di Lorenza Ghinelli
“Marsha Linehan, nota psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, definisce «invalidante» ai fini dello sviluppo psicologico ogni ambiente nel quale «alla comunicazione delle proprie esperienze interne», seguono risposte estreme, inappropriate e imprevedibilmente variabili […][e dove] l’espressione dei propri stati interni non solo non è validata né riconosciuta, ma è spesso punita e banalizzata». Per l’adolescente omosessuale, l’ambiente è spesso proprio questo, e la scelta tra fuga e rinuncia all’autenticità talora s’impone.
[…] “Nascondere o camuffare aspetti significativi del sé o vigilare sulla loro separatezza è un’esperienza dolorosa, anche se probabilmente ha nutrito alcuni «talenti» mimetici e ironici che hanno animato la cultura gay”.
Ho riportato questo frammento tratto da Citizen Gay, famiglie, diritti negati e salute mentale, di Vittorio Lingiardi (edizioni Il Saggiatore), perché offre lo spunto per una riflessione che aiuta a frantumare uno dei tanti stereotipi purtroppo ancora in voga. Se è l’arte del camuffare e del nascondere a nutrire talenti mimetici ed ironici che da secoli caratterizzano la cultura gay, significa che tale arte è appresa, indotta dal contesto. Significa che è una strategia di sopravvivenza e non un tratto distintivo e «naturale» dell’essere gay. Significa che è il prodotto di una cultura che si caratterizza per eterocentrismo (eterosessualità come dimensione fondativa del sociale), eteronormatività (eterosessualità come principio regolatore) ed eterosessismo (negazione squalificante dei comportamenti e delle relazioni non eterosessuali).
Questo tipo di «cultura» spodesta le caratteristiche individuali dell’individuo (in questo caso gay, ma è possibile applicare lo stesso concetto a qualsiasi membro di una minoranza ghettizzata) sostituendole con stereotipi colpevolizzanti: «è gay perché ha subito dei traumi», «è gay perché ha problemi col padre, con la madre, col gatto, col pesciolino rosso, è gay perché è debole». La società in cui siamo immersi non si assume quindi le responsabilità che le spettano: accusa infatti un individuo di essere «malato» quando è lei stessa a causarne il malessere.
L’adolescente omosessuale, se è fortunato, può scoprirsi «resiliente», in grado quindi di sviluppare risorse capaci di fortificarlo. Ma il più delle volte, purtroppo, viene sopraffatto dalle ingiunzioni che precipitano su di lui come pietre. Il carico di dolore può essere infatti troppo pesante e condurre, come sovente accade, al suicidio.
Il problema nelle scuole non è rappresentato dai ragazzi «bulli», ma dalla cultura che legittima il bullismo.
In una società libera da pregiudizi di genere e di orientamento sessuale, ogni individuo potrebbe esprimere se stesso, ed esprimersi è un passo fondamentale verso la realizzazione di sé, e quindi di un mondo migliore. Gli stereotipi cadrebbero e ci troveremmo a muoverci tra esseri umani e non tra etero, gay, neri, bianchi, etc…
Ovviamente questa ipotesi spaventa molte persone, e tante di queste ricoprono cariche istituzionali importanti.
Quali passi in avanti efficaci e concreti potranno mai esserci se, per citarne una fra troppi, la ministra Giannini ha deciso di parlare di scuola pubblica al meeting di Comunione e Liberazione?
Citando Dario Accolla, “È un insulto verso tutti/e quegli/lle insegnanti che fanno onestamente il loro lavoro a discapito di uno Stato che li tratta come agenti patogeni. A cominciare da quelli/e che vengono licenziati/e perché omosessuali proprio dalle scuole cattoliche alle quali, la nostra ministra, ha già promesso nuovi favori e immutati favoritismi”.
E che dire del comune di Verona? Capitanato dal sindaco Flavio Tosi si è messo a lanciare liste di proscrizione contro gli insegnanti che promuovono progetti di educazione all’affettività e alla sessualità riconoscendo i diritti dei gay. Proscrizioni che infaustamente evocano la riforma genitiliana del 1923.
Anche l’aumento degli insegnanti di religione cattolica puzza di Riforma Gentile.
Ah, un inciso dovuto: il leghista Flavio Tosi (che è anche presidente di Federcaccia), con un’ordinanza emanata il 25 settembre ha stabilito che i residenti del suo Comune possono sparare e abbattere i lupi che “danneggiano gli allevamenti” e mettono “in pericolo” la città. “Sono pericolosi. Devo difendere i cittadini“, ha dichiarato.
Non perderò altro tempo nel commentare una simile idiozia.
L’unica magra consolazione è che il Corpo forestale dello Stato lo ha denunciato.
Retrocedendo nei mesi, anche la Capitale non ha fatto una gran figura quest’anno, mi riferisco al blitz omofobo che ha coinvolto il liceo Giulio Cesare. Alcuni militanti di Lotta studentesca (organizzazione giovanile vicina a Forza Nuova), indignati dal fatto che nelle loro scuole fosse stato proposto “Sei come sei”, di Melania Mazzucco, hanno pensato (male) di esporre uno striscione con la scritta: “Maschi selvatici, non checche isteriche“.
I ragazzi in questione hanno dimostrato di non sapere nulla di omosessualità e nemmeno di letteratura (neppure della storia dell’antica Grecia, se vogliamo dirla tutta). Ma la cosa ancor più grave è che a farne le spese sono stati gli insegnanti che avevano proposto il romanzo della Mazzucco.
A rischiare il licenziamento oggi non sono gli insegnanti inetti, svogliati, mediocri, impreparati, ma quelli in grado di problematizzare le situazioni, di stimolare il pensiero divergente e la metacognizione, quelli in grado di far pensare i ragazzi e lasciare un segno, insomma.
Di loro si parla poco, anzi, non si parla affatto. Sui giornali però c’è sempre spazio per gli inetti di turno come il consigliere Angelo Figuccia. Cito una delle ultime bestialità che trovano spazio sul web e nella testa delle persone. “Essere gay è una malattia, la scienza sbaglia. È malattia da traumi“.
Se a sostenerlo fosse un trisavolo ubriaco al bancone di un bar, forse, e dico forse, potrebbe persino farci sorridere, ma detto dall’esponente del Movimento per l’Autonomia, autore della mozione approvata a inizio agosto per la celebrazione della “Festa della famiglia naturale”, fa decisamente orrore. Non pago, Figuccia continua: “Si la scienza ha detto che non è così ma quante volte la scienza ha sbagliato? Si parla tanto del metodo stamina, la scienza non lo riconosce, ma di fatto ci sono delle guarigioni. A Galileo gli dicevano pazzo, e poi il mondo girava davvero. E quante volte si sente dire per esempio che il pomodoro crudo fa male e poi dopo dieci anni ci dicono che è bene mangiare pomodori crudi?”.
Oltre a ignorare il fatto che Galileo rappresenti la scienza e che ha avuto ragione, Antonio Figuccia dimostra in modo inequivocabile di essere un individuo ignorante e privo di qualunque argomentazione accettabile. Eppure, gente come lui è messa nella posizione di prendere decisioni che riguardano e imbruttiscono la quotidianità di tantissime persone.
Per inciso, Antonio Figuccia è lo stesso che in occasione del Pride nazionale 2013 disse: “Dio ci punirà lo dimostra anche l’Arca di Noè“.
In un Paese civile sarebbero quelli come lui a essere segnalati e allontanati, non gli insegnanti degni di questo nome.
A chi ancora come lui utilizza (a mio avviso senza saperlo) argomentazioni naturalizzanti, consiglio vivamente di prendere in mano (e magari leggere) un testo anche basico di antropologia culturale. È assodato infatti che ogni categoria sociale è una creazione culturale non giustificabile rifacendosi alla biologia o alla natura in genere. Il dramma delle argomentazioni naturalizzanti è che tendono a riferirsi a particolari identità come se queste fossero radicate nella biologia e nella natura anziché nella storia e nella cultura. In questo modo le fanno apparire eterne e immutabili.
Nel caso specifico dei politici, non credo che argomentazioni naturalistiche del tipo: «La famiglia dev’essere composta da un uomo e da una donna», «le coppie omosessuali sono contro natura», etc, siano da ricondurre a una semplice ottusità, credo piuttosto che, sempre restando in ambito antropologico, si tratti di «essenzialismo strategico», ossia una retorica essenzialista utilizzata come consapevole strategia politica.
In una ricerca intitolata «Effetti delle leggi su matrimonio, unioni civili e domestic partnership sulla salute e il benessere dei bambini» pubblicata su Pediatrics, la rivista ufficiale dell’American Academy of Pediatrics, possiamo leggere che «adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi genitori».
Per usare le parole di Tolstoj «Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo».
Il punto è che aveva ragione Galileo, (e prima di lui Aristarco e Copernico) il mondo gira, eccome. E occorre che le istituzioni se ne rendano conto.
Domani, domenica 5 ottobre, le Sentinelle in piedi verranno a Rimini (città che amo e in cui vivo). Sulla locandina che pubblicizza questa “veglia” è scritto: “Il ddl sull’omofobia vuole toglierci la libertà di espressione. Con questo testo vogliono impedirci, per esempio, di dissentire sul progetto di legge sulle unioni civili che il Governo sta preparando e che mira a equiparare le unioni tra le persone dello stesso sesso al matrimonio. Intanto la Magistratura, a colpi di sentenze, introduce le adozioni da parte di coppie omosessuali. Vogliamo essere liberi di dire NO!”.
Giuro che non capisco come un disegno di legge sull’omofobia possa togliere loro la libertà di espressione. Forse una mentalità fascista è convinta che se il ddl verrà approvato gli omofobi verranno perseguitati, randellati e ingozzati con litri di olio di ricino e costretti a praticare la sodomia. Omofobi, tranquilli: vi assicuro che non è così. Potrete dissentire a vita. Quello che non potrete fare (e che non dovreste fare comunque a prescindere dal ddl) è perseguitare, randellare e ingozzare con litri di olio di ricino le persone che non la pensano come voi (vi è vietato anche sodomizzarle).
Il fatto che vi sentiate la parte lesa rende le vostre scarsissime e ignoranti argomentazioni simili a una brutta barzelletta.
Qui sotto accennerò a tre libri (fortunatamente ne esistono molti di più), che considero importanti e capaci di generare un dibattito all’interno delle classi su cosa sia davvero l’omosessualità e su cosa sia il bullismo (omofobo e non solo).
I ragazzi sono intelligenti, molto più di quanto a noi faccia comodo credere. Abbiamo il compito di fornire loro il giusto nutrimento intellettuale che li ponga nelle condizioni di scegliere liberamente in cosa credere.
Oh Boy! (Murail Marie-Aude, Giunti Editore, 192 pag. 10 euro)
È un romanzo capace di trattare in modo ironico e leggero temi pesantissimi quali l’abbandono, la morte e la malattia. Si piange ridendo, insomma. Ma non solo. Murail Marie-Aude ha il grande pregio di trattare argomenti scomodi scardinando pregiudizi molto comuni: mi riferisco al tema delle adozioni omosessuali. Argomento che nel nostro Paese in troppi amano affrontare chiamando opinioni i propri pregiudizi.
Il tribunale per i minorenni di Roma ha recentemente riconosciuto l’adozione di una bimba che vive in una coppia formata da due donne (una delle quali è la madre biologica). Si è trattato del primo caso in Italia di “stepchild adoption”. E se per Scalfarotto e pochi altri si tratta di una “sentenza storica” (e io mi trovo d’accordo), per tantissimi altri è solamente un “colpo di stato”. Barbara Santamartini, Carlo Giovanardi e altri “politici” addirittura definiscono incostituzionale la scelta della magistratura.
Io la costituzione l’ho letta. A differenza della bibbia la trovo decisamente poco soggetta a mistificazioni. È chiara, inequivocabile e illuminante. La scelta della magistratura è costituzionale eccome. Ma in un Paese civile, la democrazia dovrebbe essere agita attraverso leggi capaci di tutelare i diritti dei cittadini. Peccato che il nostro governo, in questo, si riveli completamente inetto.
Tornando a Oh Boy!, Il romanzo racconta la storia dei fratelli Morlevent, rispettivamente di quattordici, otto e cinque anni, che rimasti orfani da poche ore, si promettono di non lasciarsi mai. Gli assistenti sociali però la pensano diversamente parcheggiandoli in orfanotrofio in attesa di adozione. L’unica che ha concrete possibilità di trovare una nuova famiglia è Venise, la più piccola dei Morlevent.
Le carte vengono scombinate dalla comparsa sulla scena del fratellastro maggiorenne, un tantino scapestrato e molto, molto gay. Persona apparentemente inaffidabile, ma in grado di rivoluzionare scenari che sembrano immutabili.
Se non fosse chiaro, è un libro che consiglio vivamente, perché è capace di ricordare che ciò è meglio per noi, può non essere il meglio per altri. Un libro che educa al rispetto delle diversità e che aiuta ad ampliare i propri orizzonti.
Alex & Alex (Alyssa Brugman, edizioni Giralangolo, 234 pagine, 13,50 euro)
Se nella nostra società risulta ancora difficile parlare di omosessualità, figuriamoci di transessualità e di intersessualità. Di queste ultime si parla pochissimo, e purtroppo, quasi sempre, in modo totalmente disinformato. Prevalgono i pregiudizi, gli stereotipi, e raramente la voglia di comprendere. I mass media anche in questo non aiutano: nell’immaginario collettivo il transessuale è una persona disturbata, ambigua, volgare e promiscua (difetti che a pensarci bene sono perfettamente riscontrabili anche in un eterosessuale). L’individuo intersessuale, invece, viene visto come uno scherzo della natura che la scienza ha il dovere di correggere (sono specialmente i sostenitori delle teorie naturalizzanti a pensarla così, e converrete che questo è un paradosso).
Le associazioni di intersessuali stanno compiendo una vera e propria battaglia contro la prassi di sottoporre i bambini appena nati ad operazioni chirurgiche e cure ormonali, nel caso presentino anomalie genitali. Tali pratiche non sono certo finalizzate alla salute dei bambini, in quanto non si parla di individui malati, ma servono unicamente a omologare l’individuo a uno dei due sessi secondo la dicotomia femmina/maschio che caratterizza la nostra società. Capisco la buona fede che può celarsi dietro a certe scelte senz’altro non facili (mi riferisco alla volontà di garantire al bambino un facile inserimento nella società), ma ricordo anche che intervenire chirurgicamente su un bambino per definirne il sesso, significa negargli la possibilità di esprimere la propria opinione su un aspetto fondamentale della sua vita e della sua salute fisica e mentale. Capita infatti spessissimo che bambini intersessuali operati a pochi mesi dalla nascita e assegnati a un sesso, da adulti poi non ci si riconoscano. In termini umani, sociali e sanitari i costi sono elevatissimi. Inoltre è avvilente riscontrare che, l’unico modo che abbiamo di pensare a un facile inserimento dell’individuo nella società, corrisponda alla sua omologazione. Siamo incapaci di scorgere nella diversità un valore, la tragedia è questa. Come lo è nascere intersessuale e crescere maschio per scelte altrui, scoprendo, magari a quattordici anni, di sentirsi donna (o viceversa). Mi piace però pensare che non sia mai troppo tardi per essere se stessi.
“Alex e Alex” è un libro prezioso proprio per questo, è capace di fare comprendere perfettamente a chiunque quanto sia difficile crescere in una società che ti considera malato e sbagliato, quando in realtà sei semplicemente diverso rispetto a come molti ti vorrebbero. Ed è scritto con un linguaggio vivace, diretto e crudo.
Alex ha quattordici anni, per l’anagrafe è un maschio, ma per come si percepisce è indubbiamente una lei. Dopo l’ennesimo caso di bullismo, decide di cambiare scuola e iniziare una nuova vita. Da ragazza. A ostacolare l’accettazione di sé non sono solo i genitori, gli insegnanti e i coetanei, ma anche l’altro Alex che abita in lei e che ha introiettato troppi schemi razzisti e tanti stereotipi. È una lettura che consiglio perché racconta anche come sia possibile realizzarsi e amarsi, con dignità e determinazione, nonostante tutto. Vale sempre la pena lottare per essere se stessi. Trans, etero, omo , bisex o intersex, le etichette sono sempre limitanti. Prima di tutto siamo persone. E abbiamo bisogno che ci vengano riconosciuti i nostri diritti.
Trevor (James Lecesne, Rizzoli, 111 pagine, 11 euro)
Prima ancora di diventare un romanzo, Trevor è nato come pièce teatrale in un piccolo teatro nel quartiere dell’East Village a New York, e da lì ha proseguito il suo cammino fino a ispirare il Trevor Project (una linea di telefono amico totalmente gratuita in funzione 24 ore su 24, ma anche una chat). Lo scopo del Trevor Project è creare una rete fra i giovani LGBT, in modo che possano trovare sostegno senza subire emarginazione e discriminazione (Trevorproject.org)
Tornando al romanzo, il titolo corrisponde al nome del protagonista, un ragazzo di tredici anni, sveglio, carismatico, determinato e decisamente gay. Purtroppo, come spesso accade, non ha tempo di scoprirlo con calma da sé: glielo fanno notare prima gli altri rendendo la sua vita un inferno. Un inferno raccontato con leggerezza e ironia e proprio per questo ancora più pungente.
Trevor è, citando le parole dell’autore, “il ritratto commuovente e spiritoso di un ragazzo in crisi“. Nel romanzo il primo ad allontanarlo è proprio il suo migliore amico, terrorizzato dall’idea di essere etichettato come frocio. È proprio la paura delle etichette, del giudizio altrui e di essere emarginati a creare il vuoto intorno ai ragazzi omosessuali. È proprio perché si ha tanta paura di ciò che non si conosce che un’educazione alla differenze di genere e ai differenti orientamenti sessuali si rivela necessaria nelle scuole. Chiunque si opponga a questo si ritenga responsabile di ogni suicidio compiuto da un ragazzino gay, o da altri ragazzini che per un motivo o per un altro vengono bullizzati perché diversi.
Trevor è un romanzo che si presta a essere letto e dibattuto nelle classi, perché è divertente, impegnato e racconta una storia importante: quella di un ragazzino che brucia dalla voglia di vivere nonostante il mondo intorno a lui cerchi di spegnerlo.
Sarebbe bello che i ragazzi (ma anche gli adulti!) leggessero questi libri, per poterli poi commentare assieme esplorando nuovi linguaggi capaci di creare ponti tra le eccezionalità di ciascuno.
Ad alcuni potrà sembrare strano, ma non occorre essere trans o gay per identificarsi nei Morlevent, in Alex o in Trevor, come non occorre essere neri o nascere donne per identificarsi in Celie Harris, protagonista de Il colore viola. A scanso di equivoci non occorre neppure essere ebrei per commuoversi guardando Schindler’s list o per inorridire davanti alla Shoa.
E non è necessario essere bambini palestinesi per indignarsi e disprezzare gli omicidi di stampo sionista di cui cadono vittime.
Le storie sono storie. Permettono in modo agevole di scivolare nei vissuti degli altri percependoli come propri. È la magia della narrazione, serve a renderci più umani.
E se la scuola teme davvero i libri come in questo periodo sta dimostrando, le nuove generazioni potranno superarci in ignoranza e violenza.
Anche se sembra difficile, è tutt’altro che improbabile.
P.s. Questi tre libri sono scritti da autori stranieri supportati ed egregiamente promossi da editori che non temono di essere penalizzati da questo tipo di storie. Editori che vivono in Paesi decisamente più moderni del nostro. Questi romanzi sono poi stati tradotti e pubblicati anche nel nostro Paese da case editrici che non considerano questi argomenti un tabù.
Mi auguro che i libri di questi autori circolino liberamente nelle scuole e aiutino migliaia di adolescenti a crescere.
Mi permetto quindi di ricordare a chi storce il naso, quando si parla di progetti volti a promuovere l’educazione all’affettività e alla sessualità indipendentemente dall’orientamento sessuale, che la terra, fino a prova contraria, gira per tutti.