di Alessandra Daniele
Dall’omicidio di Michael Brown non è passata una sola settimana senza che un altro poliziotto bianco non abbia ammazzato un altro afroamericano o un latinoamericano, più o meno sempre con lo stesso pretesto: un’inesistente minaccia armata.
Non si può fare a meno di notare quanto questa scusa somigli a quelle per le guerre preventive e i bombardamenti difensivi.
Il microcosmo urbano replica il macrocosmo planetario, e viceversa.
Questa è una lista aggiornata delle vittime della polizia. Sono le cifre d’una strage.
La dinamica dell’assassinio del diciottenne Antonio Martin in particolare dimostra come sia stato usato da esempio.
Negli USA è in atto una strisciante sistematica repressione armata su evidenti basi razziste e classiste.
A monte non c’è una qualche precisa regia occulta centralizzata, ma qualcosa di peggio: uno zeitgeist che promana tanto dalle bardature militari da Robocop in dotazione ai poliziotti, quanto dalle oscillazioni del giroscopio politico-economico che nella testa del megarobotico Poliziotto del Mondo ne registra la parabola discendente. Di fronte alla conseguente possibilità di perdere la presa dei piani superiori su quelli inferiori d’una struttura collassante, i proletari, in particolare latino e afroamericani, sono percepiti come il nemico. E al nemico si spara a vista.
La definizione di “scontri razziali” che i media mainstream danno della situazione è disgustosamente falsa e strumentale. L’attacco è unilaterale. A fronte di più di sessanta omicidi impuniti commessi dalle cosiddette forze dell’ordine c’è stato un solo caso (dalla dinamica dubbia) d’un afroamericano finito suicida dopo aver ucciso un paio di agenti newyorkesi, Rafael Ramos e Wenjian Liu, peraltro entrambi appartenenti anche loro a minoranze: latina e asiatica.
L’immagine dei poliziotti di New York che ai funerali d’uno di loro compattamente e impunemente voltano le spalle al sindaco De Blasio, sposato con un’afroamericana, e che ha osato criticare i loro metodi repressivi è un’ottima rappresentazione plastica della reale situazione, e particolarmente in noi italiani non può non evocare echi golpisti.
Il mesto tramonto di Obama getta ombre sinistre sul futuro della declinante grande potenza che somiglia sempre di più alle rappresentazioni distopiche che ne dà la sf.
Questo inquietante fronte interno s’aggiunge agli altri conflitti dichiarati o meno che gli Stati Uniti combattono in giro per il mondo, a cominciare dalla guerra commerciale con la Russia – e l’Europa – fino alle guerre asimmetriche neocoloniali combattute sul piano mediatico quanto su quello militare.
Nei prossimi pochi anni si deciderà quale modello di società potrà sopravvivere al convergere delle crisi economiche, sociali e ambientali.
Il conflitto che darà forma al futuro del pianeta è già cominciato.