di Walter Catalano
Il disco ottiene un unanime consenso e Leonard Cohen, a cinquantacinque anni, torna di nuovo alla ribalta e alla definitiva consacrazione: negli anni seguenti si succedono gli omaggi e le covers da parte dei maggiori rockers giovani e meno giovani (“I’m Your Fan” nel 1991 da parte di vari gruppi New Wave e artisti mai del tutto entrati nel gregge come Nick Cave e John Cale e “Tower of Song” nel 1995, celebrazione ufficiale da parte delle consolidate celebrità, i “colletti bianchi” del Rock, come U2, Elton John, Sting, ecc.).
Nel 1992, esce uno dei dischi forse più belli e pessimisti, “The Future”, anche questo, innovativamente, contiene due cover – una il classico Always di Irving Berlin e l’altra, da includere tra i pezzi forti del disco, lo straordinario rhythm’n’blues Be For Real di Frederick Knight – e, per la prima volta, un pezzo solo strumentale: Tacoma Trailer. Difficile scegliere tra una serie di canzoni tutte di altissimo livello, ricorderò quella che dà il titolo all’album The Future (“Ridammi la mia notte interrotta, la mia stanza degli specchi, la mia vita segreta: è così solitario qui, non è rimasto più nessuno da torturare. Dammi il controllo assoluto su ogni anima viva e tu vieni a letto con me, bambina, è un ordine ! Dammi crack e sesso anale, prendi l’unico albero rimasto e ficcalo su per il buco della tua cultura. Ridammi il muro di Berlino, ridammi Stalin e San Paolo: ho visto il futuro, fratello, è l’omicidio. Le cose scivolano in tutte le direzioni, non c’è niente, niente che si possa più misurare: la tempesta del mondo ha attraversato la soglia e ha sovvertito l’ordine dell’anima. Quando dicono “Pentiti, pentiti”, mi chiedo cosa vogliano dire. … Si infrangerà l’antico codice occidentale: la tua vita privata alla fine esploderà. Ci saranno fantasmi, ci saranno fuochi sulle strade e l’uomo bianco ballerà. Vedrai la tua donna appesa a testa in giù, con il volto coperto dalla gonna caduta e tutti quei poeti da due soldi si affolleranno intorno cercando di assomigliare a Charlie Manson. E l’uomo bianco ballerà. Ridammi il muro di Berlino, dammi Stalin e San Paolo, dammi Cristo e dammi Hiroshima. Abortisci un altro feto ora, tanto non ci piacciono i bambini. Ho visto il futuro, bambina, è l’omicidio…”); la sarcastica Democracy (“Arriva da un buco nell’ozono, da quelle notti in piazza Tienanmen, arriva da quella sensazione che non è esattamente reale o è reale ma non è esattamente presente, dalle lotte contro il disordine, dalle sirene notte e giorno, dai fuochi dei senza casa, dalle ceneri degli omosessuali, la Democrazia sta arrivando negli USA… Arriva dalla tristezza nelle strade, i luoghi sacri dove le razze si incontrano, dal litigio omicida, che si svolge in ogni cucina, per stabilire chi serve e chi mangia, dai pozzi della delusione, dove le donne si inginocchiano a pregare, dalla grazia di Dio nel deserto vicino e nel deserto lontano: la Democrazia sta arrivando negli USA. Continua a navigare, o potente nave dello Stato. Verso le rive del bisogno, oltre le scogliere dell’avidità, attraverso gli uragani dell’odio. Continua, continua a navigare… Arriva per prima in America. la culla del meglio e del peggio, è qui che c’è la prospettiva e la tecnologia del cambiamento, è qui che c’è sete spirituale, è qui che la famiglia si è spezzata ed è qui che il solitario dice che il cuore deve aprirsi in modo fondamentalista. La Democrazia sta arrivando negli USA… Sono sentimentale, se capisci cosa intendo; amo il paese ma non reggo la scena; e non sono né di sinistra né di destra, per cui me ne starò a casa stasera, a perdermi in quel piccolo schermo senza speranza. Ma sono testardo come i sacchi dell’immondizia che il tempo non riesce a decomporre, sono uno stronzo ma brandisco ancora questo selvaggio mazzolino di fiori: la Democrazia sta arrivando negli USA.”); e forse il brano più bello Anthem (“Gli uccelli cantavano all’alba: “Ricomincia” – li ho sentiti dire – “non indugiare su quel che è passato o su quello che deve ancora venire”. Guerre saranno ancora combattute, la Santa Colomba sarà ancora catturata, comprata e venduta e comprata ancora: la colomba non è mai libera.… Puoi aggiungere le parti ma non avrai la somma, puoi scandire la marcia anche senza tamburo; ogni cuore, ogni cuore, troverà l’amore, ma solo come un profugo. Suona le campane che ancora possono suonare, dimentica il tuo sacrificio perfetto, c’è una frattura in ogni cosa, per far passare la luce”); un’altra canzone bellissima che esprime la dedizione assoluta del poeta verso il femminile in tutti i suoi aspetti è Light As The Breeze, mai si è evocato con tale delicatezza il cunnilinctus: (“Eccola nuda di fronte a te, puoi vederlo, puoi assaporarlo, ti raggiunge leggera come la brezza, e puoi consumarlo o puoi custodirlo: non ha importanza come tributi il tuo culto, purché tu ti metta in ginocchio. Così mi sono inginocchiato presso il delta, presso l’alfa e l’omega, presso la culla del fiume e dei mari. E come una benedizione dal cielo, almeno per un attimo, ero guarito e il mio cuore era in pace. Oh, bambina, ho aspettato per così tanto un tuo bacio, perché accadesse qualcosa, qualcosa come questo… E sei debole e inerme, e dormi preso alla briglia, mentre il vento soffia libero fra gli alberi, e anche se non è esattamente una prigione, non sarai mai perdonato, per tutto ciò che hai fatto con delle chiavi… E lei dice “Bevi profondamente, pellegrino, ma non scordare mai che c’è una donna, sotto questa camicetta trasparente”. Così mi sono inginocchiato presso il delta, presso l’alfa e l’omega, mi sono inginocchiato come un credente. E come una benedizione dal cielo, almeno per un attimo, ero guarito e il mio cuore era in pace”).
In quegli stessi anni Leonard si trasferisce stabilmente a Mount Baldy, duemila metri sopra Los Angeles, nella comunità zen del maestro allora ottantanovenne Sasaki Roshi (di cui era allievo da circa vent’anni), dove si pratica una forma particolarmente rigorosa di Rinzai zen. Il 9 Agosto del 1996 Leonard corona finalmente il suo tortuoso percorso spirituale, venendo ufficialmente ordinato monaco con il nome iniziatico di Jikan, che in giapponese significa “il Silenzioso”: una buona scusa per sfuggire al possibile matrimonio con l’avvenente attrice Rebecca de Mornay , almeno vent’anni più giovane di lui. Seguendo il percorso della mistica Lenny ha infatti saputo trovare la via del cuore: dell’amore sacro e dell’amore profano, non c’è differenza, come non conta la matrice culturale che ha formato quel cuore o l’orizzonte spirituale che lo imprigiona: i pellegrinaggi metafisici del poeta sono stati innumerevoli quanto quelli sentimentali: la tradizione biblica e quella cabalistica della sua nativa religione ebraica, ma anche il sufismo, lo zen, l’advaita vedanta indù e, per un breve periodo, perfino – come già abbiamo accennato – la chiesa di Scientology.
Nel 2001 eccolo – “Back on Boogie Street” metaforizza in una canzone – di nuovo nel mondo e il suo ieratico silenzio viene interrotto con “Ten New Songs”, un lavoro come sempre intenso ma forse troppo legato ad una koiné musicale interamente americana e tributaria di atmosfere soul e black – probabilmente dovute all’apporto della collaboratrice di colore, l’eccelsa Sharon Robinson – abbastanza insolite, almeno in questa misura, per chi aveva sempre tenuto presente. nelle sue composizioni, soprattutto la musica tradizionale ebraica e yiddish o quella mediorientale e greca, usando spesso progressioni armoniche – nei primi dischi su una chitarra classica con corde rigorosamente di nylon – tendenzialmente estranee al blues e derivate più che altro dal flamenco. Ma il vero elemento di debolezza del disco sono le orchestrazioni, interamente ricavate con campionamenti elettronici – tastiere, percussioni e linee di basso sintetiche – che conferiscono un’aura opaca e uniforme a tutti gli arrangiamenti: gli stessi brani riproposti dal vivo con una vera band assumono un colore e una dinamica di ben altro impatto. Anche in questa raccolta emergono molti pezzi di grande potenziale che cristallizzeranno però la giusta brillantezza solo nelle esecuzioni future dei numerosi tour: In My Secret Life (“…Sorrido quando sono arrabbiato, imbroglio e mentisco: faccio quello che bisogna fare per tirare avanti. Ma so quello che è sbagliato e quello che è giusto e morirei per la verità, nella mia vita segreta. …E il venditore vorrebbe che pensassi che bianco o nero fa lo stesso, ma grazie a Dio non è così semplice, nella mia vita segreta. Mi mordo le labbra e compro quello che mi dicono: dall’ultima canzonetta alla sapienza degli antichi. Ma sono sempre solo e il mio cuore è di ghiaccio, ed è pieno di gente e fa freddo, nella mia vita segreta.”); Alexandra Leaving, libero adattamento da “Il Dio abbandona Antonio” di Kostantinos Kavafis, in cui la metaforica città di Alessandria del poema del grande autore greco è sostituita da una donna di nome Alessandra (“Improvvisamente la notte si è fatta più fredda, il Dio dell’amore prepara la partenza. Alessandra sta sollevata sulle spalle di lui: scivolano attraverso i sentieri del cuore. Sorretti dalle semplicità del piacere, riflettono quella luce che li stringe insieme senza forma; e raggianti oltre ogni più ampia misura, cadono fra le voci e il vino. Non è un trucco che inganna i tuoi sensi, un sogno agitato che la mattina estinguerà: dì addio ad Alessandra che ti lascia, dì addio ad Alessandra perduta. Anche se dorme sul tuo lenzuolo, anche se ti sveglia con un bacio, non dire che era l’immaginazione del momento, non piegarti a simili strategie. Come qualcuno da lungo tempo preparato all’avvenimento, vai con coraggio alla finestra e assaporalo tutto. Musica squisita, Alessandra che ride, la tua prima devozione tangibile di nuovo. E tu che hai avuto l’onore della sua serata e attraverso quell’onore hai restaurato il tuo, dì addio ad Alessandra che se ne va, che se ne va con il suo signore. Come qualcuno da lungo tempo preparato all’occasione, in pieno comando di ogni progetto che hai fatto naufragare, non scegliere la spiegazione dei codardi, nascosta dietro la causa e l’effetto. Tu che sei stato confuso da un significato, il cui codice era infranto come un crocifisso schiodato: dì addio ad Alessandra che ti lascia, dì addio ad Alessandra perduta.”); The Land of Plenty (“Per la decisione più intima, alla quale non possiamo che obbedire, Per tutto quello che rimane della nostra religione. Io alzo la mia voce e prego: nella terra dell’abbondanza possano le luci un giorno splendere sulla verità “).
Nel 2004 arriva forse l’unico passo falso di tutta una carriera, un disco inconcluso e svogliato che contiene più appunti per canzoni che canzoni vere e proprie: Dear Heather. Una serie di poesie recitate con sottofondo musicale, una vecchia cover (incisa nel 1985) del classico country Tennessee Waltz ripescata chissà dove, brevi frammenti musicali buttati giù senza convinzione: Cohen sembra aver raschiato il fondo del barile. L’opera non ha unità, né atmosfera. Si salva a stento un brano: Nightingale. La critica non è indulgente e Leonard accusa il colpo: nonostante l’età ormai decisamente matura si lancia dal 2008, con una band di altissimo livello, in una serie di tour mondiali annuali che proseguono a tutt’oggi.
Nel 2012 finalmente si decide e con l’uscita di Old Ideas, al momento suo ultimo album pubblicato, si fa ampiamente perdonare la caduta precedente: il disco è osannato universalmente da pubblico e critica e diventa uno dei suoi più venduti. Solo “vecchie idee”, annunciate con il tipico understatement e la consueta mancanza di enfasi dei suoi titoli (“canzoni di L.C.”, “canzoni dal vivo”, “canzoni recenti”, “varie posizioni”, “dieci canzoni nuove”, ecc. …): ricordiamo, fra le altre, tutte notevoli, l’ennesima confessione intima di Going Home (“Mi piace parlare con Leonard, è un uomo leale e una guida, è un pigro bastardo che vive in giacca e cravatta. Ma dice quello che gli suggerisco, e anche se non sarà ben accolto, non avrà mai la libertà di rifiutare. Pronuncerà parole sapienti, come un saggio e un visionario, sebbene sappia di non essere altro che la breve elaborazione di un tubo digerente. Tornare a casa, senza tristezza, tornare a casa più o meno domani, là dove è meglio di prima. Tornare a casa, senza fardello, tornare a casa, dietro il sipario, tornare a casa, senza il costume che ho indossato. Lui vuole scrivere una canzone d’amore, un inno di perdono, un manuale per convivere con la sconfitta. Un grido sopra la sofferenza, il compimento di un sacrificio, ma non era quello che volevo portasse a termine: voglio che abbia la certezza che non sostiene alcun fardello e che non ha bisogno di alcuna visione, che ha solo il permesso di fare la mia dichiarazione presente, cioè dire quello che gli ho ordinato di ripetere…”); la lancinante Show Me the Place (“Mostrami il luogo dove vuoi che vada il tuo schiavo, mostrami il luogo, che ho dimenticato e non conosco, mostrami il luogo, perché la mia testa si reclina, mostrami il luogo dove vuoi che vada il tuo schiavo. Mostrami il luogo, aiutami a rotolare via il macigno, mostrami il luogo, non posso spostarlo da solo, mostrami il luogo, dove il Verbo si è fatto uomo, mostrami il luogo, dove è iniziato il dolore. Le pene sono arrivate, ho salvato il salvabile: una scia di luce, una briciola, un’onda. Ma c’erano catene, così ho dovuto adeguarmi: c’erano catene e ti ho amato come uno schiavo”); il blues alla Robert Johnson Darkness (“Ho preso le Tenebre, bevendo al tuo bicchiere. Ho preso le Tenebre, bambina, bevendo al tuo bicchiere. Ti ho chiesto: “E’ contagioso ?” – Mi hai risposto: “Buttalo giù”. Non ho futuro, so che i miei giorni sono contati, e anche il presente non è molto piacevole: solo un elenco di cose da fare. Credevo mi sarebbe bastato il passato, ma le Tenebre si sono prese anche quello. Avrei dovuto vederle arrivare, erano proprio dietro ai tuoi occhi, ma eri giovane ed era estate e dovevo proprio farmi un tuffo: conquistarti è stato facile, ma il prezzo sono state le Tenebre. Non fumo sigarette, non bevo alcolici, e non ho ancora avuto neanche molto amore, ma questo è sempre stato il tuo richiamo, non che mi manchi, bambina, ormai ho perso il gusto per qualsiasi cosa. Mi piaceva l’arcobaleno e mi piaceva il panorama, mi piaceva la mattina presto, mi illudevo fosse qualcosa di nuovo; ma ho preso le Tenebre, bambina, e le ho prese peggio di te. Ho preso le Tenebre, bevendo al tuo bicchiere. Ho preso le Tenebre, bambina, bevendo al tuo bicchiere. Ti ho chiesto: “E’ contagioso ?” – Mi hai risposto: “Buttalo giù”).
Quest’ultimo CD ritrova finalmente e in modo magistrale l’equilibrio delle orchestrazioni – i massacranti tour mondiali sono stati una prova generale decisiva – affidate ai musicisti di grande levatura che da anni accompagnano Cohen dal vivo: lo spagnolo Javier Màs (maestro di liuto, bandurria e chitarra flamenca), il batterista messicano Rafael Bernardo Gayol, le coriste Sharon Robinson e le Webb Sisters, il chitarrista elettrico Bob Metzger, ecc. ; i tempi delle campionature elettroniche e degli arrangiamenti piatti e incolori, sembra definitivamente superato e, per fortuna, Leonard è tornato a imbracciare la chitarra acustica.
Anche le sempre più numerose incisioni discografiche live offrono un’utile testimonianza di tutti i vari periodi della carriera coheniana: il classico e scarno Live Songs del 1973; l’affascinante Cohen Live del 1994, specchio dei tour dei tardi anni ’80; il retrospettivo Field Commander Cohen, uscito nel 2001 per documentare il periodo più depresso e isolato del cantautore, i tour del 1979; l’epico Live in London del 2009, meglio ancora in DVD, per constatare l’assoluta perfezione dei tour più recenti; il Live at the Isle of Wight, CD e DVD uscito anch’esso nel 2009, ma che documenta la partecipazione di Leonard al Festival dell’Isola di Wight del 1970, lo stesso giorno in cui apparve per l’ultima volta Jimi Hendrix; il CD/DVD Songs from the Road del 2010, che ancora rispecchia gli impeccabili ultimi tour mondiali; il film Bird on a Wire girato nel 1972 da Tony Palmer (specialista in documentari musicali classici e rock: Beatles, Cream, Hendrix e il 200 Motels di Frank Zappa) e ritirato quasi subito dalla distribuzione ma recentemente ritrovato, rimontato e distribuito in DVD nel 2010. Chi poi volesse leggere biografie critiche sul musicista canadese ne trova due tradotte in italiano: Una vita di Leonard Cohen, di Ira B. Nadel, Giunti 2011 e I’m Your Man – Vita di Leonard Cohen, di Sylvie Simmons, Caissa 2013. Anche tutte le raccolte poetiche di Leonard Cohen sono ormai state tradotte in italiano e sempre in modo assai deludente o arbitrario, comprese quelle di Giancarlo De Cataldo per Minimum Fax: ma tradurre Cohen è un’impresa destinata a priori alla sconfitta, ne sono un esempio più che evidente i miei maldestri tentativi precedenti. Miglior sorte hanno avuto i due romanzi: per chi riesce a trovarle consiglio sempre le prime edizioni (traduzione migliore), Il gioco favorito, Longanesi (1975) e Belli e perdenti, Rizzoli (1972).
Che ci riserverà ancora l’ottantenne Leonard nei prossimi anni ? Gli auguriamo e ci auguriamo ancora molte canzoni, perché, come ha detto in un’intervista recente “Le canzoni non nobilitano l’attività umana: sono le attività umane a nobilitare una canzone” (il fatto di usarle per corteggiare un amore, per darsi un ritmo sotto la doccia, per accompagnare una lunga notte solitaria e insonne…) e, con la solita modestia, ha aggiunto “Se sapessi da quale posto arrivano le belle canzoni, ci andrei più spesso”. Ma Leonard invece è un autore nel senso più vasto del termine: un autore indenne dal peso del tempo, perché i suoi temi fondamentali sono eterni: le vicende dello spirito e della carne, le peripezie del corpo e dell’anima, la dialettica del sesso e della religione, “the tangle of matter and ghost” come dice un verso di “The Window “. Tutta la sua carriera artistica appare come un’instancabile ricerca della purezza, dell’autenticità; una testimonianza dell’accettazione del dolore, del fascino della fragilità, della dignità della sconfitta, della bellezza della malinconia. Leonard è arrivato a dominare alla perfezione il groviglio di questi sentimenti e a districarlo nei suoi concerti internazionali: ormai un evento che si avvicina alla celebrazione liturgica dagli effetti catartici. Leonard Cohen ha un rispetto profondo del suo pubblico, non lo inganna, non lo sottovaluta, e ogni singolo spettatore, ascoltatore o lettore si sente coinvolto in prima persona nel suo messaggio: come ha scritto, rivolgendosi ad ognuno di noi, nello splendido finale del suo romanzo Beautiful Losers: “Benvenuto a te che mi leggi oggi, benvenuto a te che umili il mio cuore, benvenuto a te, tesoro e amico, che mi manchi in eterno, nel tuo viaggio verso la fine”.