di Martina Oliviero*
Sabato 25 aprile Città del Guatemala è stata scenario di un evento tutt’altro che ordinario per la vita di questo paese. Ha, infatti, avuto luogo una delle manifestazioni più partecipate degli ultimi decenni, una marcia pacifica che non si è voluta identificare con nessun partito né colore politico e che è riuscita a bloccare il centro della città per l’intero fine settimana. Le proteste sono infatti proseguite anche il giorno seguente, lasciando in molti la sensazione e la speranza d’esser state solo le prime di una lunga serie. Nonostante l’ingente dispiego di forze di polizia disposto dal Governo e l’abitudine di queste ultime a non farsi troppi problemi a ricorrere alla violenza, non vi sono stati scontri fisici, anche se è stato comunque imposto per diverse ore il blocco di qualunque segnale telefonico in tutta l’area della manifestazione e sono state installate telecamere che hanno, illegalmente, ripreso ogni particolare della marcia.
Il movimento civile che ha indetto queste giornate di contestazione, conosciuto sui social netwok come #RenunciaYa, ha come principale obiettivo le dimissioni del Presidente della Repubblica, il generale in pensione Otto Pérez Molina, e della Vicepresidentessa, Ingrid Roxana Baldetti Elías, entrambi membri del Partido Patriota (PP), il partito conservatore al potere dal 2012. Ciò è stato puntualizzato attraverso il comunicato pubblicato il 20 aprile scorso sulla pagina Facebook dello stesso movimento, sottolineando particolarmente il totale non coinvolgimento di qualunque partito politico in tutto ciò che riguarda l’organizzazione delle proteste e le richieste avanzate.
Hanno partecipato all’incirca ventimila persone, a cui si sono aggiunti tremila studenti dell’Università San Carlos, l’università pubblica più grande del paese. Atti di protesta di questa portata non sono frequenti in Guatemala. La guerra civile che ha dilaniato il paese dal 1960 al 1996 ha inevitabilmente intaccato la voglia e la capacità di organizzazione della società civile e tutt’ora omertà e sfiducia sono sentimenti prevalenti tra la popolazione indigena, senza contare la durissima repressione a cui sono sempre stati sottoposti manifestanti e dissidenti. Durante i trentasei anni di conflitto il governo guatemalteco, guidato dai militari, ha perpetrato un vero e proprio genocidio nei confronti delle popolazioni maya provocando circa 250.000 morti ed oltre 40.000 desaparecidos, “giustificando” questa persecuzione con la volontà di annientare la guerriglia che combatteva contro il regime.
Le richieste avanzate dal movimento in questione sono diretta conseguenza del cosiddetto scandalo de “la Linea”, scoppiato il 16 aprile scorso e che sta facendo tremare le alte sfere del governo guatemalteco. A seguito di un’indagine durata all’incirca otto mesi portata avanti dalla Commissione Internazionale Contro l’Impunità in Guatemala (CICIG), in collaborazione con il Pubblico Ministero e la Polizia Civile Nazionale, il 16 aprile sono state arrestate venti persone, appartenenti alla classe dirigente guatemalteca, con l’accusa di frode fiscale, contrabbando doganale ed associazione illecita con fine di contrabbando.
La CICIG è un organo internazionale indipendente nato a seguito dell’accordo stipulato il 12 dicembre 2006 tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite ed il Governo guatemalteco, all’epoca guidato da Óscar Berger a capo della Gran Alianza Nacional (GANA), ovvero la coalizione di cui facevano parte il PP, il Movimento Reformador (MR) ed il Partido de Solidaridad Nacional (PSN). L’accordo venne poi ratificato dal Congresso della Repubblica il 1 agosto 2007. Attraverso l’azione congiunta con istituzioni guatemalteche, quali il Pubblico Ministero e la Polizia Civile Nazionale, la Commissione nasce con lo scopo di combattere i CIACS (Cuerpos Ilegales y Aparatos Clandestinos de Seguridad).
In Guatemala esiste infatti una fitta e ben organizzata rete di cosiddetti poderes ocultos, retaggio della recente guerra civile. Con questo termine si fa riferimento ad una struttura informale di individui che ricoprono o ricoprivano posizioni di potere entro le strutture politche e/o economiche del paese e che utilizzano la loro posizione e la propria relazione con il settore pubblico per arricchirsi illegalmente e proteggersi di fronte alla persecuzione legale dei crimini commessi.[1]
Elemento portante di questa rete sono appunto i CIACS. Nati durante il conflitto e composti da membri dell’esercito e dell’intelligence guatemalteca, erano parte del sofisticato apparato di servizi segreti di cui i governi militari fecero largo uso durante gli anni dello sterminio e delle persecuzioni. Il sistema d’intelligence da cui si sono originati i CIACS era denominato Estado Mayor Presidencial (EMP) e venne istituito negli anni ’70 con il pretesto di proteggere il presidente e la sua famiglia, ma ben presto si convertì in una struttura dedita al controllo dell’opposizione e alla repressione. L’attuale Presidente della Repubblica, Otto Peréz Molina, era membro di questa oscura organizzazione e, in diversi momenti, arrivò a ricoprire ruoli di comando al suo interno.
Al termine della guerra civile questi controversi gruppi non vennero smantellati, anzi si convertirono in vere e proprie imprese criminali organizzate dedite al narcotraffico, al contrabbando, alla vendita di passaporti falsi e al traffico di esseri umani. I più influenti e conosciuti, assieme all’EMP, sono La Cofradía, El Sindicato, Las Patrullas de Autodefensa Civil e Red Moreno. Fanno parte di questi nuclei delittuosi militari in pensione ed ex funzionari del governo, membri delle forze speciali ma anche funzionari tutt’ora attivi, civili e militari, che operano entro le strutture statali. La collusione tra questi e l’esercito, così come con le alte sfere governative, è evidente e spesso risulta difficile distinguere i confini tra l’una e l’altra organizzazione.[2]
Nel 2006 nacque quindi la CICIG con l’obiettivo di investigare riguardo questi gruppi, operare per smantellarli incentivando le indagini a loro carico, incoraggiare la persecuzione penale ed il castigo dei suoi membri e prevenirne la crescita e l’affermazione sostenendo eventuali riforme giuridiche ed istituzionali. La Commissione ha l’obbligo di operare attenendosi alle leggi guatemalteche, utilizzando il procedimento penale previsto dalla Repubblica del Guatemala.[3]
Inizialmente la CICIG entrò in funzione per la durata di due anni ma le tre proroghe, richieste dal Governo ed approvate dal Segretario dell’ONU Ban Ki-Moon nel 2009, 2011 e 2013, ne hanno prolungato l’esistenza e l’operato sino ad ora. In questi sette anni i casi seguiti dalla Commissione sono stati molti ed hanno prodotto arresti e scandali che hanno coinvolto le più alte cariche pubbliche accusate di crimini orrendi quali la partecipazione in esecuzioni extragiudiziali, il traffico di essere umani, frodi d’ogni genere, corruzione e riciclaggio. Nel 2010 il Caso Portillo portò addirittura all’arresto dell’ex-presidente Alfonso Portillo e all’estradizione di quest’ultimo verso gli Stati Uniti, con lo scopo di sottoporre quest’ultimo a giudizio per il crimine di riciclaggio di denaro.
La Linea: SAT e uffici doganali organizzano la frode fiscale
Proprio durante il mese di aprile 2015 il Governo guatemalteco discuteva riguardo un ulteriore rinnovo dell’accordo firmato nel 2006 e quindi la possibilità di richiedere un’estensione della presenza della CICIG nel paese sino al 2017. Ma il 16 aprile, dopo quasi un anno di indagini, la CICIG annuncia un processo in atto per evasione fiscale ed evasione delle imposte doganali nei confronti di ventidue persone. Il giorno stesso venti di queste vengono arrestate dalla Polizia Civile Nazionale e La Commissione rende pubblico il cosiddetto caso de “la Linea”. Si tratta dell’inchiesta che ha come oggetto l’intricata rete che sta alla base di una colossale truffa fiscale in cui sono coinvolti i più alti esponenti della Superintendencia de Administración Tributaria (SAT), tra cui lo stesso sovrintendente Alváro Omar Franco Chacón, alti funzionari della dogana ed il cui capo viene individuato nel segretario personale della Vicepresidentessa, Juan Carlos Monzón Rojas.
Viene quindi evidenziata l’esistenza di una struttura che nasce all’interno della SAT e coinvolge le sette dogane più trafficate del paese con lo scopo di appropriarsi delle imposte doganali applicate sui prodotti importati. L’organizzazione offriva infatti la possibilità agli importatori di pagare somme irrisorie al posto delle suddette tasse in cambio di una tangente, con la garanzia che questi avrebbero comunque passato i controlli doganali. Grazie ad affiliati all’interno del personale di dogana, era possibile dichiarare il falso riguardo la merce in entrata, aggirare i controlli e pagare imposte ben più basse di quanto previsto dalla legge per quegli stessi prodotti.[4]
Al momento dello scoppio dello scandalo la Vicepresidentessa Baldetti ed il suo segretario Monzón si trovavano all’estero, precisamente in Corea del Sud, dove la signora Baldetti era stata invitata a ricevere una laurea honoris causa. I due lasciarono Città del Guatemala il 13 aprile. Nonostante la notizia sia stata resa pubblica il 16, la Baldetti si è presentata in conferenza stampa solamente il 19 aprile, senza acclarare se il suo volo di rientro sia decollato da Seul il 17 o il 18. Infatti le informazioni fornite dalla stessa e dal vicedirettore dell’Aeronautica Civile, incaricato di trasmettere questo tipo di notizie, risultano incomplete e poco convincenti. Monzón, al contrario, non è salito sullo stesso volo e, secondo le ultime dichiarazioni dell’Interpol, si è diretto dapprima a Madrid il 17 per poi essere intercettato il 21 in Salvador, su un volo proveniente da Bogotà e con destino finale Honduras. Monzón non è ancora stato localizzato e continua ad essere ricercato dall’Interpol.
Il Presidente e la Vicepresidentessa della Repubblica hanno negato qualsiasi coinvolgimento nei fatti e fino ad ora non vi sono procedimenti legali aperti nei confronti di questi ultimi, anche se è curioso osservare come in soli due mesi la Baldetti sia stata chiamata a testimoniare già quattro volte, per due differenti processi. Il 19 aprile, durante la conferenza stampa, la Vicepresidentessa ha annunciato l’allontanamento di Monzón dall’incarico di suo segretario personale, affermando comunque di non conoscere l’esatta localizzazione dell’indagato.
Il 22 il Partido Guatemalteco del Trabajo (PGT) ha emesso un comunicato in cui appoggia l’operato della CICIG, sottolineando però come quest’ultima non abbia reso pubblica alcuna notizia riguardo imprenditori ed aziende che usufruirono ampiamente del sistema della Linea e come il recente scandalo sia solo la punta dell’iceberg, fatto di corruzione e truffe, su cui poggia il sistema politico guatemalteco.[5] Il 23 aprile il Presidente ha ufficialmente richiesto al Segretario delle Nazioni Unite un’ulteriore estensione del mandato della CICIG, sino al settembre 2017, scartando l’ipotesi precedentemente avanzata di porre fine all’esistenza della stessa Commissione. La rapida risposta dell’ONU è stata, come prevedibile, positiva.
Crimini nuovi e vecchie figure
Gli indagati sono accusati di associazione illecita con fine di contrabbando, contrabbando doganale e frode tributaria. La CICIG calcola che gli incassi derivanti dagli illeciti commessi si aggirino attorno ai due milioni di quetzales settimanali (circa 240.000 €): una frode da centinaia di milioni. Per decisione del giudice Marta Sierra Stalling, sei dei venti arrestati sono già stati rilasciati e si trovano al momento in libertà provvisoria, nonostante tra questi vi siano figure identificabili come i leader del meccanismo fraudolento. In particolare, si tratta di Salvador González Álvarez e di Francisco Javier Ortiz Arriaga. Il primo è rappresentante dell’importante consorzio di mezzi di comunicazione Corporación de Noticias S.A., società guatemalteca che controlla i quotidiani nazionali Siglo XXI e Al Día, mentre il secondo è un veterano del contrabbando. Egli stesso nelle intercettazioni telefoniche eseguite nel corso dell’indagine afferma di avere “oltre diciotto anni d’esperienza in frodi fiscali”.[6] Si tratta infatti di un integrante della Red Moreno, CIACS nato negli anni ’70 e composto da ufficiali dell’esercito e funzionari governativi, per scopi di controllo doganale, poi utilizzato per vere e proprie azioni di contrabbando. Durante il governo di Álvaro Arzú (1996-2000) ebbero inizio, però, le indagini che portarono allo smantellamento della Red. Nel 1996 Ortiz Arriaga era funzionario doganale e prese parte alla lunga serie di illeciti commessi da quest’organizzazione, ma durante l’inchiesta decise di collaborare con le forze dell’ordine, evitandosi quindi il carcere e salvando le ricchezze accumulate.[7]
Solamente quattro degli indagati si sono presentati a dichiarare di fronte al giudice. Al momento le indagini stanno proseguendo, rivolgendo particolare attenzione alle imprese che utilizzarono il sistema della Linea per i propri affari. Il movimento di protesta nato sui social network chiede infatti al Governo e alla CICIG la pubblicazione dei nomi delle aziende coinvolte, dato che queste non sono state minimamente menzionate nelle dichiarazioni fatte fino ad ora.
Incongruenze e resistenza
Alla consueta marcia del primo maggio, in occasione della Festa Internazionale dei Lavoratori, si sono uniti cortei studenteschi appartenenti a diverse università del paese per chiedere nuovamente le dimissioni dei capi di Governo. Le proteste sono poi proseguite il giorno seguente quando la folla, riunitasi nella piazza principale di Città del Guatemala, ha occupato il palco che era stato montato per i comizi politici programmati per l’inizio della campagna elettorale. Per tutto il pomeriggio persone d’ogni età e provenienza sociale, senza indossare le bandiere di nessun partito, hanno, a gran voce, ripetuto la richiesta di rinuncia da parte del Presidente e della Vicepresidentessa.
Sono state annunciate altre manifestazioni pacifiche nella capitale ed in altre città del paese il 16 maggio. Proseguono quindi le proteste che, al grido di “ci hanno rubato tutto, persino la paura”, richiedono le dimissioni del binomio presidenziale. Ma i vertici del Guatemala non sembrano voler abbandonare le proprie comode poltrone ed il Presidente ha controbattuto che la richiesta delle sue dimissioni proviene da una piccola parte della popolazione, che non rispecchia il volere dell’intero popolo.[8] Ma le manifestazioni degli ultimi giorni ci dicono che nemmeno i guatemaltechi sono disposti a rinunciare: dopo anni di silenzio, l’ampia partecipazione alle proteste sembra significare l’inizio di un risveglio sociale.
Non mancano, però, le perplessità attorno a questo complesso caso. Il Guatemala si troverà presto in piena campagna elettorale. Le elezioni generali sono previste per il 6 settembre di questo stesso anno e porteranno al rinnovo delle principali cariche politiche, quali il presidente, il vicepresidente, 158 deputati del Congresso della Repubblica, 20 deputati del Parlamento Centroamericano nonché dei sindaci e dei vari assessorati dei 337 municipi.
Inevitabilmente lo scandalo della Linea avrà pesanti conseguenze sulla campagna e sulle stesse elezioni. Alejandro Sinibaldi, candidato presidenziale per il PP, ha pubblicamente rinunciato alla candidatura ed ha rassegnato le proprie dimissioni dal partito, dando a questo un ulteriore scossone.
Altro fatto curioso è che il caso sia stato reso pubblico proprio durante la breve assenza dal paese del principale indagato nonché leader dell’intera organizzazione. Inoltre risulta che Monzón non avesse mai accompagnato la Vicepresidentessa in altri viaggi e la consegna di una laurea honoris causa a quest’ultima non sembra essere una ragione che ne motivi la presenza. È stato poi sottolineato come le indagini della CICIG siano state rese pubbliche proprio nel periodo in cui si stava discutendo sulla possibilità di non richiedere all’ONU il rinnovo dell’accordo che regola l’esistenza della Commissione e come, in seguito, il Presidente sia stato invece obbligato ad inoltrare frettolosamente tale domanda al Segretario delle Nazioni Unite, data l’emergenza del caso.
Ad uno scenario storico piuttosto oscuro e controverso si aggiunge quindi una serie di contingenze che lasciano a dir poco perplessi. In ogni caso, non sorprenderebbe l’eventualità che tutto possa concludersi in una grande bolla di sapone, pronta a scoppiare in qualsiasi momento, senza lasciare traccia di sé. Ma è auspicabile che questi eventi lascino, invece, nella memoria del popolo guatemalteco un’impronta indelebile, che risvegli la voglia di organizzarsi contro i quotidiani abusi provenienti dall’alto.
PS. [L’8 maggio 2015 (mentre stava per uscire questo articolo) la Viceprensidentessa Rossana Baldetti ha rassegnato le proprie dimissioni. L’annuncio è stato fatto dal Presidente Otto Peréz Molina durante una rapida conferenza stampa in mattinata. Il Presidente ha affermato che non si tratta di una decisione presa a causa delle pressioni ricevute, bensì di una scelta che ha lo scopo di facilitare le indagini. La Baldetti rinuncia quindi all’immunità di cui il ruolo di vicepresidente gode. Restano in programma le manifestazioni previste per questo fine settimana e per il prossimo.]
NOTE:
* Le foto sono di Moysés Zúñiga Santiago (tranne la prima e le ultime due)
[1]“Poderes ocultos, Grupos ilegales armados en la Guatemala post conflicto y las fuerzas detrás de ellos”, Susan C. Peacock y Adriana Beltrán
[2]es.insightcrime.org
[3]www.cicig.org
[4]Quotidiano Prensa Libre, 22 aprile 2015
[5]www.partidocomunistadeguatemala.blogspot.com
[6]Quotidiano Prensa Libre, 17 aprile2015
[7]www.nómada.gt, 17 aprile 2015 e www.cmiguate.org (centro de medios indepedientes), 17 aprile 2015
[8]Quotidiano Prensa libre, 29 aprile 2015