di Cassandra Velicogna
Il 28 Giugno, mentre mezza Europa si stava riprendendo dai postumi del gay pride del giorno precedente, in Turchia, a Istanbul, il pride veniva malmenato dalla polizia. Anche i giornalisti ne hanno prese. Combattivi e abituati a lottare, i ragazzi e le ragazze dell’Istanbul Pride si sono ricompattati dopo le violente cariche per ribadire che anche in un paese musulmano e governato da un premier liberticida, essere gay non debba voler dire essere clandestino e che anzi deve proprio essere una cosa di cui andare fieri. Di questi fatti in Italia si è parlato poco, ma cerchiamo oggi di mettere una pezza a questa situazione: un pretesto per conoscere meglio i movimenti turchi che lottano per la libertà delle persone omosessuali e transessuali. Alberto Tetta è un giornalista freelance del collettivo Matchboxmedia che vive a Istanbul da tanti anni e conosce bene la comunità Glbtqi della città. Dopo aver visto le foto sul suo account twitter (@albertotetta), abbiamo deciso di intervistarlo per colmare la vistosa lacuna nel flusso di notizie dalla città turca, che negli ultimi anni è diventata un esempio per i movimenti europei.
Alberto, prima di tutto, raccontaci i fatti: in Italia si è saputo poco o niente. A te cos’è successo, in particolare?
I movimenti Lgbtqi in Turchia in questi anni, grazie alla loro determinazione, sono cresciuti nonostante gli attacchi del governo conservatore guidato dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del premier Recep Tayyip Erdogan, protagonista della politica turca da oltre 12 anni. Erdogan, esponenti dell’Akp, ma anche del Partito di azione nazionalista di ultra destra hanno più volte aggredito verbalmente gay, lesbiche e trans in Turchia alimentando un clima di odio omofobo. Gli omicidi di donne trans e gli atti di violenza contro persone Lgbtq sono una conseguenza di questo clima.
E’ stata Kemal Ordek, lavoratrice sessuale e militante trans l’ultima vittima della violenza omofoba. Kemal, a inizio luglio, è stata derubata e violentata da un gruppo di uomini che hanno fatto irruzione in casa sua, ma quando è andata dalla polizia, gli agenti hanno fermato i suoi aggressori solo per poche ore, per poi rilasciarli e hanno cercato più volte di convincerla a non denunciare gli uomini insultandola più volte
Questa situazione difficile però non ha impedito la nascita di nuovi gruppi Lgbtqi anche fuori da Istanbul, Ankara e Izmir, che con coraggio negli ultimi anni hanno organizzato pride, proteste e iniziative in molte città periferiche come Corum, Mersin, Antalya e molte altre. Qualcosa di davvero impensabile fino a pochi anni fa. Un movimento vicino alla sinistra e le rivendicazioni dei curdi, molto più radicale e “politico” se paragonato ai gruppi Lgbt mainstream europei e americani.
Una radicalità mostrata anche il 28 giugno quando la polizia ha cercato di bloccare il 13° Pride Lgbt di Istanbul attaccando senza alcun preavviso con idranti, gas lacrimogeni e proiettili di gomma le persone che stavano raggiungendo il concentramento mezz’ora prima dell’inizio della manifestazione. Il prefetto ha comunicato ai parlamentari del Partito democratico dei popoli (Hdp), una coalizione tra curdi e sinistra radicale, che la marcia [il pride] non sarebbe stata consentita, perché convocata durante il mese musulmano del Ramandan: per prevenire possibili aggressioni esterne. Una spiegazione poco verosimile visto che lo scorso anno il pride si era tenuto senza problemi nonostante il Ramadan. Il divieto è stato respinto dal comitato organizzatore del Pride che, con un comunicato online, ha chiesto ai partecipanti di non lasciare la centrale via Istiklal dove si sarebbe dovuta tenere la marcia. Un invito accolto da migliaia di persone che hanno resistito per ore alle cariche per poi riuscire a marciare su Istiklal, quando i parlamentari presenti sono riusciti a superare i cordoni di polizia.
Durante gli scontri, mentre mi trovavo in testa al corteo con i deputati e altri giornalisti, quando gli agenti hanno cominciato a spintonarmi per poi buttarmi a terra nonostante abbia più volte mostrato la mia press-card turca. Anche altri giornalisti turchi sono stati presi di mira dalla polizia che ha tentato di arrestare due colleghi che stavano seguendo le manifestazioni. Scene a cui siamo purtroppo abituati in un Paese ormai da anni al centro delle critiche di organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e la libertà d’epressione come Hurman Rights Watch e Reporters senza frontiere che sono tornate a criticare il governo turco per la “repressione a freddo” del pride di quest’anno.
Tu vivi a Istanbul da anni, ma sei italiano. Che differenze noti tra l’ingerenza cattolica in Italia e l’ingerenza musulmana nella tua città sulle questioni legate alla sessualità al giorno d’oggi?
Penso che la differenza sia poca. In Turchia come in Italia i partiti e movimenti conservatori usano la religione per condurre campagne d’odio contro le persone Lgbtqi criminalizzando le loro scelte di vita per il loro tornaconto politico, usando il pretesto della difesa della famiglia eterossessule. In Turchia più volte nel corso della campagna per le elezioni dello scorso 7 giugno, quando l’Akp ha perso la maggioranza assoluta in parlamento, Erdogan ha attaccato l’Hdp per aver candidato un attivista gay. Una campagna fallita, visto che i filo curdi hanno raddoppiato i loro consensi ottenendo il 13% dei consensi, continuando a difendere i diritti di gay, lesbiche e trans. Una differenza forse però c’è. Il principale partito d’opposizione: i socialdemocratici kemalisti del Partito repubblicano del popolo (Chp) si sono schierati in modo netto in favore del movimento Lgbtqi, sia prima che dopo l’attacco al pride, una posizione chiara che il centro sinistra in Italia fatica a prendere.
In che modo si relaziona il movimento Glbtqi di oggi a quello contro la distruzione di Gezipark di due estati fa?
I gruppi Lgbtqi e femministi in Turchia sono stati tra i protagonisti dell’occupazione del parco Gezi a Istanbul. Militanti gay, lesbiche, bisex e trans erano in prima linea per difendere Taksim dai costanti attacchi della polizia e le bandiere arcobaleno sulle barricate non sono mai mancate. In quei mesi le loro rivendicazioni si sono intrecciate con quelle di ambientalisti, partiti della sinistra, movimenti anti speculazione e la miriade di gruppi che sono scesi in piazza nell’estate 2013. Una presenza importante in netto contrasto con l’immagina stereotipata che vorrebbe donne, gay e trans come soggetti deboli e disinteressati alla politica. Quel grande momento ha anche dato forza al movimento Lgbtqi e il pride di due anni fa a Istanbul, in uno dei momenti più caldi delle proteste di quell’anno è stato tra i più partecipati di sempre. Oltre 50 mila persone che sono scese in piazza. Molti di loro erano gli stessi che ogni giorno manifestavano per difendere il parco Gezi.
Ora che il parlamento non è un monocromo dell’Akp, pensi che si percepiranno dei cambiamenti nella società civile, maggiori libertà?
Tutto dipende dal governo che nascerà ora. Se l’Akp vuole continuare a governare, deve trovare un partner di coalizione e in questi giorni il premier designato Ahmet Davutoglu ha incontrato i partiti presenti in parlamento, ma per lui la strada è in salita. Gli ultranazionalisti del Mhp hanno annunciato che non sono disponibili a sostenere l’Akp ed è difficile che Davutoglu trovi un accordo con la sinistra filo-curda. L’unica opzione che rimane in campo è l’accordo con i kemalisti del Chp, che guardano con favore al movimento Lgbt. Se le trattative andranno a buon fine e nascerà un governo Akp-Chp gli islamisti moderati di Erdogan sarebbero costretti ad ammorbidire le loro posizioni. Non credo il nuovo governo approverebbe leggi a favore delle persone Lgbtqi, ma penso la retorica del premier cambierebbe. E’ anche possibile che non si arrivi a un accordo e la Turchia torni alle urne, quindi è presto per fare previsione. Comunque posso dire che in questi anni, se la società è cambiata e gay, lesbiche, bisessuali e trans si sono conquistati maggiori spazi di libertà è stato grazie alla loro lotta più che ad aperture del governo.
Ricordo delle cariche a un corteo di donne l’8 Marzo di una decina di anni fa, si sono fatti passi avanti in questi anni, oppure i cannoni ad acqua arriverebbero ancora per contrastare un corteo femminista?
Il clima rimane teso e nostante la battuta d’arresto per Erdogan rappresentata dalle ultime elezioni politiche e il parlamento prima del voto ha approvato leggi che limitano libertà personali e diritto a manifestare. Il pacchetto sicurezza dà alla polizia ancora maggiori poteri e mano libera nella gestione della piazza. Quindi la repressione violenta di manifestazioni pacifiche rimane all’ordine del giorno. Inoltre il ruolo che le donne dovrebbero avere per gli esponenti dell’Akp è molto chiaro. Erdogan ha invitato più volte le donne a fare almeno tre figli e proprio l’8 marzo ha dichiarato durante un evento pubblico che “l’uguaglianza tra donne e uomini è impossibile”, perché hanno una “natura” differente. Parole che hanno fatto un certo scalpore. Non è difficile pensare a quale sia il ruolo “naturale” della donna nella società per l’Akp che non fa certo abbastanza per contrastare il femminicidio, se pensiamo che da gennaio più 100 donne sono state uccise. Come sempre, gli assassini erano mariti o parenti maschi.
[le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dal profilo di Alberto. Sono state scattate dall’intervistato al pride del 28 giugno a Istanbul, ringraziamo per la gentile concessione]