di Alberto Prunetti
Francesco Carlucci, Vita da cani. Storia di un emigrante rivoluzionario, BePress, Lecce, 2013, pp. 497, € 22,00
Un libro importante che purtroppo non avrà troppa visibilità. Eppure un libro fondamentale per chi ha a cuore la storia degli anni Settanta in Argentina, lo sviluppo della contestazione e la resistenza alla dittatura, la violenza di stato, la guerriglia e i crimini compiuti da Videla e soci, a partire dalle carcerazioni illegittime. Tutto questo raccontato in un’autobiografia narrativa da Francesco Carlucci, italiano emigr
ato da piccolo, negli anni Cinquanta, in Argentina, con una penna fluida che alterna due vicende, due pezzi della propria esistenza:
_la detenzione nei carceri argentini come militante di un gruppo guerrigliero., il PRT (vicino al guevarista ERP): per sua fortuna, Carlucci non fu detenuto in un mattatoio clandestino, tuttavia l’esperienza è stata decisamente dura;
_il romanzo working class di formazione di giovane tano emigrato a Buenos Aires fino ai primi passi nel PRT, attraverso il lavoro minorile nelle botteghe e nelle officine metallurgiche che gli italiani costruivano un po’ ovunque nella Gran Buenos Aires. Botteghe in cui si lavorava e si dormiva: dai conventillos, i rifugi degli immigrati, dove si viveva come in un formicaio, fino alle case grandi dove tutta la famiglia lavorava in officina, anche i bambini di 13 anni, che mica potevano andare a scuola, al massimo si facevano la serale se potevano pagarsela col sudore. Storie di emigrazione italiana dell’ultimo corso pre-boom , quella degli anni Cinquanta, storie che vanno ostinatamente riscattate dall’oblio, perché dobbiamo renderci conto che “i cinesi” eravamo noi e che quella è “la storia della nostra gente”: officina e casa, tutto assieme, i turni per dormire e la donna a cucinare per gli uomini al tornio.
Un grande quadro familiare, impreziosito da due meravigliose figure genitoriali: il padre lucano, violento, spesso maschilista, eppure generoso e commovente, testardo e duro da piegare come un tondino d’acciaio, peronista cocciuto eppure dalla parte del figlio non appena finisce in galera; poi la madre, che invece di rimanere nelle quattro mura domestiche scopre lei stessa la militanza e diventa una meravigliosa madre ribelle, una di quelle che col fazzoletto in testa hanno sconfitto la dittatura .E sullo sfondo la figura del Tosco, il sindacalista gringo, il tupamaro Andrés Cultelli e il viceconsole Enrico Calamai, quest’ultimo uno dei pochi ad aiutare i desaparecidos nelle istituzioni italiane.
Una biografia romanzata che procede a montaggio alternato, tra una sessione di tortura e un amore adolescenziale, tra la scoperta dei libri e il mate fatto di nascosto in una cella, con il vento degli anni Sessanta che spinge i nuovi emigrati alla militanza politica e alle botte in galera.
Un grande affresco di storia dell’emigrazione italiana e degli anni Sessanta e Settanta in Argentina, da non perdere se siete interessati a queste tematiche. Un libro che se avesse avuto un editore ben distribuito, con un poco di editing alle spalle, avrebbe meritato di far parlare di sé con ben altra rilevanza. Perché è la storia che passa da queste pagine, dopo essere entrata nella carne di chi le ha scritte.