di Alessandra Daniele
Matteo è un cazzaro.
Fa promesse che non potrà mai mantenere, solo per rastrellare più voti che può dove può.
Niente di quello che promette è realizzabile, a parte una riduzione dei diritti, un regresso al secolo passato.
Matteo è un reazionario che si finge un rinnovatore, un pollo d’allevamento che si spaccia per un outsider.
Matteo è telegenico.
Non perché sia bello, è un bamboccio grasso e sudaticcio, ma ha l’aria familiare, sembra un cugino.
La sua prima apparizione televisiva risale a un quiz Mediaset degli anni 80.
Oggi occupa tutti gli spazi televisivi che può per pompare la sua immagine, perché in fondo solo d’immagine consiste.
Matteo è un bulletto.
Gli piace fare la voce grossa e darsi arie da leader, ma di fronte a chi è davvero potente non è capace di fare nulla.
Pareva entusiasta della guerra di Libia più d’un futurista vintage. Poi ha piantato una frenata, come per un contrordine improvviso.
Benché ostenti decisionismo, ben poche delle decisioni che annuncia sono davvero sue.
Matteo sembra giovane.
In realtà è un quarantenne politico di professione, che ha passato tutta la carriera dalla parte dei vincitori, a livello nazionale o regionale-amministrativo.
I suoi peggiori nemici sono tutti i suoi colleghi di partito ai quali ha fatto le scarpe.
Aspettano l’occasione propizia per restituirgli il favore, ma resteranno fra le teste di cartapesta del suo carro allegorico finché sarà quello del vincitore.
Matteo piace agli italiani.
Molti di loro lo considerano l’ultima speranza di evitare l’alternativa, che ritengono una terribile minaccia.
Il paradosso però è che la loro alternativa a Matteo è Matteo.
Renzi. Salvini.