenna di tendenze. E da quel momento in poi continuerà a essere sempre così, lungo i «suoi» adorati Anni 70, che nulla avevano a che spartire con la mefitica e dolorosa cappa degli anni di piombo, rispetto a cui si collocava agli antipodi. […] Pieno di vitalità e curiosità, eclettico, allergico ai benpensanti e alla politica, ma geneticamente molto peace&love, al «superfunky» Fiorucci è riuscita un’impresa rara, che Oscar Wilde gli avrebbe invidiato. Fare della propria vita un’opera d’arte (naturalmente, quella pop). Dagospia, 21 Luglio 2015

Elio Fiorucci founded the company in Italy in the 1960’s, importing the styles of swinging London from Carnaby Street. The New York branch had D.J.’s decades before turntables became routine at mall stores. It offered skintight, glittery club clothes to the masses long before the Limited and H&M.

“When I was 15, instead of going to sleep-away camp I spent the whole summer hanging out in the store,” the designer Marc Jacobs said. “I had this wide-eyed glamour about these beautiful young people that globe-trotted from club to club dressing in these fabulous clothes. It was like a living, breathing fashion show that I wanted so much to be part of.” Mr. Jacobs, who remembers dragging his grandmother to Fiorucci to buy him jeans, cites the store as an influence on his lower-priced Marc line of today. Articolo di Julia Chaplin su The New York Times del 10 Giugno 2001.

Una delle più geniali menti imprenditoriali del “Bel Paese”, da Si24.it

Geniale e di successo, quindi, ma senza mai dimenticare l’etica e i valori umani e profondi. Forse è stata proprio questa la chiave del suo successo e, forse, proprio per questo ci mancherà così tanto. Da La provincia Pavese, 10 luglio 2015

(ANSA) – LECCO, 22 LUG – Riposerà nel cimitero di San Martino Mont’Introzzo, a Sueglio, sulle montagne della provincia di Lecco, lo stilista Elio Fiorucci, morto lunedì nella sua abitazione. Dopo il funerale, oggi a Milano, la salma verrà trasferita nel piccolo comune lecchese dove nacque sua madre Argentina Bonazzola. 

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