di Marilù Oliva
Valeria Arnoldi, Hayao Miyazaki. Un mondo incantato, Ultra, Roma, 2014, pp. 254, € 22,00.
Nel mio cuore si sogna molto, ma la realtà ha sempre l’ultima parola. Hayao Miyazaki
Un libro completo su Miyazaki mancava, nello scenario della saggistica italiana, va quindi un plauso a Valeria Arnaldi – giornalista romana, ma anche curatrice di mostre d’arte contemporanea – per averci pensato. Edito da Ultra e corredato da un ricco apparato iconografico, “Hayao Miyazaki” porta un sottotitolo che evoca i suoi lungometraggi: “Un mondo incantato”. Si conclude con i tributi al regista e con la filmografia e parte, nel capitolo introduttivo, con un soffio di vento, elemento simbolico dell’intera carriera dell’artista e del suo immaginario:
«Vento come soffio vitale, vento come trait d’union tra fisico e metafisico, vento come “premio” che – nel mito – regala all’uomo l’immortalità, vento che è l’elemento da cui si proviene e a cui si torna, ma anche emozione e abbandono.»
Lo studio prosegue con un capitolo biografico che comincia dalla sua nascita, avvenuta il 5 gennaio 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale. Le difficoltà, nonostante l’agiatezza della famiglia, le fughe e le evacuazioni si impressero profondamente nella memoria e non è un caso che diversi riferimenti bellici compaiano nella sua produzione, oltre ai ricordi d’infanzia che lo segnarono: sia la malattia della madre – basti pensare alla mamma delle sorelline in Totoro, costretta in ospedale – sia l’episodio del camion citato a pagina 14. L’autrice passa poi in rassegna il periodo dei Manga, senza trascurare il suggestivo contributo di Miyazaki anche a quest’arte, a partire dall’interpetazione della stessa:
«C’è una ragione fisica secondo Miyazaki alla base del successo dei fumetti in Giappone, una diversa modalità di interpretazione e sintesi della realtà, che nei manga tratteggia il mondo attraverso un codice di linee e punti.».
Dagli esordi alla TV il passo è breve. Quando approda al corto “Panda! Go, Panda!” La tecnica è ormai consolidata, gli intenti sono chiari, nel 1974 Miyazaki lavora alle scene e al layout di Heidi, per la regia di Takahata. Alcuni lo ricorderanno per “Conan” o anche “Anna dai capelli rossi” o, per quanto riguarda i film, “Lupin III. Il castello di Cagliostro” e siamo nel 1979: si tratta, secondo Steven Spielberg, del più grande film d’avventura mai realizzato.
Il capitolo sullo Studio Ghibli – che include anche un suggestivo museo – e quelli successivi sulle produzioni ad esso legate sono illuminanti, sia perché rimandano a nuove letture dei suoi film, sia perché tentano – e riescono nell’intento – di individuare archetipi, significati, metafore, leit-motiv al di là del suo ormai inconfondibile stilema. Rispetto per la natura, antimilitarismo, disprezzo per il potere e per i fascismi, esaltazione dell’amore inteso come cura dell’altro e gentilezza, un mondo spaccato e ricomposto nei suoi elementi – terra, acqua, aria – dove si muovono protagonisti spesso bambini o ragazzini, non troppo vistosi, accanto a creature fantasiose – Totoro, i folletti, i nerini della fuliggine –, ibridi che risentono del tocco della magia o addirittura ne sono intrappolati – Yubaba, molte tra le creature della città incantata, la strega delle Lande, lo stesso Howl.
Quest’opera rappresenta una disamina significativa, preziosa per gli addetti ai lavori, ma anche per i semplici appassionati come la sottoscritta, perché porta avanti spiegazioni e tesi con un linguaggio sciolto ed esatto che si abbandona, a volte, a momenti quasi letterari, forse in omaggio a quella bellezza che è slancio e destinazione dei film di Miyazaki. E che non dimentica le sue ombre, come accade al bellissimo proprietario di un castello errante, la cui bellezza è malvagia, almeno nella sua prima epifania:
«Howl, potente e oscuro come è descritto dalle chiacchiere che lo precedono, esaltazione del dis-umano, feroce come ogni amore non ricambiato, è in realtà un uomo piccolo, affascinante proprio nell’infinito potenziale della sua meschinità. Howl è il bambino impaurito, l’adolescente che si fa beffe delle guardie per sfregio e spavalderia, il giovane che seduce le fanciulle esclusivamente per aggiungere tacche a un carnet da latin lover […] Howl è un giocatore che sfrutta l’effetto speciale dei suoi artifici per non mettersi in gioco sul serio».