di Simone Scaffidi L.
Afonso Schmidt, Colonia Cecilia. Una comune di giovani anarchici italiani nel Brasile di fine Ottocento, Edizioni dell’Asino, 2015, pp. 162, € 12.00
Le storie si sa, passano di bocca in bocca: alcune si perdono, altre vanno a costituire la cosiddetta Storia Ufficiale e altre ancora restano in un magnifico limbo tra leggenda e realtà, terreno fertile per evasioni letterarie di ogni sorta. È quest’ultimo il caso dell’avventura narrata da Afonso Schmidt, che ha per protagonisti un gruppo di anarchici e anarchiche italiane, i quali e le quali, spronati dall’agronomo pisano Giovanni Rossi, decidono di emigrare nelle regioni del Paraná, in Brasile, per creare, tra il 1890 e il 1894, una comune libertaria fondata sulla parità di genere, l’abolizione della proprietà privata e il libero amore. Comunità che arrivò ad accogliere fino a duecentocinquanta persone.
Lo scopo di Schmidt, giornalista e militante anarchico, è mantenere viva la memoria di quest’esperienza migrante e rivoluzionaria attraverso un racconto che, a causa della difficoltà di reperimento della documentazione, prende la forma dichiarata del romanzo – Colonia Cecilia è dunque un’opera d’invenzione ispirata al reale e un tentativo sincero di raccontare l’utopia che diventa pratica quotidiana. L’obiettivo è raggiunto, ma se è vero che il ricordo della Cecilia rimarrà vivo nel tempo grazie al lavoro di Schmidt, è altresì vero che l’opera si spingerà, negli anni a venire, oltre le stesse intenzioni dell’autore, contribuendo di fatto a consolidare la confusione tra realtà e leggenda che vige tutt’oggi intorno a questo esperimento libertario.
Tra le informazioni storiograficamente mai accertate che Schmidt recuperò sulla Colonia Cecilia e che segnano dal principio alla fine questo romanzo, una è eclatante e letteralmente fondativa. L’autore brasiliano inizia infatti il suo racconto narrando l’incontro tra Giovanni Rossi detto Cardias e l’Imperatore del Brasile Don Pedro II, la cui figura viene descritta con entusiasmo e ammirazione. Secondo Schmidt l’anarchico toscano e il monarca, incrociatisi a Milano, avrebbero discusso la volontà di Cardias di fondare una comune socialista in Brasile. L’Imperatore mecenate Don Pedro II non solo avrebbe concesso il suo beneplacito a Cardias, ma gli avrebbe offerto anche a titolo gratuito le terre su cui fondare la Colonia.
È da queste premesse che si sviluppa la storia: i pionieri s’imbarcano nel porto di Genova il 20 febbraio 1890 – data accertata dagli archivi e riportata correttamente da Schmidt –, approdano alle coste brasiliane e raggiungono le campagne di Palmeira, paese non lontano da Curitiba, a capitale della regione. Intorno a Palmeira – ci informa l’autore – esistono già esperimenti di colonie improntate all’autogestione delle terre e al comunitarismo, tra cui spicca «l’istituzione rurale denominata “mir”», introdotta in Brasile da migranti russo tedeschi. I confronti tra la Colonia Cecilia e il “mir” ritornano frequenti nel testo, tanto che il Delegato di Pubblica Sicurezza della città di Palmeira a colloquio con Cardias lo ammonirà con queste parole: «Perché non cercate di fare come i russo-tedeschi, quelli del “mir”? Quella gente nei confronti del governo è sempre a posto».
La parte più interessante del romanzo affonda però le sue radici in uno dei temi più cari e dibattuti dall’anarchico Giovanni Rossi: l’Amore. Rielaborando il testo scritto da Rossi intorno al 1893 e intitolato Un episodio d’amore alla colonia Cecilia, Schmidt mette in scena un vero e proprio processo senza leggi all’interno della comunità, che ha per protagonisti Cardias (Giovanni Rossi) e la coppia formata da Elena e Annibale. I tre incarnano appieno le contraddizioni che attraversano la Colonia, tesa tra la volontà di creare una società nuova di liberi ed eguali e i retaggi di una cultura patriarcale fondata sulla proprietà privata, anche degli affetti. Quando Elena capirà di essere innamorata sia di Cardias che di Annibale i due uomini non potranno fare altro che prendere atto della sua volontà ma di fatto non riusciranno a condividere e metabolizzare come vorrebbero quest’esperienza. La comunità capisce così di non poter fare tabula rasa da un giorno all’altro della propria millenaria cultura e prende consapevolezza che la lotta deve essere quotidiana: contro il sistema di dominio capitalista, contro la colonizzazione del proprio immaginario e soprattutto sul terreno delle proprie contraddizioni individuali.
Il libro di Schmidt uscì in Brasile nel 1942 ed è apparso in italiano per la prima volta nel 1958. Alle Edizioni dell’Asino si dà oggi il merito della riproposizione di quest’opera, che – al di là del suo valore storiografico – contribuisce a stimolare la memoria di un affascinante esperimento migrante e rivoluzionario come la Colonia Cecilia. Una nota storica al testo avrebbe probabilmente dato un valore aggiunto alla pubblicazione; ma forse questa interessante ciurma di Asini è voluta restare di buon grado nel campo della letteratura, consapevole dell’importanza delle storie con la s minuscola, micce incandescenti capaci di innescare curiosità e approfondimenti personali.
[Per approfondimenti sull’esperienza della Colonia Cecilia e il tramandarsi della sua storia si consiglia anche la lettura dei lavori di ricerca di Isabelle Felici. Qui un assaggio].