[Questo testo è stato pubblicato sul n. 9, maggio 2014 della “nuova rivista letteraria”; le immagini sono tratte dai siti Poor Yorick Entertainment e Tegamini.it.]
Ti rendi conto, vero, che Dio non assomiglia affatto a tuo padre? Lo sai, sì? [Andre Agassi, Open]
Lege, quaeso [David Foster Wallace (scritto di propria mano in esergo a una copia di IJ)]
Una delle molte chiavi interpretative di quella multiforme macchina narrativa che è Infinite Jest1 di David Foster Wallace è il rapporto tra padre e figlio – o meglio: tra l’orfano Hal Incandenza e l’ombra del Padre (Padre-padrone? Padre-eroe?) James O. Incandenza.
Il romanzo è ambientato in un futuro prossimo venturo rispetto all’anno di pubblicazione (1996), in buona parte nel 2009-2010, con un inquietante spiazzamento rispetto al 2014 in cui state leggendo questo articolo. In verità, dovremmo dire che il romanzo è ambientato in prevalenza nell’Anno del Pannolone per Adulti Depend (A.P.A.D.) e nell’Anno di Glad, secondo la cronologia del Tempo Sponsorizzato istituito a partire dal 2002. Il padre di Hal, un regista di film sperimentali, si è suicidato in modo spettacolare inserendo la testa in un formo a microonde2, lasciando il figlio Hal in una condizione dalla quale non si riprenderà, e che anzi sfocerà nella progressiva caduta in una sorta di catatonia: qualcosa tipo la condizione depressiva in cui scivola Amleto dopo l’incontro col fantasma del padre e la scoperta della verità sulla sua (del padre) morte. Del resto, che la verità renda liberi, ma solo quando avrà finito con te – «The truth will set you free. But not until it is finished with you» (p. 468) – è una delle sentenze che DFW ha disseminato nel suo romanzo.
Altri indizi fanno pensare al dramma shakespeareano. Ad es., titolo del libro si riferisce al misterioso film Infinite Jest prodotto dalla Poor Yorick Entertainment, una evidente citazione dal quinto atto di Hamlet: «Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio; a fellow of infinite jest…». Ad es., lo spettro che affligge l’ex ladro tossicodipendente Gately raccontandogli la propria triste storia di figlio fallito di un padre fallito, e padre (lo spettro) a sua volta di un figlio fallito – il che fa sospettare che potrebbe trattarsi dello spettro di J.O. Incandenza:
«Dice Immaginati l’orrore di passare tutta la tua adolescenza solitaria e itinerante a tentare invano di convincere tuo padre che esisti, a cercare di fare qualcosa abbastanza bene da poter essere ascoltata o vista ma non così bene da diventare uno schermo per le sue (del padre) proiezioni del suo fallimento e del suo odio per se stesso […] solo per scoprire poi, verso la fine, che anche tuo figlio si è spento, si è rinchiuso in se stesso, non parla, ti terrorizza, è muto. Cioè che suo figlio era diventato ciò che lui (lo spettro) aveva temuto di essere quando era bambino» (p. 1007).
L’ombra oscura del padre – che si concretizza allegoricamente nella cartuccia del film IJ, la cui visione fa piombare lo spettatore in uno stato di catatonia permanente – si distendeva con pesantezza su Hal e i suoi fratelli: «Il defunto padre di Orin, Mario e Hal era considerato un genio nella sua professione originale, senza che nessuno, neppure lui stesso, avesse mai capito in cosa fosse un genio, il che è tragico ma anche giusto in un certo senso» (p. 184). Del figlio maggiore Orin, sappiamo che «Ha studiato per quasi diciotto anni ai piedi del più abile fotti-cervello che abbia mai incontrato, e anche ora è così confuso da pensare che il solo modo per sfuggire all’influenza di quella persona sia rifiutarla e odiarla, quella persona» (p. 1249 n. 269). Negli anni dell’A.P.A.D. e di Glad il padre e la cartuccia del film sono sepolti insieme; ma copie letali del film continuano a circolare. Circolano anche copie del Padre?
Il gioco di specchi tra le relazioni familiari interne alla famiglia Incandenza – caratterizzate dall’incomunicabilità, dall’alienazione, in una parola dall’impossibilità del legame come forma essenziale della relazione – e la società del Tempo Sponsorizzato, contrassegnata dalle patologie del panico sociale, dell’alienazione e della dipendenza sembra rimandare a quella che Recalcati, sulla scorta di Lacan, ha definito l’epoca della «evaporazione del padre», caratterizzata da «una segregazione ramificata, rinforzata, che fa intersezioni a tutti i livelli e che non fa che moltiplicare le barriere»3. «Il nostro tempo, sostiene Recalcati, si caratterizza per il tramonto definitivo della figura edipica del padre che rendeva possibile il sodalizio tra Legge e desiderio a partire dal valore ideale che l’immagine del pater familias deteneva in famiglia e nella società»4. L’erranza del soggetto orfano del rifugio nell’Imago paterna e nel suo potere simbolico sarebbe esemplificata dalla figura di Telemaco: «la condizione dei giovani-Telemaco di oggi è quella dei diseredati: assenza di futuro, distruzione dell’esperienza, caduta del desiderio, schiavitù del godimento mortale, disoccupazione, precarietà. I nostri figli popolano la scura “notte dei Proci”? Quale padre li potrà salvare se il nostro tempo è quello del suo tramonto irreversibile?»5.
Hal Incandenza sarebbe dunque l’Amleto-Telemaco, figlio di un Ulisse che non tornerà?
Qualcosa lascia sospettare che Infinite Jest sia una Telemachia senza Nóstos. Il padre viene quasi sempre appellato come “Himself” (Lui in persona): perché? Nella Poetica di Aristotele – testo che è ben difficile potesse mancare nel curriculum di studi di DFW – ci viene dato, come esemplificazione del logos narrativo, questo riassunto “strutturalista” dell’Odissea: «Un “tis” [qualcuno] resta lontano dalla sua terra per molto tempo […]; poi, quando le cose di casa sua giungono al punto che le sue ricchezze sono saccheggiate dai Pretendenti e il figlio oggetto di insidie, ecco che lui in persona [autòs], scampato a un naufragio, fa ritorno […] e distrugge i suoi nemici»6. Autòs, himself è il nome di Ulisse, il padre che Telemaco attende.
C’è però una figura che fa ostacolo a una interpretazione unicamente psicoanalitica del mondo di Infinite Jest: Avril Incandenza, la “Mami” che dopo la morte del marito ha preso in consegna non solo la famiglia, ma anche della Enfield Tennis Academy fondata da J.O. Incandenza. Affetta da un disturbo ossessivo-compulsivo, la Mami esercita il proprio controllo tanto sulla famiglia quanto sull’ETA: non è per caso che Orin, l’unico a sfuggire al controllo della Mami, ha abbandonato sia la casa che il tennis. La Mami è lo spazio di intersezione tra due istituzioni disciplinari: ma se è banale che la famiglia lo sia, meno lo è che tale sia un’accademia tennistica. Potremmo dire che quando DFW, in IJ prima, e poi in diversi altri scritti, ha raccontato il mondo del tennis come un sistema che assorbe in modo totale il tennista in erba, attuando un processo di disciplinamento fondato sulla coazione a ripetere7, la cosa poteva sorprendere: dopo l’autobiografia di André Agassi Open8, non più. Come recita un annuncio su un cartello davanti a una chiesa,
LA VITA È COME IL TENNIS
VINCE CHI SERVE MEGLIO
Sembra, leggendo DFW o Agassi, che il padre-padrone “evaporato” nell’epoca del capitalismo tardomoderno si sia risolidificato nella figura dell’istruttore dell’Accademia.
Ma famiglia e accademia non sono le uniche istituzioni disciplinari. Accanto alla ETA, c’è la Casa di Recupero da Droghe e Alcol, la Ennet House, fondata nel primo anno del Tempo Sponsorizzato, nella quale viene applicato il metodo di cura degli Alcolisti Anonimi:
«Gli Aa di Boston “Qui Dentro” che ti proteggono contro un tuo ritorno “Là Fuori” non vogliono sapere qual è stata la causa del tuo Disagio. Ti prescrivono una ricetta semplice e pratica per ricordarsi ogni giorno che hai il Disagio e come devi fare a curarlo tutti i giorni, e come devi fare per sfuggire il più lontano possibile dal fantasma di un piacere che ti vuole adescare e uncinare e ti vuole trascinare Fuori e vuole mangiare il tuo cuore crudo e (se sei fortunato) vuole farti fuori per sempre. Così non sono permessi i perché e i per come. In altre parole lascia la testa fuori dalla porta prima di entrare. Anche se non può essere fatto rispettare in modo convenzionale, questo assioma, che è l’assioma di base degli Aa, ha un carattere molto autoritario, forse quasi protofascista» (p. 450).
In cosa consiste questo protofascismo? Nella cessione della volontà – «Devi essere disposto a consegnare la tua volontà a persone che sanno come affamare il Ragno. Devi essere disposto ad accettare i consigli, devi voler rispettare le tradizioni di anonimia, di umiltà, devi arrenderti alla coscienza del Gruppo» (p. 429) – e nella sua sostituzione con l’efficenza – «Se chiedi ai più vecchi e duri Come Funzionano gli Aa loro ti rispondono con un sorrisino freddo e ti dicono che funzionano Bene. Funzionano, questo è tutto; fine della storia» (p. 419). In un acuto scritto su IJ9, Brook Daverman ha messo in relazione il metodo degli Aa e la funzione narrativa delle confessioni degli Alcolisti: in opposizione alla frammentazione illimitata dei significati e dei soggetti nello sperimentalismo postmoderno, DFW crea, attraverso le narrazioni degli Aa, un pacchetto di limiti e regole in grado di strutturare il significato in maniera funzionale10. Si, o.k. – ma il metodo degli Aa sembra fondarsi su un paradosso: la cessione della volontà individuale e l’ammissione della propria incapacità di uscire dalla dipendenza, e dunque l’accettazione senza riserve di una forma di dipendenza dagli Aa11 non è forse la condizione che ha portato il tossico o l’alcolista a diventare dipendente di una sostanza? E se così è, non è la dipendenza – l’impossibilità di farcela da soli – la condizione esistenziale nella quale siamo gettati tutti quanti?
Abbiamo incontrato alcune istituzioni disciplinari, alle quali potremmo aggiungere l’AFR, l’organizzazione terroristica dei separatisti québechiani, il cui orizzonte politico indipendentista si riassume nell’État protecteur: «scegliete cosa noi vi diciamo di scegliere, ignorate i vostri desideri e le vostre aspettative, i vostri sacrifici. Per il Québec. Per lo Stato» (p. 383).
Al di sotto di questi apparati, una società del controllo nella quale la disseminazione digitale di lavoro, istruzione e divertimento ha trasformato le relazioni sociali in uno «spettacolo privato fatto di schermi personalizzati e guardato dietro le tende tirate nella sognante familiarità della propria casa» (p. 743); nella quale dominano la ricerca della convergenza nella stessa curva di domanda di piacere personale e fatturato lordo (p. 500), e «una specie di idolatria dell’unicità» (p. 724) – qualcosa tipo una generalizzata pan-agorafobia utile «ad aprire enormi nuovi mercati imprenditorializzati teleputerizzati di home-shopping con consegna a domicilio» (p. 179). DFW aveva intuito che nell’età della finanziarizzazione anche desideri, passioni e timori possono essere messi a valore e profitto: «Dire che tutto questo è un male è come dire che il traffico è un male, o che le sovrattasse sulla salute o i rischi della fusione anulare12 sono un male: solo i freak luddisti mangiacereali direbbero che è male una cosa senza la quale non si riesce a vivere» (p. 743). Anni dopo, nel discorso agli studenti del Kenyon College, DFW dirà: «Il cosiddetto “mondo reale” non vi dissuaderà dall’operare in modalità predefinita, perché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini, del denaro e del potere vi accompagna con quel suo piacevole ronzio alimentato dalla paura, dal disprezzo, dalla frustrazione, dalla brama e dalla venerazione dell’io»13.
All’agorafobia privata della società corrisponde, al di sopra delle istituzioni di controllo disciplinare, la figura del presidente Gentle, il Famoso Cantante Confidenziale asceso al governo di una «nazione murata» (p. 151) «grazie allo spasmo reazionario di un elettorato incattivito» col suo Partito Pulito degli Usa «mentre i Democratici e i Repubblicani rimasero fermi a guardare ammutoliti, come due compagni di doppio che pensano che la palla la prenderà sicuramente l’altro» (p. 460):
«Il Presidente J.G., il Famoso Cantante Confidenziale disse che non ci avrebbe chiesto di fare delle scelte difficili approfittando della sua posizione, perché quelle scelte le avrebbe fatte lui per noi. Voleva soltanto che ci rilassassimo e ci godessimo lo spettacolo. […] Che faceva riferimento a Nuove Fonti di Ricavo ancora intatte che aspettavano solo qualcuno che le scoprisse, e non erano state notate dai suoi predecessori per colpa degli alberi (?). Che prevedeva di tagliare l’adipe budgetaria con un coltello bello grosso. Il Johnny Gentle che insisteva soprattutto – al tempo stesso ci sperava e lo prometteva – sul fatto che gli americani stressati dall’èra atomica dovevano smetterla di incolparsi l’un l’altro per i terribili problemi interni. […] Il Johnny Gentle, Capo del Governo, che […] dichiara che, Cazzo, ci deve essere qualcuno, a parte noi, a cui dare la colpa. Per unirci nell’opposizione a qualcuno. E promette di mangiar e leggero e dormire molto poco finché non li troverà…» (pp. 461-462)
Seguendo Lacan, Recalcati sostiene che l’evaporazione dell’Imago paterna ha trasformato il soggetto in un “turboconsumatore”, il cui individualismo sfrenato non è una forma di disalienazione del soggetto dalla schiavitù nei confronti dei significanti padroni, ma una nuova forma di schiavitù: il discorso del capitalista è una forma non di liberazione, ma di assoggettamento all’ipnosi dell’oggetto-merce. Quello che però Recalcati non coglie è che questo turboconsumatore che riempie il proprio vuoto con la dipendenza è assoggettato a una rinnovata Imago paterna, una riproposizione del padre-padrone in forma di leader politico, di modello dell’Io, di istruttore, di terapeuta. Il vuoto esistenziale viene messo non solo a profitto, ma diventa una macchina per produrre quell’autorità in grado di rassicurarci dall’orrore del vuoto che ne è la causa. Il padre-padrone è la malattia che si presenta come cura: la logica del meccanismo capitalista postindustriale presenta «i beni di scambio come fuga-dalle-ansie-della-mortalità-la-quale-fuga-è-essa-stessa-psicologicamente-fatale, come descritto con abbondanza di dettagli nell’opera postuma L’incesto e la vita della morte nello spettacolo capitalista di M. Gilles Deleuze» (p. 951).
L’Imago confidenziale del Presidente, dell’Istruttore, del Terapeuta sono manifestazioni della ri-creazione di un nuovo Edipo disciplinante, il cui benevolo sorriso rassicura dal sospetto che se un qualche dio c’è, è un dio crudele: «Perché cosa succede se Dio è davvero quel figurante crudele e vendicativo che gli Aa di Boston giurano e spergiurano che non sia, e ti aiuta a smettere solo perché tu possa sentire al massimo tutti gli spigoli e le lame delle punizioni speciali che ha preparato per te?» (p. 1074).
Il mondo dei falsi padri-padroni «sembra più una pistola puntata alla testa che una scelta» (p. 938): l’inconsapevolezza, modalità predefinita, corsa sfrenata al successo la fanno da padrone. La vera libertà è imparare a pensare, «e richiede la capacità di tenere davvero agli altri e di sacrificarsi costantemente per loro. […] So che questa roba non vi sembrerà divertente […]. Per come la vedo io è la verità sfrondata da un mucchio di cazzate retoriche». La vera libertà «riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararsi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano»14.
Appendice
Altri interventi davidfosterwallaceani di Girolamo De Michele su carmilla:
recensione di: Carlotta Susca, David Foster Wallace nella Casa Stregata (2 ottobre 2013)
Una cosa sinistra che non dovremmo fare mai più (25 gennaio 2012)
Il genio dello scrittore David Foster Wallace come lacerazione del velo di Maya su un sacco di cose tipo l’apprendimento degli adolescenti, l’uso dei dialetti, l’inutilità di certi critici, la libertà, l’alienazione, Roger Federer, il corpo, la bellezza, l’arte di chiedere scusa, la difficoltà di essere spinoziani e altre cose ancora che qui non mi vengono in mente ma vi assicuro che ci sono (17 gennaio 2011)
Tutto ciò, per quanto esatto, non era il punto – ovvero: David Foster Wallace è una pietro d’inciampo per George Steiner? (6 luglio 2010)
New Italian Epic e allegoria (29 gennaio 2009)
David Foster Wallace, Infinite Jest (1996), tr. it. di E. Nesi, A. Villoresi e G. Giua, Einaudi, Torino 2006. ↩
Difficile non pensare al rovescio del leitmotiv del Videodrome di David Cronemberg. ↩
Jacques Lacan, Nota sul padre e l’universalismo, tr. it. in “La psicoanalisi”, n. 33, 2003, p. 9; per l’interpretazione di questa breve nota da parte di Massimo Recalcati: L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina Milano, Editore, 2010. ↩
Massimo Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, p. 21. ↩
Massimo Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano 2013, p. 14. ↩
Poetica 1455 b20; cito dalla traduzione di Claudio Cazzola nel suo raffinato L’enigma di Omero, Este Edition, Ferrara 2013, p. 95. ↩
«La cosa più importante è la ripetizione. Dall’inizio alla fine, sempre. È ascoltare le stesse storie motivazionali all’infinito finché il loro puro peso ripetitivo le fa sprofondare nelle budella. […] Non state a pensare se c’è un senso. Certo che non c’è un senso. Il senso della ripetizione è che non c’è un senso. Aspettate fino a quando imbeve il vostro hardware, poi vedrete come vi si libera la testa», pp. 139-140. ↩
André Agassi, Open. La mia storia (2009), tr. it. G. Lupi, Einaudi, Torino 2011 [ qui la recensione di Filippo Casaccia. ↩
Brook Daverman, The Limits of the Infinite: The Use of Alcoholics Anonymous in Infinite Jest as a Narrative Solution after Postmodernism, 2001, qui. ↩
«Both postmodern and AA narratives are responses to disordered and fragmented subjects of the kind that Wallace describes in his party metaphor. But where postmodern texts respond with fragmented narratives, AA life stories are master narratives that make fragmented subjects coherent». ↩
«Alla fine viene fuori che questa rassegnata, miserabile disperazione tipo fatemi-il-lavaggio-del-cervello-e-sfruttatemi-pure-se-questo-è-quello-che-ci-vuole sia stato il punto di partenza per quasi tutti quelli che si incontrano negli Aa», p. 418. ↩
Il processo di trasformazione dei rifiuti in energia, che comporta la produzione di scorie tossiche in grado di produrre incontrollate alterazioni nell’ecosistema: nel mondo di IJ queste scorie sono catapultate nella parte settentrionale del Nord-Est (la Grande Concavità), trasformata in una gigantesca discarica e “ceduta” dagli Stati Uniti al Québec canadese. ↩
David Foster Wallace, Questa è l’acqua, tr. it. G. Granato, Einaudi, Torino 2009, p. 154. ↩
David Foster Wallace, Questa è l’acqua, pp. 154-155. ↩