di Raùl Zecca Castel
Tempi di rimpatri forzati e deportazioni di massa nella Repubblica Dominicana, uno dei paradisi turistici più ambiti dai vacanzieri europei e non solo. Vittime di questa moderna tratta politicamente corretta sono migliaia di persone di origine haitiana emigrate verso l’altra metà dell’isola di Hispaniola in cerca di lavoro, così come migliaia di uomini e donne nati in territorio dominicano da genitori haitiani.
Dopo la clamorosa sentenza emessa nel settembre 2013 dalla Corte Costituzionale dominicana – e applicata retroattivamente a partire dall’anno 1929 -, secondo la quale era da considerarsi abolito il criterio dello jus soli in riferimento all’acquisizione della nazionalità, da un giorno all’altro, oltre 200 mila persone, da sempre residenti nel Paese, sono state di fatto denazionalizzate e rese apolidi, con tutte le conseguenze del caso: impossibilità di accedere all’istruzione, ai servizi sanitari, al mondo del lavoro, in sintesi, alla vita civile del Paese.
L’allarmata reazione della comunità internazionale, che si espresse immediatamente con forti critiche nei confronti di tale scandalo giuridico privo di precedenti e unanimemente considerato come altamente discriminatorio su base razzista, portò il governo dominicano ad attivare un Piano Nazionale di Regolarizzazione degli Stranieri (PNRE) che prevedesse la possibilità di normalizzare la situazione di irregolarità in cui erano improvvisamente piombate migliaia di vite.
Per accedere a tale Piano, tuttavia, veniva richiesta una serie di documenti, quali ad esempio il certificato di nascita, la carta di identità, il passaporto ed altri ancora, che ai più risultava impossibile da procurarsi. La maggior parte dei cittadini interessati dalla sentenza, infatti, è nata da genitori haitiani che poterono oltrepassare la frontiera regolarmente ma senza alcun tipo di documento grazie ad accordi bilaterali che i governi dittatoriali di entrambi i Paesi rinnovarono ciclicamente per oltre trent’anni, dal 1952 al 1986.
Per primo era stato Rafael Leonidas Trujillo, sopranominato la tigre dei Caraibi, a reclutare manodopera haitiana acquistandola direttamente dal presidente Paul Eugene Magloire. Era il secondo periodo d’oro della canna da zucchero dopo i fasti di fine ‘700, quando la Hispaniola passò alla Storia come la colonia più redditizia del mondo, la perla delle Antille, e la Repubblica Dominicana aveva disperatamente bisogno di forza lavoro, meglio se a basso costo come quella che Haiti poteva procurare in grande quantità.
La fuga dell’ex dittatore haitiano Jean-Claude Duvalier nel 1986 e il declino dell’industria zuccherificia negli anni ’90 non bastarono per mettere fine ai flussi migratori che ogni anno, da allora, investono la Repubblica Dominicana. Così, ora che nei campi le macchine stanno via via sostituendo le braccia, il Paese ha scoperto migliaia di indesiderati, scarti umani da rispedire al mittente.
Mercoledì 17 giugno 2015 è definitivamente scaduto il termine ultimo per la presentazione della domanda di regolarizzazione e i primi dati forniti dal Ministero degli Interni sono a dir poco allarmanti. Gli iscritti al Piano sarebbero stati circa 280 mila (su un totale di 534 mila stranieri, di cui l’87% haitiani) e di questi solo il 2% avrebbe ottenuto l’approvazione, vale a dire non più di seimila persone.
Ora, al Piano Nazionale di Regolarizzazione degli Stranieri è prontamente succeduto un altro piano, con lo stesso acronimo, ma di verso diametralmente opposto: il Piano Nazionale di Rimpatrio degli Stranieri. Polizia e militari si apprestano dunque a cominciare quella che l’opinione pubblica mondiale ha già definito come una nuova operazione di pulizia etnica, finalizzata alla deportazione di migliaia di irregolari oltre la linea di frontiera che separa due popoli da sempre ostili.
Se da un lato nella memoria della Repubblica Dominicana è ancora vivo il ricordo traumatico dell’invasione militare subita nel 1822 per mano dell’esercito haitiano, che unificò l’isola fino al 1844, sottomettendola al volere del presidente Jean Pierre Boyer, dall’altro Haiti non dimentica il massacro del prezzemolo, quando nel 1937, in soli pochi giorni, circa 20 mila haitiani vennero trucidati per ordine del dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo proprio lungo la linea di frontiera, in un progetto eugenetico di sbiancamento della razza che pretendeva di ripulire il Paese dagli immigrati: un progetto folle, eppure mai del tutto accantonato. Di nuovo, dunque, tempi di rimpatri forzati e deportazioni di massa nella Repubblica Dominicana.
(Foto di Raùl Zecca Castel, frontiera tra Dajabon e Wanamenthe)