di Vittorio Catani
Mi dicono che “felicità” deriva dal latino “felix”, a sua volta da una radice indoeuropea che significa “allattare”. Bellissimo! Quale senso di soddisfazione e sicurezza può eguagliare quella del bimbo mentre è al seno della madre? E come avrete notato, il logo che accompagna il mio sito, come pure ogni mezzo di comunicazione che sto usando nella mia iniziativa parlamentare, è una semplice linea che traccia, in modo molto stilizzato, i personaggi di questa scena materna.
Domani si vedrà.
Domani sapremo se la mia proposta potrà diventare legge. Sono momenti di forte emozione per me. Vorrei ricordarvi che sto combattendo da mesi, e nei primi tempi le mie parole suscitarono ironie, battutine, frasi irriferibili. A dire la verità neanche mia moglie era pienamente convinta, ma al giudizio di Lea non attribuivo molta importanza, sebbene nove volte su dieci per certi argomenti abbia solitamente ragione lei. Quando gliene accennai la prima volta, commentò:
— Lorenzo, sei il solito sognatore. Vedo tanti buchi in questa proposta, ai quali non saprei rispondere. E avrai contro di te il più “nobile” establishment politico nostrano.
Me ne rendevo conto, e non volevo ammetterlo.
— Forse hai ragione, ma non posso non tentare. Che ognuno si prenda le proprie responsabilità.
Avevo incominciato con una raccolta di dati.
Non è stato affatto facile. Fondamentale la partecipazione d’un amico, Raffaele Corrente, titolare di un’agenzia che si occupa di sondaggi e statistiche. Le interviste sono state circa tremila e riguardano persone d’ogni ceto sociale. Nell’ultimo sondaggio i pareri positivi circa la mia idea toccano il 60%, quelli negativi il 30%, il resto è incertezza o disinteresse. Dovrei ben sperare, ma non è affatto così. Guarda caso, quel 60% è nella fascia sociale più povera. Ma il parlamento non appartiene alla fascia povera, e anche se qualcuno proviene da lì se n’è dimenticato.
Punto di partenza è stata una rilevazione banale: non è vero che il denaro dà la felicità. Si può scherzare come si vuole su questa frase, ma tant’è. Se qualcuno ha un aumento di ricchezza – una promozione sul lavoro, o la sua azienda fa un salto di qualità, e così via – indubbiamente costui ne sarà felice e orgoglioso, e potrà soddisfare un maggior numero di desideri, ma dopo qualche tempo, garantito, il mondo per lui tornerà più o meno come prima… anche se non sarebbe più capace di sopportare passi indietro. E dunque?
Questo fenomeno ha anche un nome: Paradosso di Easterlin. Richard Easterlin era un matematico, ed espresse il concetto con un’equazione:
F = f(I,R)
E sappiamo tutti come i periodi di “benessere” siano accompagnati dall’aumento di stati depressivi, alcolismo, criminalità, suicidi giovanili, calo della crescita culturale.
— Dottor Renardo, pensa davvero che la sua proposta sarà bene accolta? Ma da chi? Abbiamo udito voci fortemente discordanti. E non può dirci qualcosa di più preciso in merito? Lei nei confronti del cittadino è rimasto avaro di dettagli, le poche voci che filtrano sono contraddittorie. Dicono che lei vuole distruggere il capitale, punire i ricchi…
Nonostante io sia in continua tensione e lo resterò fino all’esito del voto, stamattina al giornalista che mi poneva le domande ho risposto con una risata fragorosa. Poi ho detto:
— Anzitutto la ringrazio per il “dottore”, ma sono un semplice ragioniere. Poi: chi ha raccontato queste barzellette? La mia proposta di legge, se passerà, sarà una vera rivoluzione. Scriva sul suo autorevole quotidiano che è tempo di creare un Ministero della Felicità, con relativo Ministro. La politica, così come deve saper manovrare Economia, Finanza, Diplomazia, Ecologia, Cultura, Legge, Lavoro, Ricerca, deve anzitutto saper rendere soddisfatto, “felice” il cittadino: che è colui che dà carico ai ministri di questo compito, ripagandoli con stipendi adeguati. La felicità è un diritto.
— E lei, dott… ehm, signor Renardo, vuol dire che si propone per un ministero del genere?
— Potrebbe essere. La prego di non chiedere altro, le ho detto anche troppo. Porta sfortuna. Arrivederla!
— Salve… — Si è allontanato esitando, poi è tornato indietro di corsa dicendo: — Un Ministero della Felicità… un “MinFel”! Suona bene…
Manco a dirlo: questa breve intervista è avvenuta cinque ore fa, e in Rete c’è già un articolone (molto generico e con alcune imprecisioni) dove appaio in una foto con sotto la scritta: “Mister MinFel”.
Non che Lea sia proprio contraria, ma insomma non è convinta. Mi dice:
— Se la tua idea si potesse davvero realizzare, crederei possibile la quadratura del cerchio.
— Ah, donna di scarsa fiducia. Così non si va mai avanti. E per favore non farmi agitare proprio adesso, a poche ore dal risultato.
— È appunto l’idea alla base, che mi lascia perplessa.
— E invece devi convincerti. Ci sono studi, statistiche e nottate insonni. I motivi della felicità non sono soltanto economici: questi esistono, ma sono solo il riflesso di qualcos’altro. I “gradi di benessere”…
— Cioè?
— C’è una scala, dai bisogni basilari in su fino agli affetti, all’autostima, all’autorealizzazione. Ecco, vedi: chi raggiungesse la cima di questa piramide dovrebbe essere e restare al top della felicità… Eppure questa non è una regola.
Ieri mentre ero per strada pensando a tutt’altro sono stato avvicinato da un tizio dall’aria strana che mi ha detto: — Le interessa? Una puntata per solo 1 euro… ma può arrivare fino a dieci, venti, cinquanta…
— Mi scusi, ho altro da fare.
— Un momento! Può scommettere su una cosa importante, attualissima, un attimo solo: guardi, guardi almeno di che si tratta!
Sbuffando, ho dato un’occhiata. E sono rimasto immobile: puntare sull’approvazione o meno della Legge Renardo!
— Non si meravigli — ha detto il tizio — oggi si scommette su tutto, anche sui buchi delle mie calze, non si sa come fare quattrini…
Ho tirato fuori il portafogli e gli ho dato due banconote da cinquanta: quanto avevo in tasca. — Punto dieci contro uno che sarà approvata. Sorridendo ho preso le ricevute.
— Gra… grazie mille dottor…
– Signor Renardo. Lorenzo Renardo. Felice giornata!
– Lorenzo Ren…? – È rimasto immobile a guardarmi andar via.
Lea ha scavato nei suoi libri, e poi in rete, di giorno e poi di notte, cercando di capire. Ha verificato che, specie negli ultimi decenni, l’aspetto “politico” della felicità sociale ha avuto un suo sotterraneo ma variegato sviluppo, restando peraltro nel limbo delle belle teorie non convertibili in dimostrazioni. Infatti l’intera Economia è indimostrabile, come tutte le scienze empiriche. Non solo Easterlin, anche sociologi, studiosi e fior di matematici hanno speso formule, algoritmi, schemi, ordinate e ascisse, a partire da Luigi Einaudi – che fu nostro Presidente dal 1948 al ’55 – allo psicologo-economista premio Nobel Daniel Kahnemann. Le loro interessanti teorie si limitano a confermare che oltre una certa soglia di reddito che superi lo stato di povertà, la felicità non è più collegata al denaro: Kahnemann nel 2009 segnava in 60 mila dollari annui di reddito la soglia economica del “benessere medio”, e dimostrava che, ai fini della felicità, “guadagnare troppo è perfettamente inutile”.
Ricordo due miei viaggi, vari anni orsono, nella Germania Est. La prima volta – fine anni ’70 – eravamo sposini freschi, Lea e io, giovani, entusiasti e curiosi. Lavoravo in un’industria meccanica e non pensavo affatto alla politica né tanto meno alla matematica.
Il proposito era visitare la Germania Ovest, ma una volta arrivati, fu Lea a dire:
— Visto che ci siamo, perché non dare un’occhiata anche dall’altra parte? M’incuriosisce molto.
Non ero particolarmente interessato, ma pensai che fosse un’occasione probabilmente irripetibile. Dresda, Lipsia, Magdeburgo… — Ok — convenni — muoviamoci.
Dire che la gita fu una dolorosa delusione sarebbe poco. Ci attendevamo un Paese malmesso, ma la realtà superava l’immaginazione. Miseria, noncuranza, sporcizia, facce stanche, polverose vetrine semivuote, giardini abbandonati, gente vestita con la trascuratezza di chi non ha di meglio da indossare. Città che erano state splendide, lasciate al decadimento. Palazzi e monumenti di alto valore storico segnati dalle intemperie, piazzali ancora ricoperti da cumuli di macerie della guerra. Pernottavamo in hotel “di lusso”, che per noi costavano quattro soldi, ma in cui per ore mancava l’acqua, o c’era il bagno otturato, o un vetro rotto alla finestra. Uno degli albergatori ci disse: — State attenti, gira la malavita e conviene evitare uscite notturne, specie voi turisti.
Chiesi: — Non ricevete aiuti dall’URSS?
— Sì, caro signore, ma a noi arrivano le briciole. Eppure praticamente “siamo” URSS. Il desiderio di noi tutti è quello di raggiungere il grado di benessere dell’Unione Sovietica. Stiamo lottando per questo.
Ciò mi sorprese. Il grado medio di benessere dell’Unione Sovietica non mi pareva fosse proprio il top, all’epoca.
Non dimentico che un paio di giorni fa mi è giunta una email molto preoccupante. A Lea non ho detto nulla. Spero sia lo scherzo stupido di un imbecille. È una foto del Parlamento pieno di facce imbambolate, sul lato sinistro divampa la fiammata fumosa d’una esplosione. Sotto, una scritta:
ABBASSO LA FALSA FELICITA’
Felicità è combattere fino alla morte
non è drogare il popolo bue
Felicità è premiare i nostri eroi
sterminare la marmaglia degli inetti
Chi mai può sostenere roba simile? Qualche sospetto ce l’ho. Penso a gruppi, per fortuna molto minoritari – almeno finora – che da qualche tempo fanno capolino sbandierando razzismi d’ogni genere e atmosfere guerresche e filonaziste che sfociano nel grottesco. Anche se c’è pochissimo da ridere.
Ho sporto denuncia contro ignoti.
La faccenda mi preoccupa. Poco fa ho dato un’occhiata al Web e ho trovato una serie di interventi contro di me con parolacce, insulti, bestemmie e minacce. Li ha letti anche Lea. Non so da chi questa gentaglia abbia avuto notizie sul mio progetto di legge, notizie che io non ho mai rese pubbliche e che ora vengono diffuse con plateali travisamenti e distorsioni. Dev’esserci una spia.
Tornammo nella Germania Occidentale – dopo più d’un ventennio – per motivi di lavoro, e Lea volle rivisitare l’Est. Ero più riluttante di prima, ma volli nuovamente accontentarla: — Va bene, ma davvero una puntatina veloce.
Anche stavolta convenimmo che c’era da non credere ai propri occhi, ma per ben tutt’altro.
Il vecchio e decrepito Paese satellite dell’ex URSS era scomparso, come per magia. Dresda era completamente rinata, ricostruita con palazzi identici a quelli distrutti (molti di questi, di altissimo valore storico e artistico, risalivano ai secoli scorsi). Tutto appariva ripulito, luminoso, in ordine. Le persone mostravano un aspetto sereno, c’era movimento, lavoro per tutti. Miracoli d’una coraggiosa e preveggente amministrazione politica. Pensammo che davvero qui la gente potesse dirsi “felice”. Mi venne di parlarne con il titolare del piccolo grazioso hotel in cui alloggiavamo. — Avete fatto passi da gigante — mi congratulai con lui. — Penso che qui stiate bene tutti, veramente.
— Beh… — rispose l’uomo — facciamo del nostro meglio, ma non tutto ciò che lei vede è oro. Il nostro sogno, caro signore, sarebbe raggiungere il grado di benessere della Germania Ovest.
Stanotte ho dormito malissimo, prima dell’alba ero sveglio, rimuginando in modo quasi ossessivo le parole del mio imminente intervento in Parlamento. Non dovrà essere lungo: pochissimi minuti ma essenziali. “Tra qualche ora” mi ripetevo “avrò detto ciò che resta da dire e saprò il risultato”. Parlavo con me stesso cercando di darmi risposte, specie sui punti più critici o delicati del progetto; anticipavo il dialogo con i giornalisti, che ho voluto e son riuscito ad avere presenti in aula perché sull’argomento non nascano subdoli e pilotati fraintendimenti. Poi sono crollato, se non mi avesse svegliato Lea avrei dormito fino al mezzogiorno.
Vedo che l’aula è gremita: probabilmente non per l’importanza che io attribuisco alla mia iniziativa, ma – sono pronto a scommetterci – per semplice curiosità, gossip e maldicenze. Di un Parlamento composto da circa 500 persone vedo una diecina di posti vuoti… ma no, ecco che entra ancora gente… addirittura gli agenti della Sicurezza… I pienoni mi spaventano, la folla ragiona con la pancia ed è capace di tutto.
Resto immerso nei pensieri. Un collega mi dà di gomito: — Tocca a te!
Sento una scossa elettrica. Dò un lento sguardo panoramico all’aula gremita. “Sono pronto”, mi dico.
— Signori, i miei colleghi già sanno bene di cosa stiamo trattando, quindi non mi perderò in prolissi e soporiferi tecnicismi. Dirò solo: è tempo che il nostro lavoro si aggiorni, che sposi nuove filosofie e tecnologie che propongono un volto inedito della politica e dell’economia. Credo sia la prima volta che nel mondo, almeno quello occidentale, si parli e soprattutto si voglia concretizzare qualcosa in tema del “diritto del cittadino alla felicità”. Sì, è una parola grossa, ingombrante, pretenziosa, e anche sfuggente nelle sue definizioni. Ma il nostro sarà solo un primo passo…
Spiego, vado avanti. Percepisco il silenzio assoluto nel quale la mia voce rimbomba. Il denaro, la crescita, i super-ricchi, le risposte emotive alla ricchezza e alla felicità, Kahnemann…
— …Dalle ricerche effettuate emergono alcuni risultati di base: superata una soglia minima – quella della povertà – il livello di felicità medio è indipendente da ulteriori incrementi monetari. Qual è il motivo? Non c’è un’unica risposta, ma quella che io credo più attendibile è questa: noi ci paragoniamo sempre a chi ci circonda, e pertanto troveremo sempre chi è più benestante di noi…
Proseguo. Vedo che nella sala l’attenzione perdura, ma devo concludere. È noto che trascorsi sette minuti di discorso, la gente incomincia a guardare l’orologio o il soffitto e comunque l’attenzione prende a scemare. Parlo, e anche sto pensando: la sinistra dovrebbe essere favorevole, in privato ho già ricevuto qualche commento positivo… ma il centrodestra sarà un osso duro… Forse non è l’idea in generale, che comunque è, in sostanza, una redistribuzione delle ricchezze, ma la modalità insolitamente radicale che…
— …ebbene: da studi miei e del mio team si deduce che se la mia retribuzione cresce, la “diminuzione di felicità” di chi mi circonda è circa il 30% dell’aumento della mia felicità…
Penso a Raffele Corrente, che ha trascorso nottate con le sue equazioni. Torno alle telefonate che mi faceva alle quattro del mattino per dirmi che aveva trovato la strada, e puntualmente il giorno dopo mi diceva che aveva buttato via tutto. Adesso… Ma sì, vada come deve andare. Sto offrendo una mia chiave per una vita forse un tantino migliore, e certo esistono anche fattori esterni, non solo psicologici, che contribuiscono molto alla felicità, come possono essere un ambiente ecologicamente sano e curato, o culturalmente evoluto, o intrattenere buoni rapporti con le altre nazioni e popolazioni e così via, ma occorre muoversi per gradi.
Io vado a avanti, il resto non dipende da me. Nonostante tutto mi viene da sorridere.
— …E dunque, per pareggiare le situazioni la mia proposta è la seguente: pagamento, da parte mia (cittadino), di una tassa pari appunto al 30% dell’incremento della mia felicità, in denaro da distribuire alle fasce sociali al di sotto della mia. In quel momento perderò quattrini, ma non sarò il solo; e soprattutto so che quattrini mi giungeranno da tutti coloro che a loro volta verranno a trovarsi al di sopra della mia fascia. E certamente ciascuno di noi inizierà a confrontarsi con i più benestanti in modo nuovo, diverso. Un meccanismo per cui moltissimi perdono qualcosa ma anche moltissimi guadagnano qualcosa, che non è solo denaro.
Ho terminato. Un momento che sembra un’allucinazione.
Silenzio totale. Mai accaduto, in un Parlamento. Non so se ho detto cazzate, se mi odiano, mi amano, pare che trascorrano ore ma nessuno commenta. Poi una voce annuncia che iniziano le votazioni.
L’operazione durerà sì e no un minuto. Centinaia di dita sfiorano le tastiere, sullo schermo numeri e sigle dei partiti scorrono, s’incrociano.
Dunque: in tutto i presenti sono 497… ho proprio fatto il “pieno”… Hanno votato, vedo, tutti i parlamentari di destra… del centro… La sinistra…
Lo scorrere delle cifre rallenta, si ferma… Si è bloccata su un numero.
Accidenti, la maggioranza è 249 mentre leggo 242… Gente, per me è la fine, la fine… Qualcuno là in fondo si agita e sta urlando, non si capisce perché. Vedo che si alzano gesticolando: è il gruppetto degli anarco-comunisti, raramente votano, anche se seguono attentamente tutto ciò che accade. Non si capisce cosa vogliono… Stanno parlando con il servizio di Sicurezza. Ecco, il Presidente chiede il silenzio, vuol dire qualcosa:
— Ci spiace per il grave incidente. Il gruppo anarco-comunista protesta perché le loro tastiere sono rimaste disattivate e nessuno di loro ha potuto esprimere il proprio voto. Dal controllo tecnico ora eseguito, risulta che effettivamente la loro postazione è in tilt, e che dalla stessa non è mai potuto partire alcun segnale. Pertanto in attesa di chiarimenti, il gruppo è autorizzato a votare dalle tastiere di riserva.
Una procedura mai eseguita finora. Sabotaggio? Un altro segnale?
Lo schermo si riaccende. Il gruppetto si sposta a sedere in altri banchi. Voto “sì” o voto “no”? Sia pure con 1 solo punto in più, 7 voti favorevoli basterebbero esattamente per capovolgere il…
Lampeggia: 249.
È passata! La mia proposta è approvata!
Battimani, fischi e urla, ma per dirla come la penso: ora non me ne frega un accidente. Approvata!
Sono andato a ritirare il premio della mia scommessa: 1000 euro. Dietro il bancone c’era il tipo che mi aveva venduto il biglietto per strada. Si è scusato per non avermi riconosciuto subito al primo incontro, e mi ha fatto complimenti e auguri. Dai 1000 intascati, ne ho estratto 300.
— Come ti chiami?
— Michelangelo. Perché?
— Michelangelo, questo è per te — gli ho detto. — Giusto il 30%, come dalla nuova Legge Renardo. In verità questi quattrini andranno accumulati dal governo e distribuiti a partire da certe fasce sociali in giù, ma nel nostro piccolo caso personale il mio vuol essere un atto simbolico.
Michelangelo appariva imbarazzato. Ma felice.
Ho contattato il gruppo degli anarco-comunisti per ringraziarli. Sono tutti giovani, cinque uomini e due donne. Hanno insistito con un invito in un pub da loro frequentato, nella Città Vecchia: il “Sessantotto”. Non lo conoscevo. Entrarci sembrava davvero fare un viaggio nel tempo: attrezzature, mobilio, bibite, foto alle pareti, immagini dei “Figli dei fiori”, e poi la tipica “A” cerchiata, qua e là qualche falce e martello, un mezzobusto di Bakunin, il sottofondo musicale, Bob Dylan, Beatles, foto 3D ricostruite di attivisti quali Daniel Cohn-Bendit. E poi Woodstock, “L’immaginazione al potere”… tutto in stile anni ’60.
— Non siamo nostalgici — mi dice Giacomo, uno di loro. — Vogliamo solo comunicare l’entusiasmo, la coesione, la creatività e la esplosiva voglia di agire e creativa che c’erano in quegli anni, in un momento come l’attuale, di totale abbandono di ideali fondanti.
Improvvisamente l’intero panorama della piccola sala è cambiato: era tutto artificiale, composto da proiezioni olografiche che sembravano realissime, e ora è sostituito da una serie di disegni colorati a tutta parete che mutano lentamente mentre si dipanano piccole note pungenti d’una musica aritmica e atonale.
— Bello! Amate l’antico ma vi piace il moderno — commento.
— Questo scenario è una creazione di Burt Wotor — dice una delle ragazze.
— Splendido — convengo. Conosco Burt Wotor solo di nome.
Ci sediamo. Arrivano bibite. Si comincia a scherzare e a ridere. A un certo punto ricordo di avere in tasca qualcosa.
— Leggete questo — dico, posando sul tavolo la lettera.
Passa di mano in mano. Bella, una delle due ragazze, dice:
— Non mi meraviglio. So da che parte viene. Devi stare attento, finora si sono limitati a questa robaccia, ma non c’è da fidarsi. Il problema è che ci sono infiltrazioni. Il marcio continua ad esserci proprio nel Parlamento.
— Lo sospettavo.
— Onorevole… Onorevole Renardo…
Accidenti, ancora giornalisti, anche all’ora di pranzo. Questo è della “Gazzetta del Meridione”. Mi fermo.
— Solo due minuti — gli dico — sto correndo a casa e ho un impegno urgente.
— Una sola domanda, semplice semplice.
C’è un sole da stordire oggi, da piena estate. La luce è accecante. Mi riporta inattesamente ad antiche, intense sensazioni, atmosfere che però non saprei definire, o paragonare ad altro.
— Ieri è passata la sua Legge. È operativo il suo Ministero della Felicità. Ecco, ci dica: ora… lei, si sente felice?
Strano: qualcosa mi prende per la gola. Un improvviso senso antico di smarrimento, o di solitudine, di… non so, non so descrivere. È un attimo, solo un attimo. Resto intontito.
— Ehm — dico — ragazzi, concedetemi un minimo di privacy…