di (uno pseudo) Alberto Prunetti
Finalmente dopo giorni di attesa sono arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Eternit.
Sono 148 lunghe pagine colme di considerazioni giuridiche che i giornali stanno riassumendo con uno strano senso di stupore e meraviglia. Non vedo di che stupirsi. A quanto pare, un minuto dopo aver fatto un fallimento strategico la Eternit non aveva altri obblighi verso il territorio che aveva inquinato per anni. E quindici anni dopo esser scappata all’estero, la multinazionale dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny era ormai aldilà del bene e del male e quindi ingiudicabile rispetto alla morte dei suoi lavoratori.
Mi sembra doveroso. Il processo non andava neanche fatto. A saperlo, i manager della Eternit potevano quasi rimanere in Italia. O almeno lasciare le valigie al deposito bagagli.
Una sentenza che farà testo. Ne tenga conto chi sta facendo start-up d’impresa. Gli imprenditori adesso possono ritornare. Tanto più che qui ora si licenzia a nastro, abbiamo asfaltato l’asfaltabile e il nuovo progetto di legge sui reati ambientali pare sia stato rottamato prima ancora di passare sulla Gazzetta ufficiale. Inoltre la responsabilità della presenza dell’amianto non è del capitale ma del settore pubblico che non ha bonificato cinque minuti dopo che la Eternit era andata ai Caraibi dimenticando per la fretta le porte della fabbrica aperte. Dov’è lo scandalo? Il privato si arricchisce e poi giustamente si aspetta che lo stato pulisca. Sennò che ci sta a fare il pubblico? Così invece si crea sinergia: il privato incassa e sporca e il pubblico ripulisce. E’ la prima pagina del corso di ogni master di economia.
Il mondo gira così. Garantito al limone. Non fa una grinza. Perché, c’era da aspettarsi altro?
Se vi sembra una logica al rovescio, è perché ragionate come i contadini maremmani o i montanari o i vignaioli delle Langhe. Quelli che credono che il diritto sia il contrario dello storto. Ma chi ha studiato, chi ha fatto l’università come noi, chi capisce le ragioni e gli impedimenti dirimenti e il latinorum dell’economia e del diritto, non può non considerare quella sentenza assolutamente garantista.
Io direi, volendo proprio cercare il pelo nell’uovo, che quella sentenza ha un unico difetto. E’ troppo lunga. 148 pagine sono troppe, per una cosa che riguarda solo 2mila morti. Operai s’intende, non quattrinai. Duemila operai. Quando in fondo ne muoiono ogni giorno tre solo in Italia, di operai, sul lavoro. Ma tanto giustamente tutti dicono che gli operai non ci son più e quindi anche se muoiono in ogni caso il fatto non sussiste.
Pertanto sì, tornando ai miei dubbi sulla sentenza, si potrebbe individuare in quelle 148 pagine uno spreco di carta, di risorse e di tempi. E in anni di austerity è bene risparmiare. Che poi c’è anche da incollarci il bollo.
In conclusione, la sentenza andava scritta più semplicemente, nel rispetto dei principi economici e giuridici che ispirano il nostro ordinamento, con le seguenti tre parole:
andare, camminare, lavorare.
Tutto qui. Andare camminare lavorare.
E poi, scusate, cos’è è questo mugugnare di operai che vengono qua sotto a chiedere giustizia? Al lavoro. Andare. E guai a chi si lamenta. Guai a chi tossisce. Il prossimo che tossisce lo denuncio per diffamazione d’imprenditore.
Anzi. Cominciamo a denunciare tutti quelli che hanno scritto del processo Eternit, banda di rancorosi, che c’hanno tutti qualche morto in famiglia per l’amianto e scrivono ad personam. Ovvio che sono tendenziosi. Anche quello che scrive queste righe, che fa satira. Perché se voi siete Charlie noi siamo Stephan. E forbice vince su carta, cari miei. Dovreste saperlo, voi che giocate sempre a morra, in quelle bettole che frequentate.
E poi insomma, bisogna anche saper stare al proprio posto. Che è tutta questa plebe che invade le aule dei tribunali? E mica dalla parte che le compete, che è quella dell’imputato. No, addirittura portare il padrone alla sbarra. E con quale diritto? Se il diritto sta dalla parte del padrone, la sbarra si alza e lo fa passare. Perché lui è il padrone e voi non siete nulla. E noi? Ripetiamolo: Nous sommes Stephan e voi non siete un cazzo
Pertanto, in nome del popolo italiano: andare, camminare, lavorare.
[Post scriptum non satirico: Agli amici e ai compagni di Casale Monferrato dedico queste righe che, nella loro deformazione caricaturale e satirica di una tragedia umana, da un lato possono apparire ciniche, dall’altro fotografano forse una situazione in cui il paradosso è il tratto più veritiero. In conclusione per noi che non siamo Stephan, valgono altre considerazioni, forse retoriche, ma che possono scaldare il cuore e aiutare a continuare la lotta. Primo: come dicevano le Madres de Plaza de Mayo, e come ha sottolineato di recente Giuliana, una signora di Casale, l’unica lotta che si perde è quella che si abbandona. Secondo, ricorderete il mito di Sisifo, costretto a ripartire sempre da capo, ad arrampicarsi sulla montagna con un masso sulle spalle. Così si sente la gente di Casale adesso, come Sisifo. Ecco, uno che se ne intendeva, ha scritto che bisognava immaginare Sisifo felice. E io non ho mai visto nessuno più felice e più dignitoso della gente di Casale, che in un mondo ingiusto ha cercato la strada della giustizia senza usare la retorica del vittimismo. Nonostante tutto. Per questo aveva senso arrivare fin qui e ha senso oggi ripartire da capo. Terzo, come cantano i Gang, non finisce qui. ] A.P.