di Sandro Moiso
Sandro Saggioro, In attesa della grande crisi. Storia del partito Comunista Internazionale «il programma comunista» (dal 1952 al 1982), Edizioni Colibrì 2014, pp. 528, euro 24,00
Da anni Sandro Saggioro si occupa, un tempo con Arturo Peregalli e poi, dopo la scomparsa di quest’ultimo, da solo, della ricostruzione minuziosa ed attenta della storia della Sinistra Comunista italiana più vicina a Amadeo Bordiga nel periodo compreso tra la catastrofica affermazione, per il movimento operaio, dello stalinismo e del marxismo-leninismo come caricatura e perversione dell’originale discorso marxiano e la morte del comunista napoletano nel 1970.1
L’attuale volume, che di fatto conclude la storia del periodo preso in esame, si spinge fino al 1982, anno in cui l’organizzazione politica, originatasi dalla separazione avvenuta all’interno del Partito Comunista Internazionalista «Battaglia comunista» tra Onorato Damen e lo stesso Bordiga nel 1951, esploderà definitivamente lasciando sul campo soltanto i cocci di un’esperienza sicuramente minoritaria ma, allo stesso tempo, significativa ed autorevole nel lavoro di ricostruzione del collegamento tra iniziativa autonoma di classe e teoria marxista.
Oggi rimangono formalmente in vita tre organizzazioni che rivendicano la stessa sigla di Partito Comunista Internazionale, ma a più di trent’anni dall’éclatement poco o nulla rimane della straordinaria capacità di analisi e previsione che accompagnò il raggruppamento di militanti strettisi intorno a Bordiga negli anni compresi tra la fine del secondo conflitto imperialista e gli anni settanta. L’opera di Saggioro, però, non intende essere agiografica né, tanto meno, soccorrere con la mitologia ciò che di quell’esperienza resta di caduco e fallimentare.
Con una ricerca dettagliata ed obiettiva, avvalendosi non solo di testi e giornali ma anche, e soprattutto, di una minuziosa indagine epistolare e un vasto lavoro di ricerca basato su testimonianze dirette di coloro che vissero quell’esperienza, l’autore delinea il percorso che condusse, a partire dal 1952, un ristretto gruppo di qualche decina di militanti a diffondere non solo in molti paesi europei, ma anche al di fuori del continente, un’interpretazione del marxismo non inficiata dalla parabola del marxismo-leninismo di marca stalinista.
La certezza che l’URSS non fosse il paese del socialismo realizzato, nemmeno in forma deviata e burocratica, era patrimonio di ben pochi, anzi pochissimi, tra coloro che, alla fine del secondo conflitto mondiale e per tutto il periodo successivo, si dichiaravano ancora marxisti e rivoluzionari. Uno dei migliori seguaci di Bordiga ed interprete di quell’esperienza, da cui si era però allontanato nel 1966, Jacques Camatte, ebbe a scrivere: “tutta l’attività doveva essere orientata verso la riappropriazione della teoria che bisognava restaurare e, in pari tempo, ritrovare l’energia rivoluzionaria delle fasi anteriori nelle generazioni che ci avevano preceduto […] Non si deve dimenticare che la seconda guerra mondiale aveva eliminato i rivoluzionari e gli scritti, i testi rivoluzionari, e che la guerra fredda congelava ogni pensiero, ogni azione entro stereotipi e strutturava una confusione generalizzata riattivando il mito dell’URSS socialista per il solo fatto che era anti-statunitense”.2
In questo senso l’opera di “restaurazione teorica” vide Bordiga impegnato in prima persona in un’analisi delle strutture economiche, sociali e politiche dell’Unione Sovietica che avrebbe avuto definitiva sistemazione in “Struttura economica e sociale della Russia d’oggi”, frutto di un rapporto esteso svolto oralmente nelle riunioni del Partito Comunista Internazionale dell’aprile e agosto 1955 a Napoli e a Genova e poi apparso sul periodico quindicinale «il programma comunista» dal n° 10 dello stesso anno fino al n°12 del 1957.3
Tale testo non fu il solo dedicato all’argomento, ma fu preceduto e seguito da altri, tra i quali vale la pena di ricordare il “Dialogato con Stalin” e “Russia e rivoluzione nella teoria marxista”.
Va sempre ricordato che Bordiga fu anche l’unico marxista occidentale ad affrontare direttamente Stalin durante il VI esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista nel 1926, chiedendogli conto del trattamento riservato a Trotzkij e agli altri membri dell’opposizione.4
Ma gli elementi di restaurazione teorica riguardavano anche le questioni nazionali e coloniali, all’epoca tutt’altro che chiuse, e soprattutto l’analisi dei rapporti di proprietà e produzione del sistema capitalistico e dell’inevitabile crisi economica e sociale che ne sarebbe ancora derivata.
Analisi e conclusioni che, al di là dell’uso che avrebbero saputo farne o meno vari epigoni e scopiazzatori, indicano, ad una non superficiale e prevenuta lettura, come ebbe a dire Liliana Grilli,5 che se “Si è voluto vedere in Bordiga l’ultimo esponente del «vetero-marxismo», intendendo con ciò un marxismo ormai superato dai tempi, inadeguato ad interpretarli, cioè il sopravvissuto «resto fossile» di un mondo del tempo passato. In realtà Bordiga (come ci rivela soprattutto nella sua riflessione del secondo dopoguerra) è stato il teorico comunista rivoluzionario a noi più contemporaneo, anzi troppo in anticipo sui tempi, guardando al suo presente con gli occhi del futuro”.6
In effetti la produzione teorica bordighiana nel periodo compreso tra il 1952 e i primi anni sessanta è enorme. E si esprime non soltanto nelle vaste ricerche presentate nelle riunioni di partito e successivamente pubblicate sull’organo ufficiale «il programma comunista», ma anche in una miriade di articoli scritti di pugno dal comunista napoletano o da lui direttamente ispirati, legati alla realtà immediata del movimento di classe o del suo diretto avversario e delle sue malefatte troppo spesso spacciate per “innovazioni”.
Da qui il ciclo di articoli sulle devastazioni ambientali prodotte dal capitalismo oppure sulle lotte operaie destinate a manifestare l’autonomia di classe contro il capitale, l’opportunismo e i traditori di ogni origine e provenienza. Le alluvioni del Polesine, le rivolte di Berlino Est, di Budapest e di piazza Statuto hanno nel Partito Comunista Internazionale di Bordiga un interprete attento, sempre schierato dalla parte della “zagaglia barbara” come anche nel caso dei conflitti anti-coloniali che si vanno risvegliando dall’Algeria al Congo. Senza contare infine che, proprio nei primi anni cinquanta, il comunista napoletano fu il primo a denunciare l’errata concezione di uno “sviluppo” basato sull’iper-produttivismo e sui consumi inutili e tutte le distorsioni sociali ed ambientali che ne derivavano.
Il risveglio delle lotte degli anni sessanta è pienamente previsto, con largo anticipo, così come la crisi che comincerà a manifestarsi a partire dalla metà degli anni settanta. Eppure, eppure…
Qualcosa viene a mancare. I muscoli politici a lungo riscaldati in vista dell’incontro tra il partito e la classe rivoluzionaria, al momento dello scoppio delle lotte, sembrano non rispondere. Soprattutto adeguatamente. Così la parabola della principale organizzazione della Sinistra Comunista italiana ed internazionale sembra seguire, pur con le dovute differenze, quella degli anarchici tra l fine del secondo conflitto mondiale e la ripresa delle lotte alla fine degli anni sessanta. Un pugno di militanti forgiati nelle lotte degli anni venti e trenta che sembrano, talvolta, spaesati se non addirittura esclusi dalla nuova composizione di classe e dai suoi comportamenti.
Probabilmente il momento di inversione ha inizio proprio con il malore che colpisce Bordiga nel 1966, che lo relega all’esilio prima nella casa di Napoli e, successivamente, in quella di Formia. Esilio fisico per le difficoltà che l’ingegnere comunista avrà nello spostarsi e che, nell’arco di breve tempo, si trasformerà anche in esilio politico dalla stessa organizzazione che aveva contribuito a formare e sviluppare. Esilio che si manifesterà in tutta la sua tragica solitudine quando, a pochi mesi dalla morte, Bordiga deciderà a rilasciare a Sergio Zavoli l’unica intervista per la televisione di tutta la sua vita.
Scambiata all’epoca, anche da militanti che gli erano stati vicini, per un atto dovuto alla senescenza del vecchio comunista, manifestava invece, e lo fa ancora a distanza di decenni, la volontà di rivendicare non un ruolo, ma un metodo. Che poi, in seguito, più nessuno seppe coerentemente applicare.
Le ultime risposte date all’intervistatore suonano come il testamento non solo di un grande comunista, ma, forse, dell’ultimo comunista, anti-stalinista e radicalmente anti-capitalista del ‘900.
Come si era giunti ad un tale distacco tra Bordiga e la sua organizzazione e tra Bordiga e la realtà che lo circondava? Così come “Le note elementari sugli studenti“, pubblicate su «il programma comunista» proprio nel maggio del 1968 ed ultima sua fatica, dimostrano nonostante lo sforzo di ribattere ancora una volta i chiodi della teoria rivoluzionaria?
Il testo di Saggioro registra tutta la parabola con obiettività e sembra non esprimere giudizi, ma il fatto che la storia del Partito Comunista Internazionale, e dei suoi satelliti, sia sostanzialmente storia di individui, a partire dallo stesso Bordiga, nonostante l’anonimato così spesso rivendicato e sbandierato, dimostra le difficoltà che quella formazione incontrò, se non in pochissime occasioni, nel tentare di capire e dirigere le nuove forme di espressione della lotta di classe.
E, forse, fu proprio l’intento “leninista” che animò quello sforzo a far venire meno il tentativo di ricostituzione del partito di classe. Soprattutto dopo la fase di isolamento e la morte di Amadeo, la convinzione di aver già risolto teoricamente tutti i problemi posti dalle lotte e dalle contraddizioni del sistema spinse la compagine a comportarsi sempre più come partito formale. Con una serie infinita di defezioni, scissioni, espulsioni e formazione di gruppi satelliti che tutto fecero, se non in pochi ed isolati casi, tranne che continuare il lavoro di sistemazione dei principi del marxismo rivoluzionario a contatto della classe, delle sue lotte e dei nuovi soggetti sociali che stavano entrando in gioco.
Bordiga aveva rivendicato da sempre una direzione collegiale del partito, così come era avvenuto nel primo PCd’I, poiché la figura del segretario generale del partito, tanto cara a Stalin e Togliatti era già frutto del processo di stalinizzazione del partito stesso ed era entrata in vigore solo dal 1926. Questa preludeva al culto della personalità cui finirono col cascare, non sempre preordinatamente, tutti i movimenti comunisti dalla Russia all’Italia alla Cina. E col tempo, anche se dispiace dirlo, anche quelli di tendenza trotzkista e bordighista.
L’unico, e comunque grande, comunista la cui modestia lo aveva sempre contraddistinto, così come la serietà e l’impegno indefesso che lo accompagnarono fin dove la forma fisica e la collaborazione di pochi compagni glielo permisero, che aveva davvero rigettato il principio staliniano e togliattiano del centralismo democratico si ritrovò tra le mani un partito in cui i formalismi burocratici ricordavano, in maniera a tratti macchiettistica, proprio i peggiori aspetti della bolscevizzazione contro cui si era tanto battuto fin dagli anni venti. Con una parabola che, nonostante l’éclatement degli anni ottanta, sembra non essersi ancora fermata tra i suoi epigoni e continuatori.
Se qualcosa di positivo rimase e rimane di quell’esperienza e di quella produzione teorica è forse più da attribuire a coloro che se ne staccarono per tempo, come Jacques Camatte o il gruppo, scomparso da decenni, della Sinistra Comunista di Torino, solo per citarne alcuni, piuttosto che ai continuatori ufficiali e ai loro figli.
Ma questo è un giudizio personale del recensore, che non intende in alcun modo inficiare il lavoro di Sandro Saggioro e la difesa di una produzione teorica con cui occorrerà ancora fare inevitabilmente i conti negli anni a venire.
Perché se, come afferma un testo dello stesso gruppetto torinese: “il partito storico può sopravvivere anche in una biblioteca”… ciò può avvenire soltanto a patto che qualcuno torni ad impadronirsi dei suoi materiali vivificandoli, poi, nel fuoco della lotta di classe.
La storia curata da Saggioro presenta, infine, un’appendice documentaria preziosissima di poco meno di duecento pagine in cui tutto il cammino, prima così brevemente sintetizzato, viene colto attraverso corrispondenze, articoli e risoluzioni che contribuiscono a svelare la passione e le intuizioni che agitarono un fuoco le cui braci non si sono ancora spente, se non negli individui, almeno per la storia futura.
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Corrado Basile – Alessandro Leni, Amadeo Bordiga politico. Dalle lotte proletarie del primo dopoguerra alla fine degli anni sessanta, Edizioni Colibrì 2014, pp. 780, euro 32,00
La monumentale opera biografica sul comunista napoletano portata a termine dai due autori è, sostanzialmente, la terza in ordine di tempo a prendere in esame la biografia politica del fondatore del PC d’I, dagli anni della sua militanza nel Partito Socialista all’inizio del ‘900 fino alla sua morte.7 Anche se l’opera migliore, per comprendere la modernità del pensiero di Bordiga resta quella pubblicata da Liliana Grilli nel 1982,8 il testo di Basile e Lenti (dovuto in gran parte alla penna del Basile) riveste una certa importanza storiografica per la vastità del materiale bibliografico utilizzato e per l’impostazione, per quanto critica, più vicina alle posizioni della sinistra bordighista rispetto a quelle della De Clementi e di Livorsi, il quale comunque dimostrò sempre e continua a dimostrare tutt’ora un grande rispetto per il dirigente comunista napoletano.
L’opera, anche se dedica poco meno di sessanta pagine al periodo compreso tra la seconda guerra mondiale e gli ultimi giorni del comunista rivoluzionario, si contraddistingue però per la vasta sezione dedicata alle schede biografiche dei principali protagonisti di quel percorso e per l’attenta ricostruzione dell’humus da cui l’esperienza della sinistra comunista italiana aveva preso avvio fin dagli anni precedenti la fondazione del PCd’I e dello stesso PSI.
Valga per tutte una citazione, tra le tante possibili, tratta da un indirizzo dei socialisti italiani al congresso di Halle della socialdemocrazia tedesca steso da Antonio Labriola e Filippo Turati nel 1890, in cui si affermava: ”mai più i proletari chiederanno ai governi borghesi quell’insidioso diritto al lavoro, che è così facile istrumento del cesarismo” (pag.21). Cosa così evidente, ma allo stesso tempo non facile da far digerire ancor oggi al movimento antagonista a 125 anni di distanza.
Nato nel 1889 da un docente di origine piemontese della scuola superiore agraria di Portici e da una nobildonna della famiglia degli Amadei, Bordiga approdò alle sponde socialiste quando era ancora sui banchi del liceo e durante la frequentazione della Facoltà di Ingegneria di Napoli.
L’antiparlamentarismo che contraddistinse la corrente socialista intransigente di cui Bordiga fece parte, prima, e il PCd’I nato a Livorno poi era già insito nel socialismo italiano e non soltanto nell’anarchismo, come alcuni interpreti pensano ancora. Lo stesso Labriola, di fatto il padre del marxismo e del socialismo scientifico in Italia, aveva infatti già definito tre chiari punti di lavoro: “a) rappresentare nettamente la dottrina socialista, b) subordinare tutto alle assemblee operaie, c) accettare l’antiparlamentarismo come bandiera“.9
Il testo ricostruisce i passaggi fondamentali dell’esperienza socialista e comunista di Bordiga, sottolineandone grandezza, meriti, schematismi e limiti nella battaglia condotta soprattutto contro il fascismo da un lato e contro l’abominio stalinista dall’altro. In cui l’ultimo intervento presso il sesto esecutivo allargato dell’Internazionale comunista brilla ancora come un faro di coraggio, chiarezza e dignità.
Nel fare questo il lavoro di Basile e Leni, indirettamente, chiarisce anche come nelle vicende legate alle ricostruzioni e decostruzioni della storia del PCd’I ad essere rimossa sia stata, per volontà di Togliatti e della storiografia di stampo staliniano, non soltanto la figura di Amadeo Bordiga, ma anche la radicalità già presente, pur con tutte le loro manchevolezze, nelle correnti rivoluzionarie del PSI. Finendo col privilegiare, e soltanto per motivi di opportunismo politico, la figura di Gramsci rispetto a quella di Bordiga. E questo, forse, dimostra come mai per decenni, dopo la caduta del fascismo, la migliore storiografia sul movimento operaio italiano sia stata riscontrabile negli studi e nelle riviste collegate all’ambiente socialista più che a quello sedicente comunista.
Meno interessanti e, a tratti, un po’ affrettati risultano invece essere la ricostruzione e il giudizio sull’ultima parte dell’esperienza politica bordighiana che, tuttavia, durò comunque quasi un quarto di secolo e per la cui comprensione risultano più utili e più equilibrate le opere di Saggioro, di Peregalli e Grilli prima esaminate o citate.
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Un’ultima annotazione va fatta in questa sede per sottolineare il coraggio e la coerenza di Renato Varani e delle sue edizioni Colibrì che da anni proseguono in una encomiabile opera di pubblicazione di opere importanti come quelle di Jacques Camatte, Giorgio Cesarano, Arturo Peregalli,10 oltre a quelle appena segnalate di Saggioro e moltissime altre ancora. Poiché abbiamo ancora tutti bisogno di un editore e di una casa editrice come questi, lontani per scelta dalle mode e dalle banalità contingenti.
Di Sandro Saggioro con Arturo Peregalli si possono consultare i seguenti testi:
Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì, Milano 1998
Amadeo Bordiga 1889-1970. Bibliografia, Colibrì 1995
Amadeo Bordiga. Gli anni oscuri 1926 – 1945 (con appendice documentaria), Quaderni Pietro Tresso n°3, gennaio 1997Mentre del solo Saggioro sono disponibili:
Né con Truman né con Stalin. Storia del Partito Comunista Internazionale (1942-1952), Edizioni Colibrì 2010
Scienza e politica in Amadeo Bordiga, Quaderni Pietro Tresso n°64, marzo 2008 (frutto della relazione presentata al convegno su «Scienza e politica in Amadeo Bordiga» tenutosi nel 2002 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Milano)Va infine ricordato che Sandro Saggioro è anche il curatore del sito Avanti Barbari! dedito alla pubblicazione di materiali, editi ed inediti, riguardanti la storia e la teoria della Sinistra Comunista italiana. ↩
Jacques Camatte, Verso la comunità umana, Jaka Book, Milano 1978, pp.7-8 ↩
Tale testo è stato ripubblicato senza indicazione dell’autore dalle edizioni il programma comunista nel 1976 e, con indicazione dell’autore ma con un’introduzione a dir poco indecente, dalle edizioni Lotta Comunista nel 2009 ↩
Così come mette bene in risalto anche Edward H. Carr in Storia della Russia sovietica. III Il socialismo in un solo paese 1924-26. Vol. 2° La politica estera, Einaudi 1969 ↩
Docente di storia ed assistente di Giorgio Galli, il primo storico che abbia scritto, alla metà degli anni cinquanta, una storia del PCI lontana dall’impianto togliattiano e staliniano all’epoca dominante ↩
Liliana Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, La Pietra , Milano 1982 ↩
Le altre due sono:
Andreina De Clementi, Amadeo Bordiga, Einaudi 1971 (che prende in esame soltanto il periodo compreso tra la milizia giovanile nel PSI e gli anni della stabilizzazione staliniana e la sconfitta della sinistra bordighista alla fine degli anni venti)Franco Livorsi, Amadeo Bordiga. Il pensiero e l’azione politica 1912 – 1970, Editori Riuniti 1976.
Livorsi fu anche il primo a pubblicare, al di fuori degli ambienti bordighisti, una antologia di scritti che coprivano lo stesso periodo:
Amadeo Bordiga. Scritti scelti, Feltrinelli 1975 ↩Liliana Grilli, op.cit. ↩
Lettera del gennaio 1891 ↩
di cui si coglie qui l’occasione per segnalare:
Arturo Peregalli – Mirella Mingardo, Togliatti Guardasigilli 1945 – 1946, edito nel 1998 ↩