di Antonia Cosentino Leone
Barbara Bonomi Romagnoli, Irriverenti e libere. Femminismi del nuovo millennio, Editori Internazionali Riuniti, 2014, pp. 224, € 16,00
Il titolo provocatorio e una copertina divertente, disegnata da Anarkikka, non lo farebbero pensare, ma il libro di Barbara Bonomi Romagnoli è, o è anche, un libro di storia.
A oggi una storia compiuta del femminismo in Italia non è ancora stata scritta. Numerose sono le questioni storiografiche al riguardo: prima fra tutte la frammentarietà del movimento, o per meglio dire dei movimenti, tanto da far parlare di femminismi piuttosto che di femminismo. L’esperienza femminista ieri come oggi ha, infatti, visto confluire in sé pratiche molto diverse tra loro, geograficamente e metodologicamente. C’è poi la questione delle fonti: i movimenti hanno spesso avuto la baldanzosa pretesa di essere la storia, già nel loro vivere, e poco si sono preoccupati di conservare documenti, volantini, cartelli delle manifestazioni, materiali indispensabili per la ricostruzione storica. Terzo elemento: la vicinanza temporale degli eventi, che naturalmente complica il lavoro.
Femminismi del nuovo millennio, il sottotitolo del testo, descrive esattamente cosa il libro conserva nelle sue pagine. Una ricostruzione a puzzle delle realtà femministe italiane dagli inizi degli anni 2000 fino a oggi, con qualche salto indietro. Il puzzle è composto a partire dalle esperienze e dalle relazioni dell’autrice e ha come timone principale quello di raccontare storie che hanno avuto poco spazio sui media. Averle raccolte ha un valore storiograficamente importantissimo, significa cristallizzare le diverse realtà e le loro pratiche in un patrimonio che non andrà perduto. Un regalo a chi fra dieci, venti, trent’anni cercherà quella storia e a chi vorrà scriverla compiutamente. Ecco perché è un libro di storia, ma è anche un racconto in fieri e in continuo movimento, come la stessa autrice lo definisce nelle conclusioni, consapevole che quanto ha scelto di raccontarci è solo una parte del tutto, sia da un punto di vista geografico che temporale. Un libro che si potrebbe continuare a scrivere ancora e che chissà che non abbia un seguito. Due criteri a guidare la selezione: il “partire da sé” femminista e il desiderio di dare voce a realtà spesso rimaste silenziose perché lontane dai riflettori dei media.
Nel sottotitolo si parla di femminismi per mettere in evidenza subito la frammentarietà del movimento, sua peculiarità negli anni Settanta e Ottanta e ancora oggi: “spezzatino”, scrive Lidia Campagnano nella prefazione, che “forse parla di una sopravvivenza-resistenza come controcanto all’epoca minacciata dal pensiero unico – ammesso che ancora si possa parlare di pensiero”.
Sopravvivenza-resistenza perché le questioni poste negli anni Settanta hanno avviato cambiamenti dalla portata rivoluzionaria, ma la rivoluzione non è ancora compiuta. Il femminismo è, quindi, necessario quanto ieri, se non addirittura più di ieri. E ciò nonostante, oggi, questa parola nella narrativa dominante sembra aver assunto connotazioni ghettizzanti tali da dare il fianco a campagne di opposizione mediatica di stampo conservatrice.
Il libro di Barbara Bonomi Romagnoli nel viaggiare da Nord a Sud per descrivere le numerose esperienze, non tutte riuscite e non tutte esenti da critiche, dei diversi gruppi – da Le Betty a Le Acrobate, dalle Cagne sciolte a Le Sommosse e a Le TerreMutate – restituisce valore a questa parola, banalizzata come guerra delle donne contro gli uomini.
Secoli dopo Olympe De Gouges, autrice all’indomani della Rivoluzione francese della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (che all’articolo 12 recita: “La garanzia dei diritti della donna e della cittadina deve avere il più esteso utilizzo; questa garanzia deve essere istituita per il vantaggio di tutti, e non per il particolare beneficio di quelle alle quali è concessa”), siamo di nuovo di fronte all’urgenza di sottolineare che le battaglie del femminismo sono battaglie per diritti che andrebbero riconosciuti a vantaggio di tutte e tutti. Le donne, escluse dalla cittadinanza, o meglio incluse ma omologate in un generico cittadini, hanno ancora molta da strada da percorrere. Penso, solo per fare un esempio, alla maternità, considerata ancora un handicap tutto femminile nel mercato del lavoro. Difficilmente agli uomini viene chiesto qualcosa in merito al proprio desiderio di paternità durante un colloquio di lavoro. Per le donne la domanda è d’obbligo. Quasi mai sono preferite rispetto agli uomini a parità di competenze. La genitorialità non è una condizione condivisa, ma gestita come se pertenesse ancora solamente alla donna. Almeno nella sfera privata. Perché nella sfera pubblica torna a essere proprietà del padre. Ognuno e ognuna di noi oggi porta il cognome del padre e non quello della madre, o entrambi. Non è un caso se l’autrice, nel firmare il suo lavoro, sceglie di usarli entrambi: è un gioco o una protesta provocatoria per una possibilità che nel nostro Paese non è ancora realtà. Accanto alla cittadinanza incompiuta, i diritti conquistati da non dare mai per scontati, ma sempre difesi strenuamente: uno su tutti, il diritto di autodeterminazione delle donne. La legge 194 è, di fatto, sotto continuo attacco e molto spesso inapplicata in Italia, dove l’obiezione di coscienza raggiunge percentuali spaventose.
Ma chi sono le femministe raccontate da Barbara Bonomi Romagnoli? Molte sono le famigerate “giovani” di cui tanto si parla, soprattutto all’interno del dibattito femminista, perché preoccupazione costante del femminismo è stata proprio quella del passaggio del testimone. Passaggio che Irriverenti e libere dimostra essere avvenuto, essendo il femminismo da lei raccontato materia viva e in movimento – spesso attiva con pratiche nuove, come l’ironia e la frivolezza tattica, ma non necessariamente rinnegando quelle del passato, come la scelta del separatismo, indispensabile perché venga fuori il soggetto imprevisto di cui parlava Carla Lonzi.
Il libro tesse una tela tra le diverse pratiche, mette in relazione le esperienze, come oggi molto spesso fa Internet, pone questioni importanti che andrebbero riprese, una fra tutte quella della sessualità, ma soprattutto restituisce valore alla parola “femminista”, perché oggi come ieri essere femministe, come scrivono le donne di Femminile Plurale, significa “essere coscienti di vivere ancora in un sistema di dominio e di oppressione che penalizza in primis (ma non solo) le donne. Una società che a livello economico, sociale e culturale le costringe a ruoli limitati e offre modelli stereotipati e non liberi. Non solo, a partire da questa consapevolezza essere femministe significa assumere una posizione di resistenza contro questo sistema, con l’intento di modificarlo radicalmente per mezzo della propria vita e della pratica politica… essere femministe vuol dire riconoscere nella politica delle donne un senso alto del fare politica, coincidente con una serie di pratiche capaci di produrre quelle trasformazioni strutturali di cui il nostro tempo ha sempre più bisogno. Non possiamo delegare allo Stato un cambiamento ‘sistemico’, giacché questo può prodursi non per il mero tramite di decisioni statali imposte dall’alto o da una struttura che appartiene in pieno al sistema che si vuole modificare. Il cambiamento si dà attraverso pratiche politiche capaci di generare nuovi modi dello stare insieme”.
Da questo punto di vista, Irriverenti e libere può essere uno strumento utile sia per le giovani protagoniste dei movimenti che per chi non li conosce, ma cerca nuove pratiche e nuovi percorsi di liberazione.