di Alexik
[A questo link il capitolo precedente.]
Kwale e Okpai (Nigeria/Delta State) sono comunità Ndokwa al centro della concessione Eni OML 60. Sui loro territori gravitano una grande stazione di flusso ed una centrale a gas per la produzione di energia elettrica, l’Independent Power Plant (IPP).
Per questi impianti l’Agip si era impegnata con un memorandum del 2000 ad attuare azioni compensatorie verso le comunità ospitanti. Undici anni dopo lo stato di attuazione dell’accordo era il seguente: “Si sono impegnati ad assumere personale delle comunità, però hanno messo sotto contratto solo due persone. Si sono impegnati a pagare un affitto per la terra occupata, ma dal 1987 ad oggi non abbiamo visto un soldo”1.
L’affidabilità dell’Agip è diventata ormai proverbiale in tutta la nazione Ndokwa, così come la sua promessa di illuminare con l’energia elettrica prodotta ad Okpai le comunità residenti nel raggio di 50 chilometri. Al completamento dell’impianto IPP, dei 480 megawatt prodotti 450 presero la strada delle regioni dell’est, 30 vennero utilizzati dall’Eni stessa, mentre le comunità attorno alla centrale continuarono a rimanere al buio2. Beh, in realtà non proprio al buio … visto che l’Agip provvede ad illuminare Kwale 24 ore su 24 con le torce del gas flaring.
Oltre alla luce, non si può poi dire che l’Agip faccia mancare l’acqua. Per la costruzione della centrale di Okpai vennero prelevate dal letto del Niger grandi quantità di sabbia, e a questi scavi gli abitanti imputano il cedimento delle sponde. Una volta franato l’argine, la piazza del mercato e le case intorno sono state inghiottite dal fiume, il centro medico distrutto3.
Ma a dispetto di questi dettagli, l’IPP di Okpai rimane il fiore all’occhiello delle politiche verdi dell’Eni in Nigeria. L’impianto ha ricevuto dalla United Nations Framework Convention on Climate Change lo status di “progetto qualificato a generare crediti di carbonio”, come previsto dal Protocollo di Kyoto. In pratica l’Agip viene premiata con “certificati verdi” (CER), perché utilizza nell’IPP una parte del gas prodotto dalle sue perforazioni petrolifere invece di convogliarlo verso le torce del gas flaring4.
A nulla vale obiettare che il gas in torcia non dovrebbe proprio finirci, perché il gas flaring è formalmente vietato dalla legge nigeriana: l’ Associated Gas Reinjection Act del 1979 aveva fissato infatti al 1° gennaio 1984 il limite ultimo per porre fine a tale pratica. Il validatore del progetto ha già risposto che è vero, la legge c’è, ma visto che tutti se ne fottono è come se non ci fosse5. Pertanto l’Agip va premiata, anche se continua a produrre milioni di tonnellate di CO2 convogliando in torcia il gas a Kwale, Ogbainbiri, Akri, Obama, Ebocha, Oshie6, alla faccia di Kyoto e di tutto il Protocollo.
Del resto anche lo Stato nigeriano, che in teoria dovrebbe essere il garante delle sue stesse leggi, guadagna bei soldi dal gas flaring intascandone le penali. Nel 2012 l’Agip ha pagato penali per circa 682.000 $, di cui nulla è arrivato alle comunità colpite7.
L’Independent Power Plant di Okpai doveva servire anche a spegnere le torce della vicina Kwale. Lo sosteneva anche l’ex A.D. Paolo Scaroni all’assemblea generale dell’Eni del maggio 2011: “A Kwale sono installate 6 torce di gas flaring, ma dal 2005, quando fu commissionato l’impianto di Okpai, il gas flaring è stato sensibilmente ridotto. Lo “Zero gas flaring” alla stazione di flusso di Kwale è pianificato per giugno 2011”.
Lo “zero gas flaring” di Kwale possiamo verificarlo anche noi nella foto accanto, scattata nel settembre 2011. L’autore, Luca Tommasini, accompagnava una delegazione di ONG. Questo è il loro report: “Quello che rimane evidente è il chiarore delle enormi fiamme del gas che l’Agip continua a bruciare a cielo aperto nel centro di raccolta e processamento di Kwale. Fiamme alte decine di metri e che, come le altre di Ebocha, fanno un rumore assordante”8. “Gli abitanti di Kwale e Okpai testimoniano che la costruzione dell’IPP non ha ridotto il flaring, che continua 24 ore al giorno, e loro continuano a soffrire dello stesso impatto di prima. La mancanza di controlli ambientali e cure mediche lascia le comunità prive di assistenza istituzionale… la maggior parte delle malattie non sono registrate ufficialmente. I tetti delle case di Okpai e del piccolo insediamento vicino all’IPP sono corrosi dalle piogge acide, che sono cadute continuamente negli ultimi anni”9.
Ormai l’annuncio della fine del gas flaring a Kwale è diventato una sorta di tradizione che si ripete anno dopo anno ad ogni nuova assemblea dell’ Eni. L’unica cosa che cambia è la data, ogni volta spostata in avanti. Attualmente l’ultima promessa è quella di “azzerare entro il 2017 i volumi di gas connessi all’estrazione del greggio e bruciati in torcia” in tutta la Nigeria10. Solo 33 anni in ritardo rispetto ai termini previsti dalla legge nigeriana, e senza nessun cenno alle bonifiche dei territori devastati, ai risarcimenti per le popolazioni colpite, alle cure per chi di questa devastazione muore.
Ma sarebbe ingeneroso ridurre l’attività nigeriana dell’Eni agli inquinanti delle torce, alla carta straccia degli accordi o alla corruzione di politici e militari. Ci sono settori in cui la nostra industria petrolifera si dimostra all’avanguardia, superando di gran lunga i risultati della più agguerrita concorrenza. Per esempio, nonostante l’Agip in Nigeria operi in un territorio molto più ristretto di quello della Shell, gli spandimenti di petrolio dai suoi oleodotti sono praticamente il doppio.
“E’ successo lunedì … ero andata a controllare le trappole per i pesci. Tutti nella comunità sanno che è la mia principale fonte di sopravvivenza, perché non ho figli che si prendano cura di me. Quando ho raggiunto l’area attorno all’oleodotto ho sentito come un rumore nell’acqua. Mi sono avvicinata con la canoa e ho visto il petrolio greggio che ribolliva, spandendosi lungo la corrente. Quando mi sono avvicinata alle trappole, l’intera zona, dove io ed altre donne della comunità andiamo a pescare, era ricoperta di petrolio”.
La testimonianza è di Oron Peter, un’anziana della comunità Ijaw di Ikeinghenbiri (Bayelsa state). Non è la prima volta che succede. L’Agip costruì l’oleodotto che passa sotto il fiume Ikebiri nel 1993, e in seguito vi innestò una seconda linea. “C’è già stata una perdita, in passato, nella congiunzione fra le due linee, causata da un errore di una squadra di lavoro. – dice Marshal Amabebe Josiah, presidente del Ikeinghenbiri Community Development Committee – La nostra comunità ha chiesto più volte all’Agip un risarcimento danni, ma la compagnia non ha voluto sentire ragioni. Poi c’è stata un’altra perdita che l’Agip non ha potuto negare. Ci ha dato dei materiali di soccorso, ma fino ad oggi si è rifiutata di pagare i danni alla comunità e ai singoli. Piuttosto ci ha portati in tribunale.”11.
A Emago (Rivers State) il 22 gennaio 2011 dopo la falla nell’oleodotto è divampato l’incendio. L’Agip riuscì a spegnere le fiamme dopo cinque giorni, ma non completamente. Le colonne di fumo continuarono ad alzarsi per diverso tempo. Fuoco e petrolio hanno distrutto campi, fattorie, boscaglia, ma soprattutto hanno contaminato il fiume, l’unica fonte d’acqua.
“Puoi vedere quanto casa mia sia vicina al fiume inquinato. E noi viviamo lì con i bambini, davanti a quel veleno giorno dopo giorno. Non è facile, soprattutto se non hai possibilità alternative per vivere, usare l’acqua, respirare. Non è la prima volta che sperimentiamo l’inquinamento petrolifero nel fiume, ormai sarà la decima volta. La compagnia coinvolta non è mai è venuta a ripulire”.
“L’anno scorso ci sono state diverse perdite di petrolio nel nostro territorio. I nostri mezzi di sopravvivenza sono stati seriamente colpiti … Nei fatti, stiamo morendo. L’anno scorso abbiamo perso dei bambini in questa comunità, come risultato dell’inquinamento della nostra unica fonte d’acqua. Sono morti molti bambini con gli stessi sintomi: problemi gastrici”.
“Uno degli aspetti più fastidiosi è la modalità di risposta dell’Agip. La compagnia ispezionerà il luogo con uomini in uniforme militare o con giovani armati, chiuderà la falla e scomparirà fino a quando un’altra perdita non ripeterà il rituale. Non inviteranno mai la nostra gente a presenziare alle ispezioni per accertare le cause dello spandimento, né ritorneranno per bonificare l’ambiente”.12.
Gli stessi scenari, le stesse situazioni si ripetono di continuo nel Delta del Niger, costringendo la vita quotidiana ad adattarsi al disastro ambientale permanente. (Continua)
Nota: La foto di apertura è di Luca Tommasini: abitazione nei pressi della centrale IPP di Kwale- Okpai.
Dichiarazione di Francis Obegbo, in: Luca Manes, Elena Gerebizza, Il Delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria, Allegato al numero 133 di Altreconomia, dicembre 2011, p. 14. ↩
Eni SpA, Assemblea degli azionisti Eni – Domande dell’azionista Osayande Omokaro, Environmental Rights Action Nigeria, 5 maggio 2011. Eni SpA, Assemblea Ordinaria. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/19981. Domande pervenute dall’azionista Fondazione Culturale Responsabilità Etica (titolare di 80 azioni), 10 maggio 2013 ↩
Luca Manes, Elena Gerebizza, Op. cit., p. 16. ↩
UNFCCC, CDM – Executive Board, Project design document form. Recovery of associated gas that would otherwise be flared at Kwale oil-gas processing plant, Nigeria, luglio 2004, p. 62. ↩
Det Norske Veritas, Validation report. Recovery of associated gas that would otherwise be flared at Kwale oil-gas processing plant, Nigeria, Report no. 2006-0813, p. 6. ↩
L’elenco delle località con torce attive è tratto da: Eni SpA, Assemblea Ordinaria. Risposte a domande pervenute prima dell’Assemblea ai sensi dell’art. 127-ter del d.lgs. n. 58/19981. Domande pervenute dall’azionista Fondazione Culturale Responsabilità Etica (titolare di 80 azioni), 10 maggio 2013, p. 19. ↩
Idem. ↩
Luca Manes, Elena Gerebizza, Op.cit. p. 14. ↩
CEE Bankwatch Network, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Environmental Rights Action, Les Amis de la Terre, The Corner House, The reality behind EU “energy security”. The case of Nigeria, novembre 2011, p.8 ↩
Celestina Dominelli, L’ Eni porta a zero il “gas flaring”, Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2013. ↩
Environmental Rights Action, Field report n. 342, 18 settembre 2013 ↩
Le testimonianze di Fubi Robin, J.O. Walters-Imodo, Adiembo Nwadighi Maestepen, sono tratte da: Environmental Rights Action, , Field report n. 259, 8 aprile 2011; Environmental Rights Action, Field report n. 255, 4 febbraio 2011 ↩