di Danilo Arona
Ricevo e ben volentieri pubblico le seguenti note a commento, ma direi a completamento, di un precedente pezzo intitolato Night Intruder, dedicato al Fantasma dei Cieli “Pippo”, qui al nord più noto come “Pipetto”. Un grazie sentito al signor Mario C.
Gentile signor Arona, ho letto con attenzione il suo intervento su Pipetto di cui lei ha sentito parlare dai più anziani. Io appartengo a quella generazione che visse quei duri momenti della seconda guerra mondiale, ed essendo già a quei tempi un accanito tifoso di aeroplani, e conoscendoli praticamente tutti (sia civili, da turismo e militari, con le loro relative caratteristiche), mi complimento per il suo scritto, tecnicamente molto preciso sia nelle località di partenza e nei tipi di aereo usati in quello strano tipo di guerra aerea.
Personalmente posso testimoniare di avere visto nella notte del 20 ottobre 1944, in una frazione di Asti dove mi trovavo sfollato, durante una serena notte di luna piena, passare su di me a circa 30 metri di altezza uno di questi aerei che, avendo sganciato un istante prima uno spezzone incendiario di pochi kg, mi aveva letteralmente scaraventato fuori dal letto per la curiosità.
Lo vidi dalla finestra passare lentamente, tutto verniciato di nero nella parte inferiore, l’unica che potevo distinguere e lo riconobbi perfettamente in un Douglas A 20 dell’USAAF, o più probabile un Douglas DB7 Boston, come veniva chiamato dalla RAF. Dopo avere sorvolato la mia casa, dopo pochi secondi l’aereo nero sganciava un altro spezzone a casaccio e la mattina dopo potei constatarne gli effetti, consistenti in una buca di 40/50 centimetri e relativo imbuto di circa un metro. Il tutto molto superficiale, dovuto di certo a una spoletta molto lunga e avanzata che anticipava lo scoppio. Questi passaggi avvenivano da parecchi mesi nelle notti di bel tempo, ma scemata la novità, almeno nelle campagne l’allerta si affievolì, lasciando il posto al quotidiano terrore determinato dalle incursioni dei P 47, presenza ben più pericolosa e distruttiva.
Riguardo le scie di condensazione rilasciate dai bombardieri che transitavano sopra Alessandria, queste erano ritenute dalla gente un segnale emesso volontariamente per segnalare la mancata intenzione di bombardare. Altra convinzione popolare, molto diffusa, che serviva a tranquillizzare i cittadini, era la voce che Churchill, negli anni giovanili, durante il suo peregrinare in Europa, avesse coltivato per molto tempo una relazione con una giovane alessandrina abitante in via Vochieri (in centro città e strada pesantemente bombardata nel ’44, N.D.R.). Da qui l’immaginarsi che gli alleati potessero rischiare la vita di costei con un bombardamento… Io assistevo in disparte a queste manifestazioni dialettiche e per prudenza non intervenivo con spiegazioni tecniche sulla formazione delle scie o sulle relazioni amorose di Churchill. A sfatare tutto ciò e a riportare alla realtà gli alessandrini arriveranno purtroppo tanti, troppi successivi bombardamenti, con lutti e tragiche situazioni che non avrei mai immaginato di poter vivere. Una sola, come esempio: la visione dei cadaveri davanti alla Stazione e nei giardini pubblici, uomini e donne di cui qualcuno mi fece notare la mancanza del dito anulare, corpi praticamente integri, esseri umani uccisi dal solo spostamento d’aria. Prima lezione sulla vera vita per un giovane che immaginava l’avvenire tutto rosa e che nei rimanenti anni di guerra vedrà a che punti sarà in grado di arrivare l’uomo.
Cordialmente la saluto, Mario C., ex pilota di aliante, Brevetto “C”.
Testimonianza notevole, direi commovente, sul fantasma dell’aria di un passato remoto. E nel luglio del 2011 il fantasma si rimaterializzò, in modo più che sorprendente, nelle campagne di Ferrara. Tornò alla luce dopo 66 anni all’interno di un relitto sepolto nella terra. Si scoprì che il pilota si chiamava David Kennedy Raikes. Si trovarono oggetti personali appartenuti a un certo Hunt, anche lui a bordo dell’aereo: una spilla, un orologio da polso, un rasoio e un anello forse regalatogli da una fidanzata che lo aspettava a casa, reperti storici che vennero poi consegnati al Museo della Seconda guerra mondiale del fiume Po di Felonica, in provincia di Mantova.
Di Raikes e dell’equipaggio si erano perse le tracce il 21 aprile 1945, quattro giorni prima della Liberazione, quando l’aereo bimotore era partito per una missione notturna sopra la campagna del Copparese, in provincia di Ferrara, e non aveva fatto più ritorno alla base. Quell’aereo disturbatore della RAF, uno dei tanti “Pippo”, venne abbattuto da una raffica di contraerea. A vedere il velivolo precipitare e bruciare a terra si trovava un ragazzino allora quindicenne, Giordano Melchiori, che nel 2011 di anni ne aveva 82. I suoi racconti su quel “Pippo” abbattuto a poca distanza temporale dalla Liberazione erano giunti all’orecchio di Fabio Raimondi, un appassionato di archeologia aeronautica.
Il testimone, il 31 agosto del 2006, aveva condotto Raimondi sul luogo dell’impatto. Il Melchiori aveva raccontato che quel giorno e i successivi del ’45 la milizia non aveva permesso ai civili di avvicinarsi e dei piloti non si era saputo più nulla. Non contenti, qualche giorno dopo, il giovane Melchiori e i suoi amici erano riusciti a recuperare uno dei due motori e venderlo in una piccola fonderia. «Un motore doveva ancora essere sepolto in quel luogo», aveva considerato Raimondi. « E dopo il tempo necessario per le ricerche in Internet e la collaborazione di altri appassionati, cerchiamo di trovare traccia negli archivi grazie al mio blog “Archeologi dell’Aria”, ma non troviamo nessuna notizia di questo abbattimento».
Si arrivò dunque al luglio del 2011. Il primo sondaggio con i metal detector portò alla luce frammenti in alluminio Ma sopratutto vennero riportati in superficie alcuni oggetti in dotazione all’equipaggio ed effetti personali: la spilla con l’emblema della corona inglese, il rasoio e l’orologio da polso. Quest’ultimo oggetto risultò fondamentale: il fondello riportava ancora le iniziali, il cognome e il numero di matricola militare del proprietario, H.J. Hunt, 433038. Le successive ricerche portano all’archivio nazionale australiano: «trovo la foto – dichiarò Raimondi -, il libretto personale missioni e il rapporto di quella notte con tutti i nomi dell’equipaggio, il tipo di missione e il tipo di velivolo”. Insieme al mitragliere australiano John Penboss Hunt viaggiavano tre inglesi: il navigatore David Millard Perkins, l’operatore radio Alexander Thomas Bostock e il pilota David Kennedy Raikes. Ottenute le autorizzazioni partirono i lavori di recupero e dopo 66 anni emersero dal loro sarcofago di terra il carrello anteriore, parti metalliche, strumenti e ancora effetti personali dell’equipaggio. Partirono i contatti con l’ambasciata britannica per rintracciare i parenti dei quattro aviatori, tutti giovani sui vent’anni. Qualcuno lo si ritrovò. E ritornarono per un po’ dolorosi fantasmi del passato che si pensavano sepolti all’interno di un nero, invisibile relitto. Purissimo gotico contemporaneo.