di Alessandra Daniele
Bruttta stagione per la fantascienza. Interstellar è un cinepanettone di retorica familista e cazzate pseudo scientifiche alla Voyager. Ed è così lento che dovrebbe chiamarsi Intercity.
E Doctor Who è diventato Fracchia La Belva Umana.
Seguono maxi-spoiler di Interstellar, Doctor Who, The Walking Dead, Z Nation, e mini-spoiler di Ascension e Black Mirror.
Christopher Nolan ha trasformato un buco nero nello studio di C’è Posta Per Te – quando il vero passo da gigante per l’umanità sarebbe il contrario – mettendo alla guida d’una missione spaziale dei rincoglioniti inadeguati alla guida d’una Panda.
Interstellar non è il nuovo 2001: Odissea nello Spazio più di quanto Un Posto al Sole non sia il nuovo Solaris.
Steven Moffat ha trasformato il personaggio del Master in un’altra delle patetiche decerebrate adoranti delle quali circonda sempre i suoi protagonisti, e ne ha sostituito l’iconico titolo con un nomignolo da chiwawa: Missy.
Il resto del season finale di Doctor Who, Death in Heaven, non è che un enorme plot hole con qualche misero sfilaccio di trama attaccato ai bordi, inzuppato di quella stessa retorica patriottico-familista che è diventata inseparabile compagna della fantascienza cine/tv anglosassone.
In particolare al cinema non c’è più catastrofe ecologica, invasione aliena, anomalia spazio-temporale che non venga fronteggiata da un eroico padre di due figli adolescenti rompicoglioni, e/o da una fanciulla vagamente intellettuale ma dal cuore romantico, e che non venga risolta (quando viene risolta) dal potere dell’Amore.
Dappertutto pare di leggere le esortazioni subliminali che il protagonista di Essi Vivono scopriva inserite in ogni media: “Marry and reproduce”, e di conseguenza “Consume”.
Come al solito l’unica alternativa considerata possibile all’apocalisse è lo statu quo.
Mentre il messaggio esplicito per lo spettatore medio è: “Gli eventi precipitano, non sai fare un cazzo? Beh, almeno vorrai bene a qualcuno, no? Ecco, basta quello”.
Il risultato è sedativo, conformista, intrinsecamente reazionario.
Ed è un messaggio così dopante che ormai parte del pubblico lo pretende anche quelle rare volte che non lo riceve, basti vedere la desolante reazione di certi settori del fandom all’ottimo mid-season finale di The Walking Dead: ne hanno ignorato sia la coerenza tematica che l’attualità politica, oltraggiati dal fatto che il loro personaggio preferito non possa più coronare il loro Sogno d’Amore.
Una parte del pubblico pretende romanticismo consolatorio persino da The Walking Dead.
Eppure non è difficile intuire che la Zombie Apocalypse non sia lo scenario ideale dove cercare illusioni. Anche l’autoironico, citazionista Z Nation ha concluso la stagione svelando quanto fosse Renziana la promessa d’una facile cura al virus Z.
“La fantascienza è una forma d’arte sovversiva – diceva Philip K. Dick – fatta per chi pone domande scomode”. Il mercato invece ne fa un mezzo per distribuire risposte comode, una soap opera con qualche effetto speciale in più.
Come la miniserie SyFy Ascension, che ha soffocato le potenzialità d’una premessa interessante (Thirteen to Centaurus di Ballard in salsa Mad Men) in un’overdose di fuffa da telenovela.
Sola luce nelle tenebre di questa lunga notte di Natale: lo special White Christmas di Black Mirror, che andando coraggiosamente nella direzione opposta si conferma praticamente l’unica serie di autentica SF rimasta in circolazione.
Mentre lo special natalizio di Doctor Who s’annuncia invece come una cagata persino peggiore di Death in Heaven.
La fantascienza ha impiegato mezzo secolo a uscire dal ghetto del Genere per scoprire che la periferia del Mainstream è ben peggiore.