di Daniel Krupa
[Un estratto da Serpenti, di Daniel Krupa, traduzione di Vincenzo Barca, Caravan Edizioni, 2014, pp. 112, € 9,50]
Vita e morte del signor Guimarey potrebbe essere il titolo della breve storia di cui Polonio si appropria per ampliare la paranoia che invade uno dei suoi ospiti. A quel che dice Polonio, Guimarey era un poliziotto espulso dal corpo dopo che un’inchiesta interna aveva accertato la sua partecipazione alla rapina al Banco Nación di Posadas, durante la quale erano stati feriti tre clienti, due impiegati e una guardia.
Rimasto vedovo a cinquant’anni, senza figli né fratelli né zii anziani, immerso in un quadro depressivo, Guimarey decise di far ritorno ad Apóstoles con l’idea di occupare la casa che era stata di sua madre e che non erano mai riusciti ad affittare.
I primi mesi risultarono più complessi di quanto avesse sospettato Guimarey, che non si era mai trovato ad affrontare questioni emotive. Le sue riflessioni, prima, andavano in tutt’altra direzione.
Non fu facile ritornare nella casa della sua infanzia. Non c’era più entrato nessuno da quando sua madre era stata ricoverata, se non per ritirare qualche documento. Per questo motivo la grande casa – situata in fondo al viale principale, in una di quelle zone periferiche che segnano il limite con la campagna – era un museo archeologico di ricordi personali che, raccolti in uno stesso spazio, riuscirono a risvegliare persino la sensibilità solitamente torpida di un poliziotto di provincia.
Ci mise un po’ ad abituarsi a vivere con tanti dettagli intorno, ma a poco a poco si rimise in sesto. Lo assunsero prima come guardiano notturno in una fabbrica di scatolette, nonché deposito, di cuori di palma e, un paio di mesi dopo, come addetto alla sicurezza in un supermercato nei fine settimana, il che gli permise di levarsi dalla testa certe cose che non gli faceva bene ricordare. In quei due lavori chiacchierava con altra gente; poteva guardare la televisione; leggeva il giornale locale. Fu quello stato di benessere a spingerlo a programmare una battuta di pesca sul fiume Chimiray.
Scelse un giorno libero della ditta di inscatolamento e conservazione di cuori di palma. In un primo momento vagliò l’ipotesi di andarci con qualcuno. Provò con alcuni colleghi di lavoro. Uno gli spiegò che la pesca lo annoiava e che comunque lo avrebbe invogliato di più se, durante la gita, avessero potuto fare una scappata al casinò di Posadas. Un altro fu ancora più sincero e gli disse che la moglie non gli permetteva di stare troppo a lungo fuori casa perché aveva dei ‘precedenti’; Guimarey non ebbe il coraggio di chiedergli se diceva sul serio o se intendeva qualcos’altro. Davanti a quello scenario, decise di andare da solo.
E gli andò bene. Prese dei bei pesci, che pulì sul posto, affinché il calore del sole non li rovinasse. La giornata era andata così bene che aveva persino pensato di parlare con i Szegalowsky, gli unici vicini che avevano un freezer in funzione, in modo da poter conservare i pesci migliori. Era immerso in questi pensieri, mentre faceva scorrere la punta dell’amo attraverso le viscere di una mojarra con cui sperava di attirare qualsiasi specie si trovasse sott’acqua.
Il pomeriggio scorreva perfettamente finché, pochi minuti prima di disfarsi delle ultime esche avanzate, gli passò accanto un tronco alla deriva. La stanchezza o la fame gli fecero vedere in quel pezzo di legno marcio, casualmente avvolto in un sacco di tela sfilacciato, il corpo di sua madre.
Incupito, restituì al fiume tutto quello che aveva pescato e ritornò a casa senza pensare a niente, camminando molto lentamente per l’agitazione che gli provocava l’angoscia del ricordo, inspirando ogni tanto una boccata d’aria tiepida, in un movimento simile a quello che, qualche minuto prima, avevano fatto, guizzando, i pesci-gatto, le boghe e il piccolo dorado che era riuscito a prendere.
Passarono alcuni giorni senza che nella sua vita succedessero grandi cose. Per la prima volta da quando aveva vent’anni passò più di due settimane senza radersi. Provò nuovamente qualcosa di simile all’entusiasmo quando gli capitò l’occasione di potersi comprare la prima macchina grazie alla vendita dei terreni dietro la casa.
Non sapeva che uso avrebbe potuto fare dell’auto dato che a fare la spesa, al circolo dove andava a giocare a carte e ai suoi due lavori ci andava sempre a piedi. Ma effettivamente la macchina era stata l’unica cosa a destare il suo interesse in quei giorni bui.
Vide tre modelli. Comprò il secondo; una Ford Sierra dell’87 con tettuccio apribile e mangianastri. La usò tre volte. Poi l’abbandonò in quel capanno senza porta in cui teneva tutto quello che non aveva venduto ai robivecchi della zona.
Una notte di tempesta, Guimarey si svegliò con una febbre violenta. Tremando, con forti dolori alla bocca dello stomaco, capì che poteva essersi intossicato con la carne che aveva mangiato al circolo.
Con una tipica pioggia torrenziale estiva come sfondo, si convinse che l’unico modo per arrivare all’ospedale era prendere la Sierra. Dopo vari mesi senza averla accesa, ignorando persino se c’era ancora benzina, Guimarey montò sull’auto con una certa preoccupazione: aveva paura che quell’ipotetica intossicazione progredisse e che il quadro peggiorasse.
A metà del percorso, deserto a quell’ora tarda, accostò da un lato per vomitare dal finestrino; dopodiché si sentì un po’ meglio e pensò addirittura di fare un’inversione a U e di tornare a casa per continuare a dormire nel suo letto fino all’indomani mattina. Ci pensò su. Ci pensò su parecchio, ma era così vicino al medico che preferì proseguire.
Lungo la strada abbassò il finestrino ancora due volte per sputare la saliva amara che gli impastava la bocca. La seconda volta, quando tornò alla posizione normale di guida, sentì un suono strano a qualche centimetro dal suo orecchio destro. Immaginò che si fosse staccato qualcosa e non ci fece più caso: non gli avrebbe mai sfiorato la mente la possibilità che un boa constrictor di medie dimensioni – circa un metro e mezzo – stava sgusciando dai sedili posteriori della Sierra per cercare un posto in quelli davanti. Quando Guimarey girò la testa e i suoi occhi nervosi incontrarono gli occhi ciechi della vipera, la sterzata violenta e l’infarto si susseguirono rapidamente. Il corpo dell’ex-poliziotto fu trovato, intatto, alle prime luci del giorno. Il serpente era attorcigliato tra i pedali dell’auto e le gambe rigide di Guimarey.
In campagna, dicono, le macchine bisogna sempre tenerle, senza eccezioni di nessun tipo, con i finestrini rigorosamente chiusi.