di Simone Scaffidi Lallaro
Lorenzo Iervolino, Un giorno triste così felice. Sócrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario, 66th and 2th, 2014, pp. 343, € 17.00
Dal giorno della sua morte, la notte del 4 dicembre 2011, si è scritto e parlato molto di Sócrates, il calciatore brasiliano con il nome da filosofo – capitano della nazionale verdeoro ai Mondiali del 1982 e del 1986 – che per studi e aspetto barbudo molti amano associare alla figura di Ernesto Che Guevara. Come l’argentino il “Doutor” aveva studiato medicina e come lui intraprese un viaggio controcorrente che durò una vita. Non fu però uno yatch dal nome nordamericano ma una squadra di calcio di São Paulo, il Corinthians, a rendere palese al mondo la volontà di imbarcarsi in un’impresa rivoluzionaria.
Sócrates e compagni diedero così vita, a colpi di autogestione dal basso e democrazia interna, ad un vero e proprio laboratorio per ripensare il calcio. Non il gioco del calcio, s’intende, anche se sul campo con i piedi, e più avanti con la penna, Sócrates propose di rivoluzionare anche quello. Ma il calcio. Quello dei ritiri obbligatori, della disciplina cameratesca, delle merci umane e del capitale. Tra il 1982 e il 1983 i giocatori del Corinthians – tra cui Biro-Biro, Casagrande, Sócrates, Wladimir e Zenon –, supportati da un direttore tecnico sociologo – Adílson Monteiro Alves –, sovvertirono l’autoritarismo dei club professionistici, trasformando quella che era un’industria dello sport in uno dei più sensazionali esperimenti della storia del calcio professionistico: la Democracia Corinthiana.
In tempi di dittatura militare, il Timão – timone ma anche squadrone –, come viene soprannominato dai suoi tifosi il Corinthians, non si limitò ad indicare la rotta da seguire ma la gridò a tutto il Brasile, con le sue vittorie e con le scritte che iniziarono a farsi spazio sulle magliette dei giocatori. Sulle schiene di Sócrates e compagni comparirono prima la parola “Democracia” e poi l’inequivocabile “Dia 15 vote”, un invito alla popolazione ad andare a votare per guadagnarsi democraticamente il diritto ad elezioni dirette per la nomina del Presidente della Repubblica. Fu un colpo di tacco inaspettato per una dittatura agonizzante ma ancora capacissima di quei rigurgiti repressivi che contraddistingueranno il periodo successivo alla sua sostituzione.
Quella cavalcata sportiva e sociale durò due anni, poi le vele della rivoluzione cedettero di fronte alla potenza normalizzatrice dell’establishment e la Democracia Corinthiana si sfaldò: Sócrates se ne andò dal Brasile e approdò in Italia, alla Fiorentina, tenendo fede alla promessa di lasciare il paese se non ci fosse stato un cambiamento di rotta – che sarebbe dovuto coincidere con la vittoria del movimento Direitas Jà per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; Casagrande passò ai rivali del São Paulo; Adílson Monteiro Alves, il direttore tecnico, perse alle elezioni per diventare presidente del club; tempo un anno e anche la storica bandiera del Corinthians, Wladimir, lasciò la squadra.
Lorenzo Iervolino è abile a maneggiare la descrizione di questo complicato processo e a non tirarsi indietro di fronte alle contraddizioni che la sovversione collettiva di qualsiasi ordine costituito inevitabilmente genera. Ma è anche bravo a non perdersi nel mito di Sócrates e a non ridurre a mera agiografia la sua ricerca sul campo e fuori dal campo. Merito di un progetto letterario che respira senza affanni e oltrepassa la prospettiva calcistica del rettangolo di gioco, per rendere giustizia a un uomo che nelle sue interviste amava parlare di tutto fuorché di calcio.
Per dare questo genere di profondità all’opera non sono bastate giornate intere a guardarsi le partite del Corithians, della Fiorentina e della nazionale brasiliana; ad ascoltare interviste e a leggere gli articoli che Sócrates scriveva per la sua rubrica settimanale sulla Folha de São Paulo. Ma è stato necessario saltare su un aereo – a volte un treno se si trattava di indagare l’esperienza italiana del “Magrão” e farsi una chiacchierata con l’idolo viola Antognoni – e raggiungere quella terra incisa nel nome del ribelle Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira.
Là Iervolino si è nutrito dell’esplosione di commozione e ironia derivante dal racconto nel racconto, delle parole di chi – compagni di squadra, di bevute e di cantate – ha condiviso pezzi di vita con il “Doutor”. Ha assaporato la voglia mai placata di arte e azione sociale che ha pervaso l’esistenza del “Magrão” e ha calpestato i campi brulli di Ribeirão Preto, testimoni dei primi colpi di tacco di un bambino soprannominato per altezza e corporatura esile “Palito”. Per poi ritrovarsi al bancone di un bar a saggiare il peso della birra di Sócrates, proprio la sua, come testimoniano gli amici, e riconoscendo nelle loro parole l’adulto che rimprovera alla Perla Nera la complicità con il regime militare all’indomani della vittoria Mondiale del 1970 e lo spirito critico che si domanda Copa para quem?, prevedendo le speculazioni del Mondiale brasiliano del 2014.
Il ritmo del testo somiglia a quello del “Magrão” sul campo: travolgente ma senza lasciarti il tempo di accorgertene. Il pensiero corre più veloce delle parole sulla carta, in una progressione emotiva che ricorda le cavalcate del “Doutor”. Passo dopo passo, senza lo spasmo dello scatto, si apprendono pause e ripartenze di una vita in fermento e di un futbol dançado – creativa commistione di futbol-arte e filosofia di vita – caro al sociologo Gilberto Freyre come alla maggioranza dei torcedores brasileiros. E ci si avvicina così senza indugi e con consapevolezza alla sorianesca descrizione della sconfitta brasiliana al Mundial ’82 contro l’Italia [ascolta un piccolo estratto] e all’originale ed evocativa rielaborazione degli scritti di Sócrates da parte dell’autore, che trova così il miglior sfogo creativo al suo coinvolgimento emotivo.
Un’operazione di sbancamento ai danni di consolidate gerarchie della memoria, questo è Un giorno triste così felice, un oggetto narrativo non identificato tra biografia e diario, saggio e romanzo che permette all’autore di andare a fondo e dal fondo scrivere, per regalare ai lettori e alle lettrici un’opera che galleggia senza esitazioni sul mare della Storia e lancia segnali rassicuranti – almeno sotto il profilo della qualità – dalla barca dell’editoria indipendente italiana e dalla zattera dei collettivi come Terra Nullius, autentiche fucine di scrittori popolari.