di Alexik
[A questo link il capitolo precedente.]
“L’aria è calda e secca, prende alla gola. Le fiamme bruciano giorno e notte, lasciano cicatrici sulla terra e sulla mia pelle. Vesciche secche mi ricordano che avrei dovuto mantenere le distanze. Mentre continua a bruciare attraverso un’altra alba, mi chiedo, quante altre saranno sfigurate prima che il fuoco si sazi”. (G. Gilliam, Oshie flare)
“Le torce del gas flaring sono ovunque nella regione del delta del Niger, ma poche sono drammatiche come l’Oshie flare, di proprietà della compagnia petrolifera italiana Agip”. (C.Hondros, The price of oil)
Quando l’Agip arrivò ad Akaraolu (Nigeria/Rivers State) nel 1972, gli abitanti danzarono in suo onore. La compagnia petrolifera avrebbe costruito una nuova stazione di flusso, e soprattutto la strada di accesso all’impianto: un miglioramento notevole per i trasporti e i commerci con i paesi vicini. Ma nessuno degli emissari dell’Agip diede al Consiglio degli Anziani una definizione chiara di “gas flare”, o li mise in guardia sui potenziali effetti sul villaggio.
Nessuno gli disse che “gas flare” significa bruciare in atmosfera il gas prodotto dalle perforazioni petrolifere, quando l’investimento per convogliarlo, liquefarlo o ripomparlo nel sottosuolo viene ritenuto troppo oneroso.
Nessuno gli disse che non avrebbero più visto il buio, che non avrebbero più dormito, che avrebbero dovuto gridare per parlarsi, che l’aria sarebbe diventata rovente. Nessuno gli disse che gli sbalzi di pressione del flusso del gas che alimenta la fiamma fanno tremare la terra e crepare i muri delle case.
Da quando è stata eretta l’Oshie flare, una torcia alta 300 piedi, i 2.000 abitanti di Akaraolu non hanno più conosciuto la notte: quando il sole tramonta, ci pensa l’Oshie flare a soppiantarne la luce col suo bagliore, ad offuscare le stelle.
Greg Campbell, giornalista freelance, descriveva così la situazione nel 2001: “Le temperature possono superare le massime giornaliere da 10 a 30 gradi, e diventano mortali se ci si avvicina troppo alla fiamma. …..Nel raggio di 200 yarde le palme sono marroni e fragili, e l’acqua è troppo calda per la vita dei pesci… Gli abitanti dicono che il calore e il rumore allontanano la fauna selvatica …. e che anche i suoli sono danneggiati, e producono ogni anno raccolti di cassava e patate sempre più magri. Le donne abortiscono con maggior frequenza per lo stress e il calore … e gli uomini pisciano sangue, una patologia non diagnosticata che gli abitanti attribuiscono alla fiamma … L’inquinamento corrode i tetti di zinco. Molti edifici, inclusa la scuola, hanno buchi rugginosi spalancati sui tetti, che trasformano le stanze in docce durante i sei mesi della stagione delle piogge. Ironicamente, la torcia brucia energia in atmosfera davanti ad un villaggio che non ha la corrente elettrica… C’è un solo generatore ad Akaraoulo, e funziona quando c’è la benzina per alimentarlo”1.
Prima di andare a morire in Libia anche Chris Hondros, fotoreporter di guerra, documentò gli “effetti collaterali” dell’Oshie flare: “Il braccio di Dagogo Joel venne bruciato dall’Oshie flare quando era bambino. La torcia, adiacente ad Akaraolu, il villaggio di Joel, ogni tanto vomita liquidi in fiamme nelle campagne, e così ha bruciato il braccio di Joel che stava pescando con suo padre”.
“Il paese è schiacciato da una completa povertà, nonostante i milioni di dollari del petrolio che sgorga dalla sua terra ogni anno”2.
Alla fine degli anni ’90, dopo aver richiesto invano l’attenzione dell’Agip e del governo, gli abitanti di Akaraolu hanno provato a ribellarsi occupando la strada che porta all’impianto. L’attenzione in questo caso è arrivata in fretta, sui blindati dei reparti antisommossa. Gli uomini di Akaraolu sono rimasti in galera per mesi. Ora, nelle interviste raccolte da Patrick Naagbanton per Sahara Reporters, sembra prevalere la rassegnazione:
“Nel corso degli anni Eunice ha guidato diverse proteste pacifiche contro la compagnia petrolifera italiana. Le proteste volevano costringere l’azienda a fornire loro l’acqua, un centro medico e altre infrastrutture di base. Ha detto che si era stancato di lottare perché non hanno ottenuto nulla dalla società o dal governo… Segni di frustrazione e rabbia erano molto visibili sul suo volto”.
Il reportage di Naagbanton del settembre 2013 continua descrivendo le condizioni di degrado, inquinamento, militarizzazione:
“La strada stava cadendo a pezzi, rendendo così il tragitto poco confortevole. Avevamo percorso circa due chilometri, quando un enorme camion militare ha accelerato verso di noi in senso opposto. L’uomo in moto era spaventato… mi ha consigliato di non parlare con loro perché così non ci avrebbero uccisi… Stavano tornando dalla stazione di flusso Agip di Akala-Olu alla loro base per farsi sostituire da un’altra squadra …
Ad un chilometro dalla comunità i cartelli “Restricted Area. Vehicles not allowed” sono dappertutto, fra la strada ed i terreni fertili. E’ pieno di condutture disseminate tutt’intorno. Due grossi tubi, uno dei quali vomita costantemente nuvole di fumo nero, mi hanno portato al villaggio di Akala-Olu…
La notte di Akala-Olu cade dall’atmosfera come una piaga. I tre pesanti generatori utilizzati per la produzione di petrolio, la turbina e la fiamma selvaggia provocano un inquinamento acustico shoccante e rilasciano un calore senza precedenti”.3
La stessa situazione viene descritta da un abitante ad Al Jazeera: “Quando piove beviamo gas, e la comunità di Akaraolu vive sotto il fuoco. Il mondo intero deve sapere che la comunità di Akaraolu sta vivendo nel fuoco, sta vivendo in servitù per colpa dell’Agip”4.
A Ebocha, un paese di agricoltori e pescatori in territorio Ogba, nella regione del Rivers State, l’Agip cominciò ad estrarre petrolio nel 1970. Quarant’anni dopo queste sono le testimonianze degli abitanti:
“Prima vivevamo in un paradiso che ci forniva tutto quello di cui avevamo bisogno, adesso le cose continuano a peggiorare, l’ambiente si deteriora e la povertà è in aumento”.
“Ora nemmeno con tre o quattro semine riusciamo a far fronte ai nostri bisogni. Basta vedere che prima per raccogliere la cassava dovevi tagliarla, ora le radici sono così piccole e avvizzite che si può prendere con le mani senza fare il minimo sforzo”5.
“La maggior parte di questi oleodotti – dice Dandy Mgbenwa, del Community Development Committee – è qui da più di 30 anni, per questo necessita di urgenti riparazioni perché le perdite sono dappertutto. Ci sono più di 100 falle fra Ebocha e l’Orashi River. In cento metri puoi contare sei perdite, che hanno causato l’ultimo incendio. L’incendio è il risultato della perdita dall’oleodotto che va dal campo petrolifero di Obiafu all’impianto di Obi-obi, una perdita che è rimasta lì per un sacco di tempo, molto vicina alla strada usata dalle donne per andare nei campi e al mercato. Uno dei veicoli che trasportano le donne, passando sul petrolio è uscito di strada. L’autista é morto e i passeggeri sono rimasti feriti. L’Agip deve sostituire subito queste tubazioni”. 6.
All’ingresso del paese, le torri dell’Agip bruciano, da più di 40 anni e per 24 ore al giorno, il gas di scarto dell’estrazione del greggio. Come ad Akaraolu, avvicinandosi alle torce il calore e il rumore si fanno insopportabili. Il rumore impedisce il sonno, e il fetore di idrocarburi prende allo stomaco.
“La gente che abita in quell’area, quando viene qui, dice di avere un bruciore interno … e che non dorme per il rumore…. Dicono ogni volta che è come se la casa dovesse esplodere”, racconta Anthonia Chioma, dell’ Ebocha-Egbema’s General Hospital. “Puoi sentire il rumore da qui … è come qualcosa che sta cadendo dall’alto”7.
Il gas flaring produce tonnellate di CO2, monossido di carbonio e metano, provoca la ricaduta sul villaggio di particolato tossico: composti organici volatili, biossido di zolfo, anidride solforosa, metalli pesanti, benzene, toluene, xylene, idrocarburi policiclici aromatici, nero fumo. La Canadian Public Health Association ha inventariato 250 tossine prodotte dal gas flaring, praticamente l’intero repertorio delle nocività: cancerogeni, mutageni, teratogeni, tossici per il sistema nervoso, per il cuore e per i filtri del corpo8. La pioggia di Ebocha li raccoglie e diventa corrosiva. Rovina tutto, acidifica e inaridisce i suoli9, distrugge i tetti di lamiera, figuriamoci i polmoni e la pelle degli umani. Gli effetti hanno un ampio raggio e arrivano anche nelle comunità vicine di Mgbede, Okwizi, Agah, Ekpeaga.
I suoli di Ebocha sono intrisi di metalli pesanti: nichel, vanadio, cadmio, rame e piombo che bioaccumulano negli organismi di piante e animali entrando nella catena alimentare10. Anche l’acqua è inquinata, la pesca è diventata impossibile. Una ricerca pubblicata lo scorso giugno rileva nelle acque del fiume Ebocha una concentrazione di nichel superiore ai limiti FEPA per l’acqua potabile, e notevoli livelli di idrocarburi policiclici aromatici (12,4 μg/l, cioè 124 volte superiore al valore di parametro UE per l’acqua potabile), con prevalenza di benzo (b) fluorantene e benzo (1,2,3-cd) pirene11.
A Ebocha il dottor Elekwachi Okeyla addebita al gas flaring la dimensione epidemica delle affezioni respiratorie (bronchite e l’asma) e oftalmiche12, così come Elder Dandy, coordinatore dell’Host Community Network: “Ieri abbiamo tenuto due funerali di persone decedute in maniera prematura, d’altronde le malattie della pelle e quelle respiratorie, nonché le morti dei neonati dopo il parto, sono ormai una costante”13. “Da quando è iniziato il gas flaring – dice Tom Chukwudi, segretario dell’ Ebocha Council of Chiefs – ha cominciato a causare molte deformità”14.
La vicinanza alle torce provoca l’aumento delle temperature corporea, disidratazione, ipertensione, affezioni renali, disturbi del ciclo sonno/veglia, alterazioni del metabolismo dei lipidi15.
Quanto agli effetti cancerogeni, i dati raccolti dal reparto oncologico di Port Harcourt, riferiti a comunità del Delta esposte alle stesse nocività di Ebocha, chiamano in causa direttamente la Shell e l’Agip per l’eccesso di tumori all’apparato riproduttivo (maschile e femminile), al fegato e all’apparato gastrointestinale16.
Ovviamente tutto questo all’Eni non risulta. Rispondendo alla denuncia di Amnesty International sulla situazione a Ebocha, la compagnia sostiene che “al momento non abbiamo nessuna evidenza in merito ai problemi di salute causati dal gas flaring. Questa è la prima lamentela che riceviamo, e non ne abbiamo mai ricevute da altre comunità che vivono vicino al gas flaring”. E ancora: “Le lamentele riguardo agli impatti negativi sulla salute non sono supportate da nessuna statistica medica”17. Forse perché su Ebocha non esistono statistiche mediche, o perchè la maggior parte dei malati sfugge ad ogni possibile rilevazione, visto che non ha i mezzi per curarsi e non accede ai servizi sanitari. A Ebocha molte famiglie vivono con meno di 100 naira (0,50 euro) al giorno, in un territorio dove l’Eni estrae ogni giorno 50mila barili di petrolio.
Comunque, dal tenore della risposta. sorge il dubbio che l’Eni non legga neanche i propri documenti interni, che parlano di “effetti del gas flaring a lungo termine e irreversibili”, e di un impatto significativo di tale pratica a livello di inquinamento atmosferico, acustico e termico18. Evidentemente è un po’ distratta. Del resto non le risulta neanche che il gas flaring ad Ebocha continui ad esistere.
Durante l’assemblea del 5 maggio 2010, i vertici del gruppo assicuravano agli azionisti di aver completato con successo il progetto “Gas Ebocha Early Recovery” per per il recupero e la compressione del gas19. La stessa versione è leggibile nel pamphlet propagandistico ENI for 2012, dove si attribuisce particolare rilievo al “progetto di “Ebocha gas Recovery” che ha comportato il flaring down della stazione nel 2010”.
Peccato che gli abitanti di Ebocha non se ne siano accorti. Non se ne è accorto il fotografo Luca Tommasini, che nel settembre 2011 ha filmato le torce mentre continuavano a bruciare allegramente (guarda il suo documentario “Oil for nothing” qui), e nemmeno i ricercatori dei dipartimenti di chimica delle Università di Lagos e Kwararafa, che nel 2014 hanno misurato ad Ebocha gli effetti del gas flaring sul PH della pioggia. Lo studio ha rilevato come “i campioni raccolti in luoghi e tempi differenti mostrino un significativo livello di acidità che causa danni alle proprietà e alle colture”, acidificando i suoli e abbattendone la flora batterica20. Intervistati nel corso della stessa indagine, gli abitanti di Ebocha continuano caparbiamente ad affermare che “il gas flaring gli sta rovinando la vita e togliendo i mezzi di sussistenza”. (Continua)
Nota: La foto di apertura è di Chris Hondros: A bird flies near the roaring column of flame.
Greg Campbell, That giant, roaring, gas torch next door,The Christian Science Monitor, 1 maggio 2011; Greg Campbell, The Price of a Barrel of Oil, The Earth Times 14 maggio 2001; Greg Campbell, No amount of crying extinguishes a single flare in Niger Delta, Africaservice, 8 giugno 2001 ↩
C.Hondros, The price of oil ↩
Patrick Naagbanton, A Night in Akala-Olu Fire, Part 2, Part. 3, Sahara Reporters, 16 e 17 settembre 2013. ↩
Nigeria’s gas flaring: complaints of pollution and illness,Al Jazeera English, 4 luglio 2010. ↩
Luca Manes, Elena Gerebizza, Il Delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria, Allegato al numero 133 di Altreconomia, dicembre 2011, p. 32. Le testimonianze riportate sono frutto della missione sul campo realizzata nel settembre 2011 dalla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, da The Corner House, e da CEE Bankwatch Network, con l’aiuto del Environmental Rights Action. ↩
Environmental Rights Action, Field Report #243 : Agip pipeline leaks gas in Ebocha Community, 22 ottobre 2010 ↩
Ofeiba Quist-Arcton, Gas Flaring Disrupts Life in Oil-Producing Niger Delta, National Public Radio, 24 luglio 2007. ↩
Canadian Public Health Association, CPHA resolution n. 3 2000: Gas flaring. ↩
Nwaogu, L.A., G.O.C. Onyeze, Environmental Impact of Gas Flaring on Ebocha-Egbema, Niger Delta, Nigeria Journal of Biochemistry and Molecular Biology, 25(1), pp. 25/30. ↩
Osuji, L. C., and C. M. Onojake, Trace heavy metals associated with crude oil: A case study of Ebocha-8 oil-spill-polluted site in Niger Delta, Nigeria, Chemistry & Biodiversity. ↩
Ujowundu, C. O., Ajoku C.O. Nwaogu L. A., Belonwu, D. C., and Igwe K.O., Toxicological Impacts of Gas flaring and Other Petroleum Production Activities in Niger-Delta Environment, Journal of Advances in Chemistry, Vol. 10, n. 2, giugno 2014, pp. 2297/2304 ↩
Charles Piller, Edmund Sanders , Robyn Dixon, Gates Foundation money works at cross purposes, Los Angeles Times, 7 gennaio 2007. ↩
Luca Manes, Elena Gerebizza, op. cit. p. 10 ↩
Ben Ezeamalu, Decades of gas flaring is harming Nigerians, Premium Times, 17 maggio 2014. ↩
S. Iwuji, J.N. Egwurugwu, Nwafor A., Effects of prolonged exposure to gas flares on the lipid profile of humans in the Niger Delta region, Nigeria, 2013. Egwurugwu, Jude Nnabuife, Nwafor Arthur, Prolonged exposure to oil and gas flares ups the risks for hypertension, American Journal of Health Research, 2013; 1(3): 65-72. ↩
R. N. P. Nwankwoala and O. A. Georgewill, Analysis of the occurrence of cancer and other tumors in Rivers and Bayelsa States, Nigeria from december 1997 – december 2000, African Journal of Applied Zoology and Environmental Biology, 2006, Vol. 8, pp. 48/33. ↩
Amnesty International, Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta, 2009, p. 36. ↩
NAOC, Environmental Impact Assessment of Idu field further development project by Nigerian Agip Oil Company, settembre 2005. ↩
Assemblea degli azionisti Eni – 5 maggio 2011. Domande dell’azionista Osayande Omokaro, Environmental Rights Action Nigeria. ↩
Ayejuyo O. Olusegun, Biobaku C. Babajide, Osundiya M. Olubunmi, Achadu O. John, The impact of gas flaring and venting in Nigeria and management options: a case study of oil producing areas, Journal of Biodiversity and Environmental Sciences (JBES), Vol. 4, No. 2, p. 27-36, 2014. ↩