di Alberto Prunetti
Wu Ming, Cantalamappa, Milano, ElectaKids, 2015, pp. 125, € 14,90
Bellissimo. I Wu Ming riescono a tradurre il loro immaginario per riproporlo ai lettori di nove anni. Due fricchettoni in perpetuo movimento aprono il loro quadernone di viaggi pieno di mappe. Chi ha letto Q troverà nella storia di Margherita e Dolcino la sua riproposizione per bambini. Chi ama Stevenson scoprirà il segreto de L’isola del tesoro. E chi pratica l’alpinismo molotov potrà raccontare ai propri figli la scalata di Point Lenana. E poi c’è, stupenda, la storia del cinema nel deserto e delle opere inutili che ci ricordano la Tav nella loro insensatezza. E se infine volete parlare ai bambini di mitologia nordica o di ecologia, avete sottomano l’atlante che vi serve. Quanto ai biechi neri, sappiate che in questo libro c’è una delle migliori spiegazioni del fascismo per le giovani generazioni. E intanto, lassù, sulla nuvola dei narratori dell’infanzia ribelle, Gianni Rodari approva e saluta a pugno chiuso.
Lello Saracino, Il tenore partigiano, Roma, Alegre, pp. 206, € 15
La collana di oggetti narrativi ibridi di Alegre si arricchisce di un terzo titolo. Un saggio che è un romanzo storico che è una biografia del tenore comunista Nicola Stame, con il plot che si intreccia tra Foggia e Roma. Notevole è la leggerezza con cui l’autore sbroglia un filo storico in digressioni che lo portano ora all’hotel de los inmigrantes, che si trova nei pressi di uno dei porti di Buenos Aires; ora a Bariloche, dove il vecchio Priebke ha ancora i suoi fedeli estimatori; ora in Etiopia, dove gli italiani brava gente hanno dimenticato di aver sganciato un po’ di bombe all’iprite. Tutto questo con grande capacità dell’autore di alternare il primo piano (la vicenda di Stame) con lo sfondo (i grandi eventi storici). Un libro che ci fa scoprire il bel canto di Nicola Stame, interrotto da una pallottola alla tempia degli assassini nazifascisti. (Di questo libro Carmilla si occuperà di nuovo in maniera più estesa a breve).
José Revueltas, Le scimmie, Roma, Sur, pp. 59, € 7, traduzione di Alessandra Riccio
Se non è questo un romanzo lumpen… scritto in carcere dall’autore che per tutta la vita è stato un personaggio conflittuale, in rivolta, come il suo nome imponeva. José Revueltas, ribelle anche alla disciplina del partito comunista a cui apparteneva, nella letteratura messicana è una cometa, una stella solitaria da seguire. Il suo racconto è una storia carceraria cruda, scritta senza rimandi di capoverso, che parla di eroina e di abiezioni, di corpi umani che si fanno ricettori di una comunicazione tra il dritto e il rovescio dell’universo carcerario, in un mondo chiuso in cui non c’è alternativa alla reclusione. Non importa se sei detenuto o scimmia, ovvero carceriere.
Daniele Pepino, Nell’occhio del ciclone. La resistenza curda tra guerra e rivoluzione, Valle di Susa, Tabor, pp. 31, € 2
Una rivoluzione autogestionaria in corso; una resistenza popolare, organizzata dal basso, contro un nuovo volto del fascismo, quello dell’Isis. Quello che colpisce è come un gruppo marxista-leninista curdo, il PKK, si sia trasformato in un movimento diffuso che pratica una forma di federalismo libertario, che presta particolare attenzione alle dinamiche ecologistiche e al ruolo di primo piano, anche sul fronte della guerriglia, delle donne. Tutto questo in un contesto socialmente complesso e catastrofico. La zona libera del Rojava ci ricorda insomma che la rivoluzione prende di sorpresa tutti, finanche i rivoluzionari.
Loredana Lipperini, Quel trenino a molla che si chiama cuore, Bari, Laterza, pp. 166, € 12
E’ un libro molto diverso dai precedenti di Lipperini. Stavolta l’autrice si proietta dentro al testo e lo fa con una maestria di stile spericolata. Il risultato è funambolico. Una derive psicogeografica da un angolo a un altro del paesaggio marchigiano e del paesaggio interiore, dai ricordi d’infanzia fino alla devastazione del terremoto e dei cantieri stradali. Questo è anche un ibrido, un oggetto narrativo che alterna piani e generi espositivi, mescolando il memoriale e la geografia, il racconto di finzione e l’invettiva, il romanzo e il reportage. Con una riflessione potente, dolorosa e necessaria sul tema della morte, del doppio e dell’eteronimia (Loredana è stata anche Lara Manni per un certo periodo, come Pessoa è stato Bernardo Soares e tanti altri ancora). Chapeau.
Wolf Bukowski, La danza delle mozzarelle, Roma, Alegre, 2015, pp. 158, € 14
Ben scavato, vecchia talpa! Wolf conduce un’inchiesta con una lucidità analitica che non si vedeva da tempo (eguagliato solo dal saggio dei Clash City Workers, Dove sono i nostri?). Oggetto: la retorica e la pratica capitalista del cibo feticizzato, una nicchia di mercato per ricchi che contribuisce alla devastazione culinaria e agricola del nostro paese, nell’epoca della riproduzione meccanica dei sapori. Ce n’è per tutti: Slow Food, Eataly, cooperative rosse, circuiti distributivi di presunta alta qualità che si rovesciano in caporalato, facchinaggio a turni massacranti, nuovo elitismo dei consumi. Alla fine chi mangia davvero è sempre il Capitale, che sussume ogni alternativa per poi disporla in fila sui banchi dei supermercati.
Andrea Staid, I senza stato, Bologna, Bébert edizioni, 2015, pp. 107, € 10
Ottimo strumento di cui si sentiva il bisogno. L’autore compie una prima sintesi, una rassegna della letteratura etnografica sulle società di raccoglitori e cacciatori. Si tratta di un corpus che ha sorretto alcune tesi di antropologia radicale, dall’antropologia statunitense degli anni Settanta fino alle tesi primitiviste di John Zerzan, sviluppatesi a partire dagli anni Ottanta. Purtroppo gran parte di quel materiale è ancora non tradotto in italiano. Questo libro colma una lacuna su un dibattito antropologico che è ancora rilevante oltreoceano e che non è stato ancora recepito nelle aule italiane.
Julio Cortázar, Correzione di bozze in Alta Provenza, Roma, Sur, pp. 57, € 7, traduzione di Giulia Zavagna
Un libro affascinante che ci mostra il dietro le quinte della scrittura di Cortázar in un periodo in cui lo scrittore argentino stava per chiudere uno dei suoi libri più “politici”. Dopo il successo di Rayuela, Cortázar si infila in una sorta di magic bus nelle campagne dell’Alta Provenza e si lancia in una deriva che unisce senza soluzione di continuità il suo statuto di argentino in esilio e la tensione ambivalente e problematica tra narrativa, politica e finzione pura.
Roberto Arlt, I lanciafiamme, Roma, Sur, pp. 375, € 15, traduzione di Luigi Pellisari,
La riscoperta editoriale di Arlt ha permesso di accedere in traduzione a opere minori, come i suoi reportage di viaggio in Patagonia. A maggior ragione celebriamo la riproposizione di uno dei suoi capolavori, la seconda parte del romanzo iniziato con I sette pazzi. Un dittico dedicato al tema di una inquietante rivoluzione che mescola odio per il mondo piccolo borghese, crudeltà, violenza, gruppi estremisti segreti, culto dei bassifondi e dei postriboli e alchimie magiche. Viene da chiedersi se l’autore non abbia prefigurato i rovesci continui di un potere golpista, che ha esercitato negli anni un influenza nefasta e controrivoluzionaria sul paese australe, da metà anni Cinquanta fino al 1983.