di Mauro Baldrati
[Riassunto delle puntate precedenti 1 2 3 4: Rick e Max, giovani attivisti del movimento No Tav, sono stati condannati a trent’anni di carcere per avere bruciato un compressore d’aria durante una manifestazione. In fuga dal penitenziario, sono stati catturati dai militanti del Partito Democratico, condotti in un carcere privato della Lega Coop, sottoposti a tortura e condannati ai lavori forzati a vita. Di nuovo evasi, raggiungono Milano, dove è attiva una cellulla della Resistenza]
Milano, la città oscura, la città spettrale.
La città del Partito Democratico.
Era partita da qui, infatti, la grande “rivoluzione meritocratica” del secondo governo Superbone. Per incrementare la “crescita” erano state diminuite le tasse alle aziende fino a ridurle a zero. Così gli imprenditori vi si erano trasferiti in massa, creando una grande enclave residenziale-produttiva fortificata nel quartiere ex-Bovisa, circondata dall’ammasso informe dei palazzi sventrati, invasi dalla vegetazione, senza luce, né acqua, dove vivevano in stato di semiclandestinità milioni di persone.
Rick e Max osservavano il posto di blocco. Erano acquattati dietro un autobus bruciato, un intrico di lamiere brunite sommerso dall’edera. Stava iniziando ad albeggiare.
“Ehi, stanno agguantando il bambino!” disse Max.
Rick strinse gli occhi. Erano stanchi, e gli bruciavano dopo molte notti di marcia. I soldati privati del Partito Democratico, in gran parte mercenari montiani con l’ausilio di militanti dalemiani, stavano malmenando un uomo, un contadino, che voleva entrare in città con un carro trainato da un vecchio asino macilento, carico di legname. L’uomo era a terra e gli sgherri lo stavano massacrando a calci. Altri due stavano cercando di sollevare di peso un bambino che scalciava e si dimenava come un’anguilla, per chiuderlo dentro un furgone nero.
Quell’uomo, pensò Rick, era uno stupido. I bambini bisognava tenerli nascosti, perché i cacciatori erano sempre in agguato. Li rapivano per consegnarli a Semoletti, l’imprenditore ideologo del Partito Democratico che li faceva lavorare nella sua F.I.G.A. (Federazione Italiana Gastronomi Agricoltori). I bambini con meno di dieci anni, infatti, erano particolarmente adatti ai lavori di manifattura, inscatolamento, smistamento e selezione del prodotto.
“Dobbiamo entrare stanotte” disse Max. “Di giorno è troppo pericoloso.”
Rick annuì. Erano ricercati, in quanto evasi da un campo di lavoro della F.I.G.A. e gli agenti avevano certamente le loro foto sui monitor degli smartphones.
“Sì, e dobbiamo anche cercare un altro varco” disse Rick. Le strade principali erano presidiate da guardie armate, mentre le altre erano state chiuse con sbarramenti. Ma tutto cambiava durante la notte, un accesso si trovava sempre.
Il bambino fu scaraventato nel furgone e l’uomo fu terminato con un colpo di pistola alla testa.
Era uno spiazzo enorme, un buco tra i ruderi dei palazzi, dove erano sorte capanne di legno e paglia, abitate da clandestini. Rick e Max osservavano lo spettacolo sbalorditi. Quello spiazzo un tempo ospitava il duomo. Ne avevano sentito parlare, ma non immaginavano che fosse così. Restava come una traccia, un’immagine fantasma dell’antica, enorme cattedrale gotica. Ora non rimaneva neanche una pietra, solo alberi infestanti, cespugli, carcasse di auto, cani randagi, ombre umane che strisciavano. Il duomo era stato smontato da specialisti russi, con enormi gru e camion speciali, e trasportato in Argentina, nella villa di Semoletti, dove era stato rimontato. Un capriccio del vulcanico imprenditore, che, appena sveglio, amava spalancare la finestra e contemplare la possente chiesa inondata dal sole del mattino. La sua villa, al centro di un parco grande quanto la Toscana, era adiacente a quella del Premier Superbone, che invece si era fatto trasportare la Fontana di Trevi.
“Muoviamoci” disse Rick, prendendo l’amico per un braccio. Era pericoloso restare fermi. Le ronde del Partito Democratico erano onnipresenti.
Stavano attraversando la città, lentamente, con prudenza. Camminavano rasenti ai muri, tra i ciuffi di ortiche, i rovi, i serpenti, i topi, nella città-giungla abitata da spettri senzanome. Tutti restavano nascosti, nella tenebra, per sfuggire agli intercettori, che erano sempre a caccia di persone giovani e in salute da destinare ai campi di lavoro della F.I.G.A. Il che equivaleva a sparire per sempre. Si lavorava fino alla morte, oppure si era venduti come schiavi. Solo i vecchi e i malati godevano di una relativa tranquillità. Sempre che non incontrassero un montiano o un dalemiano ubriaco, che li avrebbe uccisi per sport. Oppure un renziano su di giri, che si sarebbe divertito con tormenti vari. Nessuno era davvero al sicuro nella città oscura.
“Dovrebbe essere qui” disse Rick”.
Max osservò la vetrina di colore rosso e spalancò gli occhi per la sorpresa. “Ma che dici? Ti sbagli.”
“No” ribatté Rick. “E’ qui ti dico. Si entra dal retro. Esiste un luogo migliore per una cellula della Resistenza?”
Max non replicò. In effetti una sede del Partito Democratico era una base insospettabile. Proprio nella tana del lupo. Girarono intorno al palazzo, imboccarono uno stretto vicolo puzzolente e arrivarono sul retro. Rick tastò a lungo il muro con le mani. “Qui c’è una porta, mimetizzata con le pietre.” Bussava con le nocche, cercando il suono di una cavità. “Eccola” sussurrò. Continuava a bussare piano, con l’orecchio vicino al muro. “Bene, ora lancio il segnale”. Bussò tre volte, con una sequenza di colpi ravvicinati e altri distanziati. Dopo un’attesa di circa due minuti la porta, come per magia, apparve dal nulla. Una faccia barbuta fece capolino. “Resistenza e rinascita” disse Rick. La parola d’ordine. La porta si spalancò su un piccolo pianerottolo che immetteva in una ripida scala. Dal basso proveniva un odore pregnante di sudore, fumo, cibo. Ma nessun suono.
L’uomo barbuto fece strada. Scesero la scala, stretta e scivolosa, due rampe che conducevano a una sala male illuminata da una piccola lampadina che diffondeva una luce giallastra. Diverse persone erano sedute sul pavimento, alcune sdraiate, altre leggevano da vecchi fogli spiegazzati. Alcuni mitra di modello antiquato erano appoggiati alla parete. Diversi bambini erano raggomitolati in un angolo. Nessuno parlava. Occhi spiritati li fissavano.
“Voi siete i due evasi?” chiese l’uomo barbuto. Parlava sottovoce, sussurrava. Intuendo la loro sorpresa soggiunse: “sopra la sede è aperta. Cioè, non è aperta, ma ci sono i renziani che festeggiano. Li sentite?”
In effetti si udivano dei colpi, degli scalpiccii, e delle urla prolungate.
“Ma che fanno? Chi urla?” chiese Max.
L’uomo allargò le braccia. “E chi lo sa. Ogni tanto aprono la sede di notte e fanno casino. Sicuramente hanno qualche prigioniero, probabilmente lo torturano per divertirsi. Per fortuna non capita spesso. Dobbiamo restare in silenzio, quasi immobili. D’altra parte questo è un luogo sicuro. E’ prezioso. Altre sedi sono state scoperte e i compagni fucilati sul posto.”
Camminando piano, facendo attenzione a non urtare sedie o altri mobili, raggiunsero una piccola cucina, dove fu loro offerta dell’acqua fresca, e riso con fagioli, che mangiarono con voracità. Non toccavano cibo da 48 ore.
“Più tardi parlerete col compagno coordinatore” disse l’uomo barbuto. “Forse avete informazioni che possono farci comodo, sull’organizzazione del campo di lavoro. Abbiamo in programma alcune incursioni, per liberare i prigionieri.”
Rick e Max non replicarono. L’impresa rischiava di essere un suicidio, a meno di non disporre di squadre addestrate e bene armate. I guardiani dalemiani avevano fucili automatici e anche un paio di mitragliatrici pesanti.
“Ma prima abbiamo un problema da risolvere. Un problema serio” disse l’uomo. Sembrava pensieroso. Di umore cupo. “C’è un compagno in grave crisi psicologica. Forse è perduto. Venite.”
Li guidò in fondo alla sala, dove c’era una sorta di cubo formato da pannelli insonorizzati con materiali di fortuna, ovatta, cartone, contenitori per uova. Dentro, seduto coi gomiti sulle ginocchia, un uomo accasciato si teneva la testa tra le mani. Altri due uomini e una donna erano in piedi alle sue spalle. Rick e Max entrarono nel cubicolo che odorava di corpo umano sudato. Odorava di paura. Odorava di disperazione.
“Allora, cosa gli hai rivelato?” chiese la donna. La sua voce era suadente, comprensiva. Una voce materna.
“Niente vi ho detto. Niente!” strillò l’uomo. Sollevò il capo, guardò Rick e Max come se non li vedesse. I suoi occhi erano rossi, e gonfi. Uno era pesto. “Non gli ho rivelato niente!”
L’uomo barbuto sospirò. “Il compagno Boz è andato in crisi. Afferma di provare una voglia irresistibile di votare per il Partito Democratico alle prossime elezioni-farsa. Figuriamoci, tutti votano per loro. I guardiani prelevano la gente per strada, nelle case, e li accompagnano nelle sedi elettorali, dove votano sotto minaccia armata. Il problema è che non possiamo escludere che sia diventato un infiltrato, anche se lo psicologo afferma che si tratta di una crisi comprensibile. Nel nostro stato di clandestini, perennemente sotto minaccia di morte, c’è come una voglia di omologarsi, di allinearsi. E questa voglia può diventare patologica. Sarebbe una specie di evoluzione della Sindrome di Stoccolma”
“Ci prendi per stupidi?” disse uno degli uomini, con tono aggressivo. Era il classico trucco: quello cattivo e quello buono: la donna, la madre che ti capisce. La madre che ti perdona. “E’ ovvio che se vuoi passare dalla loro parte ci denuncerai, se non l’hai già fatto.”
“No!” gridò l’uomo. “E’ solo che… non so resistere, capisci? Non ce la faccio! Mi dico che sono pazzo, che sono un disgraziato, ma non ce la faccio, ho questa voglia terribile di votare per loro, per quei dannati che odio, che ucciderei, ma devo votarli! Perché? Perché?”
Scoppiò in lacrime, con la testa tra le mani.
Rick e Max uscirono dal cubicolo, sempre più confusi. Sempre più stanchi.
Al piano di sopra le urla erano diventate selvagge. Il solaio tremava per i colpi. Qualcuno fischiava.
L’uomo fissò il soffitto. “Abbiamo un infiltrato che frequenta la sede, è importante perché ascolta i discorsi, valuta se qualcuno sospetta di noi. Dice che dopo queste… feste trova i muri imbrattati di sangue. Chissà quali orrori si consumano là sopra.”
Rick e Max, ormai allo stremo delle forze, si accasciarono sul pavimento.
“Se volete dormire un po’ ci sono dei materassi di gommapiuma” disse l’uomo barbuto.
Rick e Max ringraziarono. Max lanciò un’occhiata verso il cubicolo insonorizzato.
“Che sarà di lui?” chiese.
L’uomo barbuto sospirò di nuovo. Sembrava ingobbito da un peso che lo opprimeva.
“Dovremo eliminarlo. Non abbiamo scelta. Non potremmo mai escludere un tradimento.”
Max si prese la testa tra le mani, come il prigioniero.
La testa pesava come un macigno. E gli doveva.
La città oscura.
La città degli orrori.
[Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie. In esse compaiono nomi e circostanze reali in qualità di pure occasioni narrative. I nomi di personaggi e di enti del mondo della politica e dell’economia vengono usati soltanto ai fini di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno ad essi, e si riferiscono quindi a un ambito mitologico che non ha nulla a che vedere con informazioni o opinioni circa la verità storica effettiva degli avvenimenti o delle persone su cui questo racconto elabora una pura fantasia]
[Le immagini: Beirut fotografata da Gabriele Basilico]