di Rinaldo Capra
Dalla pagina Facebook di Viviana Beccalosi, “notorio” assessore della giunta Maroni in quota Fratelli d’Italia, leggo: “Vigilia dell’anniversario della strage di Piazza della Loggia: ecco la “pacificazione” tanto cara alla sinistra: nella notte trafugata la lapide che ricorda Sergio Ramelli in Contrada Sant’Urbano,…. A Brescia continuano a esserci morti di serie A e di serie B. Vergogna!”
Le sparate della Beccalossi ci ricordano i conflitti concreti della memoria incapsulati nelle lapidi, come se la celebrazione dell’indelebile scritta nel marmo, rappresentasse un’irrequieta memoria del confronto irrisolto tra principi opposti. Una conversazione sociale sull’Italia post-fascista e post-strategia della tensione, che apre una negoziazione tra le parti nella ricerca di una normalizzazione ideologica, ancor prima che emotiva.
Gli scontri sulle lapidi sorgono quando gli eventi che trattano sono ancora vicini e dividono profondamente. L’uso strumentale della memoria attraverso la lapide mira a un’indeterminatezza del sapere collettivo, per legarlo al racconto della lapide stessa e rendere la storia e i valori che l’hanno determinata un ricordo residuale, indifferenziato, alieno e confuso.
Lo stato, attraverso i suoi istituti, gestisce la memoria collettiva per normalizzare e mistificare la storia di strategia della tensione, conflitti di classe, terrorismo di stato e mitigare la tensione agli scontri sociali e ideali, sempre brucianti, che pervadono la società. La memoria condivisa, l’imposizione della compassione per le vittime, sempre e comunque, senza nessun distinguo, unisce tutti in un unico grumo d’incoscienza e in nome della non violenza, della conciliazione e del perdono per il bene comune ci rende plasmabili e reclutabili per tutte le lotte del capitale con violenza inaudita. La dissoluzione dei contenuti della storia ci sottrae non solo coscienza, ma libero arbitrio.
La rimozione della formella che commemora Ramelli è emblematica; il lavoro di alcuni storici (più storia e meno memoria?) vuole, ma non ha ancora potuto, archiviare e conciliare le cronache animate da fronti opposti, che si stanno fronteggiando in una partita tuttora in corso, con un neo-revisionismo del fascismo, in qualsiasi forma si sia manifestato.
In quest’ottica è esemplare il progetto di Casa della Memoria, Rotary Club, Comune di Brescia, Gruppo Locale Bu e Bei per il “ Percorso della Memoria”, sancito con Delibera Comunale n° 230 2012 e con l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica (è già eloquente la composizione dei promotori). Esso prevede la posa di formelle commemorative di tutte le vittime della violenza politica dal 1962 a oggi, in forma indifferenziata e arbitraria, ordinate in fuorviante ordine cronologico. Il percorso si snoda da Piazza della Loggia, esattamente dalla Stele che ricorda la bomba, verso la salita al Castello, via Sant’Urbano.
Ecco le finalità, testualmente: “Si ritiene che una collettività, desiderosa di giudicare serenamente una parentesi tragica della propria storia, debba avere il coraggio di ammettere e di ricordare il dolore pagato quale prezzo per sconfiggere la violenza di quegli anni. Questa testimonianza vuole raccogliere in un’unica espressione ciò che è affidato all’episodica rievocazione in manifestazioni deputate.”
Bene: raccogliere il tutto in “un’unica espressione” avvicinando, nelle lapidi poste con tanta pompa, vittime e carnefici in nome di una stagione di tolleranza e “serenità” è la manipolazione delle coscienze, assolvendo e riabilitando, senza che ci sia stata nessuna espiazione, i fascisti di ieri e di oggi e i loro folli ideali. Vedere in un tratto di quattro metri le formelle di Pinelli, di Serantini e più in alto di Calabresi è simbolicamente il rinnovato controllo di polizia su quei compagni, è disinnescare ogni possibile consapevolezza e mistificare la storia, oltre che fare un torto a Pinelli e Serantini. Ironia inconsapevole della cronologia esasperata.
E ancora, se la Delibera del 2012, con il Patrocinio del presidente della Repubblica e della Casa della Memoria, celebra le vittime della violenza politica e Pinelli è morto in questura mentre era affidato a Calabresi, di quale violenza politica è vittima? Calabresi quale violenta parte politica rappresentava, prima di esserne a sua volta vittima? Chi ha scelto, con tanta sensibilità, di metterli vicini evidenzia la volontà di portare avanti il processo tanto caro ai vari La Russa, Beccalossi e assessori della giunta Paroli, con il placet di parte della cosiddetta sinistra, di mettere repubblichini e partigiani, terroristi fascisti e immigrati o sindacalisti tutti sullo stesso piano.
La violenza è sempre inaccettabile, indegna e chi ne è vittima va subito santificato, salvo che sia un immigrato morto in cella nella caserma dei Carabinieri di Piazza Tebaldo Brusati, il 12 Dicembre (bel caso di sincronicità) 2010, in circostanze diciamo oscure, o qualche altro miserabile, che non sarà mai ricordato con una formella sulla salita di via Sant’Urbano.
Per altro ci sarà sempre qualche intellettuale di sinistra pronto a inerpicarsi in ardite teorizzazioni per creare il consenso revisionista; ecco che alla commemorazione del 28 Maggio s’imbarca anche lo storico (ex Lotta Continua) Giovanni de Luna, il quale sostiene la necessità di un nuovo sguardo verso le vittime delle stragi, verso la resistenza e che la strategia della tensione ha perso. Auspica un nuovo patto di cittadinanza per riavvicinare la classe politica all’opinione pubblica per dare spessore alla memoria, che altrimenti rimane sospesa. Paragona Piazza Loggia a Charlie Hebdo: un’apoteosi alla presenza dell’Ambasciatore francese.
Forse sfugge qualcosa: non è la memoria collettiva a essere sospesa, ma è la sua revisione continua che la desertifica. Lo stato non solo ha il monopolio dell’uso della violenza, ma della violenza ha anche il monopolio della gestione della sua memoria e celebrazione, piegandone tratti e contenuti secondo la convenienza politica del momento, e in un’ineguaglianza abissale di rapporti di forza, ci obbliga a guardare la nostra storia con una lente deformante fino a perderne per sempre la cognizione.
Enigmatica, in tal senso, l’adesione di Manlio Milani e della Casa della Memoria al progetto. Quarant’anni passati a elaborare lutti personali e lottare per ottenere una giustizia borghese negata, avrebbero fiaccato chiunque. La perdita, il dolore, la frustrazione è il muro invalicabile con il quale si va a cozzare, noi pensiamo solleciti lo spirito di rivolta, ma l’oppressione, l’umiliazione inesorabile e invincibile, alla lunga genera sottomissione, pietà logora e indeterminata, rabbia esausta e addomesticata. Il ruolo ieratico di infaticabile custode della memoria e della verità, usura e compensa squilibri emotivi, assorbe tutto, ma ha inevitabilmente una funzione politica.
I riti e i protocolli delle istituzioni rapiscono la ragione alla lunga e generano un ruolo pubblico, autoreferenziale, lunare a volte, che crede di incarnare tutte le istanze relative alla storia e alla violenza politica, ma finisce per essere strumento di quel potere che ha creato la strategia della tensione.
Si vede la liturgia e non la fede.
Poi tutti con i capi in testa, Sindaco, Casa della Memoria, Ambasciatore Francese e notabili vari, via di corsa a riposizionare la formella del fascista Ramelli e posare l’ultima, quella per Charlie Hebdo.
Per concludere un proverbio polacco di rara efficacia, citato in uno Spaghetti Western di Sergio Corbucci1 : “Ci stanno facendo spingere un secchio pieno di merda con un bastone troppo corto per non sentirne l’odore”.
Il mercenario, 1969 ↩